Meloni, La Russa e la destra sull’orlo di una crisi di nervi


Il “cappotto” nei capoluogo di regione e la vittoria del centrosinistra nella tornata elettorale amministrativa provocano un’imbarazzante reazione da parte della destra, con la Meloni che parla di clima da “guerra civile” e La Russa che se la prende con il sistema elettorale

Bisogna riconoscere che l’ha presa davvero bene, con grande stile e fair play, la destra al governo l’inequivocabile vittoria del centrosinistra nella tornata elettorale amministrativa che si è chiusa lunedì 24 giugno con i ballottaggi. Soprattutto gli esponenti di destra che rivestono le più alte cariche dello Stato hanno dimostrato di saper mantenere la necessaria freddezza che si richiede ai rappresentanti istituzionali che, non devono mai dimenticarlo, rappresentano (o almeno dovrebbero) l’intero paese e, quindi, non devono farsi prendere troppo dal comprensibile sentimento di parte.

Così una “tranquillissima” Giorgia Meloni, in uno dei suoi ormai tradizionali video, non ha neppure fatto cenno all’esito di questa tornata elettorale per parlare del clima da guerra civile che, a suo dire, stanno creando le opposizioni, per poi lanciarsi in un elogio postumo di Achille Occhetto che “30 anni fa sulle riforme era molto più avanti di Elly Schlein”. Il presidente del Senato Ignazio La Russa, che non bisogna dimenticare che è sempre la seconda carica dello Stato, ha invece pacatamente fatto presente che, se con il sistema elettorale attualmente in vigore si ottengono questi risultati (cioè vince il centrosinistra), allora forse è il caso di cambiare la legge elettorale per le comunali.

Naturalmente non ha certo avuto il coraggio di dirlo in maniera così esplicita, cercando di giustificare l’ingiustificabile con la scusa dell’astensionismo. Che, ovviamente, non è certo stato un problema o anche solo un particolare di cui tener conto quando la destra ha vinto le elezioni politiche con un astensionismo mai visto nella storia della Repubblica in nessuna delle precedenti tornate elettorali politiche. O, tanto meno, quando il partito della presidente del Consiglio e del presidente del Senato ottiene un buon risultato (pur perdendo mezzo milioni di voti…) come alle recenti elezioni europee dove, per la prima volta, non si è raggiunto neppure il 50% dei votanti. E naturalmente nessuno di loro ha mai considerato un problema il fatto che la destra governi (legittimamente, in democrazia funziona così) pur rappresentando meno di un quarto degli elettori italiani.

Però, chissà perché, quando le cose vanno male, quando a vincere sono gli avversari, allora d’incanto l’astensionismo diventa un problema tale da pensare addirittura di cambiare legge elettorale (come se fosse davvero quella la motivazione per cui sempre più italiani non votano). Alla fine viene quasi da pensare che, in fondo, quello che ha reagito meglio è il responsabile dell’organizzazione di Fratelli d’Italia, Giovanni Donzelli, che, con sprezzo del ridicolo, ha commentato l’esito delle elezioni amministrative con uno stupefacente “ha vinto la destra”. D’altra parte, però, se abbiamo al governo un ministro della cultura (Sangiuliano) che non conosce la storia e non sa che Galileo è nato 70 anni dopo (1564) il viaggio di Cristoforo Colombo con la scoperta dell’America (1492), non si può certo pretendere che un Donzelli qualsiasi sia consapevole che, purtroppo per lui, la matematica non è un’opinione.

Perché, al di là di ogni possibile interpretazione e analisi politica, in questo caso i numeri parlano sin troppo chiaro. Tra il primo turno (8 e 9 giugno) e ballottaggio (23 e 24 giugno) sono stati chiamati al voto per le elezioni amministrative gli elettori di oltre 3 mila comuni, per un numero complessivo di circa 17 milioni di votanti, più di un terzo dell’intero corpo elettorale italiano. Si votava in 29 comuni capoluogo di cui 6 capoluoghi di regione, con una situazione che vedeva 13 comuni capoluoghi amministrati dal centrosinistra, 12 dalla destra e 4 da liste civiche. Per quanto riguarda i comuni capoluogo di regione 3 erano amministrati dal centrosinistra (Firenze, Bari e Campobasso) e 3 dalla destra (Perugia, Potenza e Cagliari).

