Abusi edilizi in via delle Begonie: oltre il danno, la beffa della “giustizia interrotta”


Nel novembre 2019 la Corte di Appello di Ancona, per poter emettere sentenza, ha chiesto al Tribunale di Ascoli il fascicolo di primo grado. Che, però, si trova nella zona dell’archivio dove, da 4 anni, permane il divieto di accesso per la presenza di amianto

L’incredibile vicenda delle villette abusive in via delle Begonie, un’infinita telenovela che si trascina ormai da quasi 20 anni, si arricchisce di una nuova sconcertante e vergognosa pagina. Mentre il procedimento penale presso il tribunale di Ascoli va avanti (si fa per dire…) con incredibile e esasperante lentezza, tra pause e rinvii prima per il terremoto, poi per il covid, il procedimento civile che è in attesa della sentenza di appello si è bloccato perché da un anno e mezzo la Corte di Appello di Ancona è in attesa che il Tribunale di Ascoli invii il fascicolo di primo grado, indispensabile per poter emettere la sentenza. Richiesta che, però, continua ad essere inevasa perché il fascicolo in questione si trova nella zona dell’archivio dove, da ormai 4 anni, permane il divieto di accesso per la presenza di amianto.

Una situazione che definire surreale è riduttivo, un ulteriore incubo per quella coppia ascolana che da anni si batte, tra mille ostacoli, per ottenere giustizia. Quella delle villette di via delle Begonie (Monticelli) è una vicenda semplicemente vergognosa, iniziata nel 1996 quando il Comune rilasciò concessione edilizia n. 62/96 per la realizzazione di quattro schiere di villette, per complessivi 28 alloggi. Che, per magia, al termine dei lavori diventeranno 40, ben 12 in più di quanti previsti nella concessione edilizia stessa. Un chiaro ed evidente abuso che non sarebbe mai venuto a galla (nel 2003 il direttore dei lavori aveva attestato la conformità dell’opera ai progetti approvati) se nel novembre del 2003 una coppia di sposi non avesse acquistato una delle villette della schiera C (che secondo la concessione edilizia doveva comprendere 11 villette ma in realtà ne aveva ben16), con la parte venditrice (la Tamarix) che, all’atto dell’acquisto, assicurava che era tutto in regola, che era stata presentata al Comune dichiarazione per il rilascio dell’abitabilità.

Per quella coppia doveva essere la casa della loro vita, dove far crescere i propri figli. Invece si è trasformata nel loro peggiore incubo, dal quale sembra quasi impossibile uscire fuori. Da subito, infatti, è emerso come in realtà la situazione fosse completamente differente, con la Tamarix che già mesi prima aveva presentato al Comune istanza di variante a sanatoria per le schiere C e D, con la rappresentazione di uno stato difforme sia dalla concessione originaria, sia allo stato attuale. Istanza, però, neppure avviata (secondo il Comune perché “non è stato completato l’iter burocratico-edilizio relativo a detta concessione”), con la stessa Tamarix che nell’ottobre 2004 presentava richiesta di sospensione della domanda stessa. Il successivo 17 dicembre, poi, chiedeva condono edilizio sulla base della legge regionale Marche n.23/2004 che, però, aveva fissato al 10 dicembre 2004 il termine ultimo per presentare l’istanza di condono.

In un paese civile il discorso si sarebbe chiuso lì, con tutte le conseguenze che ciò avrebbe comportato. In quel meraviglioso posto che è il capoluogo piceno 17 anni dopo siamo ancora alla fase istruttoria di un condono fuori tempo massimo! Per quella coppia, invece, è stato un crescendo di ansie e preoccupazioni, con il certificato di agibilità/abitabilità che non arrivava, fino alla sconcertante scoperta. Allo Sportello unico per l’edilizia è emerso infatti che non era mai stata presentata alcuna richiesta di agibilità/abitabilità, né la dichiarazione di conformità degli impianti elettrico e del gas. Inoltre non erano stati depositati presso il Genio civile i calcoli strutturali, il collaudo statico della struttura e la conformità alla normativa in materia sismica.

Dopo aver cercato inutilmente un accordo, alla coppia non restano che le vie legali, con tanto di denunce civili e penali. Il giudizio penale, che vede sul banco degli imputati con l’accusa di gravi abusi edilizi i due soci della Tamarix e il direttore dei lavori, si è aperto nell’ottobre 2015 ma tra rinvii per vari motivi, compreso terremoto e covid, siamo ancora in alto mare. Nel procedimento civile, invece, a maggio 2015 arriva la sentenza di primo grado, con la Tamarix condannata alla restituzione del prezzo pagato dalla coppia per l’acquisto della casa (248 mila euro oltre interessi), al risarcimento danni per poco meno di 70 mila euro e al pagamento delle spese processuali (nella sentenza il giudice parla di “gravi abusi edilizi” e sottolinea come il Ctu ha evidenziato “l’esistenza di irregolarità urbanistiche, progettuali e strutturali”).