Dopo questa tornata elettorale il centrosinistra amministrerà in 17 comuni capoluogo di provincia (+4), la destra in 10 (-2), mentre altri 2 comuni saranno amministrati da liste civiche (-2). Per quanto concerne i capoluoghi di regione, invece, tutti e 6 saranno amministrati dal centrosinistra che ha quindi strappato alla destra Perugia, Potenza e Cagliari, quest’ultimo addirittura direttamente al primo turno, senza bisogno del ballottaggio. Allargando lo sguardo anche ai comuni non capoluogo di provincia, ma con più di 15 mila abitanti (quindi con eventuale ballottaggio), nei 225 interessati da questa tornata amministrativa in 102 amministrava il centrosinistra, in 67 la destra ed in 56 liste civiche.

Dopo le elezioni il centrosinistra ne amministrerà 113 (+11), la destra 74 (+7), mentre gli altri 38 (-15) saranno guidati da liste civiche. Per completezza d’informazione si potrebbe aggiungere che in molti di quei 38 comuni le liste civiche erano comunque espressione del centrosinistra e che la destra in diversi comuni, compresi 2 capoluogo di provincia (Avellino e Verbania), non è neppure arrivata al ballottaggio. Ma anche tralasciando queste ultime considerazioni, i numeri parlano chiarissimo e non lasciano dubbi sul fatto che a vincere questa tornata di elezioni amministrative è il centrosinistra che in generale cresce e conquista comuni, avanza prepotentemente nei comuni capoluogo di provincia e trionfa, con uno storico ein plein, nei capoluogo di regione.

Per quanto concerne la destra regge bene, guadagnando qualcosa, nei comuni più piccoli, va male nei comuni capoluoghi di provincia e subisce una “mazzata” senza precedenti nei comuni capoluogo di regione, non solo perdendo rovinosamente i 3 dove amministrava ma praticamente “non toccando palla” in città importanti come Firenze e Bari dove perde con distacchi siderali (30-40%), dopo essere arrivata la ballottaggio solo perché al primo turno il centrosinistra si era presentato diviso. D’altra parte, al di là dei numeri inequivocabili, proprio le reazioni scomposte della Meloni e di La Russa sono la certificazione del successo degli “odiati” avversari del centrosinistra. Per altro sarebbe stato sufficiente osservare l’espressione e il colorito pallido di Italo Bocchino lunedì sera, alla fine delle operazioni di scrutinio, ad “Otto e mezzo” per capire che le elezioni amministrative non erano certo andate come sperava la destra.

Provando ad andare oltre numeri, isterismi, farneticazioni e capricci puerili, premettendo doverosamente che le dinamiche che determinano l’esito del voto amministrativo sono quasi sempre differenti da quelle del voto alle elezioni politiche, si può comunque sostenere che in sostanza questa tornata elettorale non ha fornito indicazioni nuove e sorprendenti, praticamente ha confermato quanto già era ampiamente noto. Cioè che quando si tratta di scegliere le persone (in questo caso gli amministratori locali) il centrosinistra è sicuramente avvantaggiato, mentre la destra fatica terribilmente a trovare esponenti credibili e considerati affidabili. Soprattutto, però, si conferma e si amplifica quanto emerso dalle elezioni europee e, in sostanza, anche dalle elezioni politiche: la destra non è affatto maggioranza e può vincere e governare solo se il vasto campo del centrosinistra si presenta diviso.

Anche in questo caso i numeri delle ultime tornate elettorali (politiche ed europee) erano già chiari (almeno per chi aveva voglia di vederli), l’esito di questa tornata amministrativa ha solo amplificato e reso più evidente il concetto. Dove si presenta unito (emblematico quanto accaduto di nuovo in Sardegna) il centrosinistra quasi sempre vince o, quanto meno, è molto competitivo. Naturalmente questo non significa affatto che alle prossime elezioni politiche (in qualsiasi data si terranno) automaticamente il centrosinistra vincerà, innanzitutto perché non è per nulla scontato che si presenti davvero unito (è molto più facile farlo in competizioni a livello locale), visto che la strada per formare una coalizione realmente unitaria è molto lunga e piena di ostacoli. Ma anche perché non è facile prevedere con quale sistema elettorale si voterà alle prossime politiche (sia perché incombe la riforma cosiddetta del premierato sia perché, se la situazione sarà di un certo tipo, non è affatto escluso, anzi è quasi certo, che la destra provi a cambiare il sistema elettorale).

Per questo è doveroso tenere conto delle chiare indicazioni emerse ma sarebbe fuorviante trarre, su quella base, conclusioni affrettate. Quello che è certo, però, è che dopo 2 anni di dominio assoluto, la destra ha ora scoperto che potrebbe trovarsi di fronte un avversario in grado di competere. E, probabilmente, proprio questo è alla base della reazione non propriamente istituzionale dell’accoppiata Meloni-La Russa.

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