Si tratta, però, di una sentenza di natura costitutiva i cui effetti diventano esecutivi solo quando passa in giudicato. Ovviamente la Tamarix l’ha impugnata e da quasi 2 anni si è in attesa della decisione della Corte d’Appello. Che, però, non arriva perché dal novembre 2019 la Corte di Ancona è in attesa che il Tribunale di Ascoli le invii il fascicolo di primo grado, che però è in quella parte degli archivi dove permane il divieto di accesso per la presenza di amianto. Dal 2017, a seguito dell’ordinanza sindacale n. 1391 del 26 ottobre, per altro adottata sulla base della scheda Aedes del 16 novembre 2016. Una situazione inaccettabile, che nel settembre 2019 (due mesi prima della richiesta della Corte di Appello di Ancona) aveva spinto l’Ordine degli avvocati di Ascoli a chiedere l’immediata effettuazione dei lavori di decontaminazione dalla presenza di amianto nei locali del Tribunale cittadino.

Il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Ascoli – si legge nella lettera – ha preso atto del parere igienico dell’Asur Marche datato 4 settembre 2019 con il quale, considerata la gravità del fenomeno legato alla presenza di fibre di amianto nei locali del Tribunale, si sollecita l’adozione di opportuni provvedimenti atti a completare le opere di bonifica, consistenti nell’accurata decontaminazione dei locali e dei materiali ivi depositati”.

Nulla da fare, quasi 2 anni dopo siamo nella stessa inaccettabile situazione che, di fatto, impedisce che almeno dal punto di vista si chiuda una vicenda che si trascina da così tanto tempo, con tutte le conseguenze che ciò comporta per chi è vittima di questo inaccettabile ritardo. Descritte in maniera sin troppo esaustiva dalla lettera che il 24 febbraio scorso il legale di quella coppia ha inviato al presidente del Tribunale di Ascoli.

Deontologia professionale, nonché obbligo sul piano umano, ancor prima che defensionale, impongono alla mia persona, in qualità di avvocato, di portare alla sua attenzione l’amara vicenda giudiziaria in oggetto e soprattutto le potenziali implicazioni sul piano personale che la ritardata pronuncia della sentenza di grado di appello ha provocato, sta provocando e con ogni probabilità provocherà in capo alla famiglia dei miei assistiti” scrive il legale della coppia che poi riassume i termini della vicenda, ricordando appunto come il ritardo nella pronuncia della sentenza “è da imputarsi esclusivamente al mancato deposito del fascicolo di ufficio da parte del Tribunale di Ascoli”. “

E’ bene precisare che l’immobile in oggetto costituisce l’unica casa dei coniugi – si legge ancora nella lettera – e che questi vi abitano unitamente ai loro 3 figli, uno dei quali minore, e quindi vi sarebbero concreti, elevati e allarmanti rischi per la salute psico-fisica degli occupanti qualora alla vicenda in esame non venisse offerta pronta risoluzione. E’, inoltre, palese che il territorio di Ascoli Piceno, ove l’immobile è ubicato, sia zona ad alta sismicità ed è fatto notorio che gli eventi sismici abbiano avuto un incremento tanto in quantità quanto in qualità dal 2016”.

Una situazione che, come viene sottolineato nella lettera, sta già provocando delle conseguenze rilevanti. “Proprio in virtù di tale costante pericolo – prosegue il legale – il marito della coppia presenta da tempo una condizione patologica diagnostica dalle relazioni della psicologa e del medico legale come “disturbo di adattamento con aspetti emozionali misti, cronico” con conseguente danno biologico permanente al 12%. In particolare appare significativo riportare all’attenzione un passaggio della relazione medico-legale: “la vicenda abitativa della coppia, con tutti i risvolti tecnici giuridici e relazionali, una tempistica giudiziaria molto lunga, ha rappresentato per la famiglia stessa un evento di notevole rilevanza stressogena”. Infine l’attuale situazione in cui versa la Nazione, i costanti lockdown causa covid, fungono inequivocabilmente da amplificatori del dolore e del terrore insito nella famiglia, costretta ad essere relegata in casa per sfuggire alla contagiosità del virus ed al contempo senza alcuna sicurezza”.

Laconica e sconfortante, però, la risposta del Tribunale di Ascoli: “il fascicolo richiesto in data 20/11/2019 non è stato inviato per le note vicende che riguardano la chiusura degli archivi, come da carteggio che si allega”. Siamo all’assurdo, una vicenda che sarebbe indegna persino nei paesi del terzo mondo ma che in quel meraviglioso luogo che è il capoluogo piceno scivola via nella più assoluta indifferenza.

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