Cronache di ordinaria “malagiustizia”…


Le Procure di Cagliari e Roma, sulla base di nuove elementi, dal 2019 chiedono la revisione del processo e la scarcerazione di Beniamino Zuncheddu, in carcere dal 1991. Ma la Corte di Appello di Roma da 4 anni continua a rimandare e non decidere

Signor giudice lei venga quando vuole, più ci farà aspettare, più sarà bello uscire” cantava Roberto Vecchioni nel 1979 nella canzone “Signor giudice” ispirata alla vicenda che lo aveva visto vittima di un errore giudiziario e, ancor più, dello sconcertante comportamento del giudice. Chissà se Beniamino Zuncheddu, pastore di sardo di Burcei, in carcere dal 1991 e da 4 anni in attesa che la Corte di Appello dia il via libera alla revisione del processo e alla sua scarcerazione la penserà come il cantautore milanese. Che, arrestato il 17 agosto perché accusato di aver ceduto uno spinello ad un ragazzo dopo il concerto alla festa dell’Unità di Marsala del giugno 1977, aveva dovuto trascorrere qualche settimana nel carcere di Marsala, da innocente, perché il giudice della città siciliana, dopo aver firmato il mandato di cattura, pensò bene di andare in ferie e rinviare a dopo le vacanze l’interrogatorio di Vecchioni e il confronto con il suo accusatore (che poi si rivelò decisivo perché il ragazzo ammise di essersi inventato tutto).

Zuncheddu, invece, ha passato 32 anni in carcere da innocente e, da quando anche le Procure generali di Cagliari e di Roma se ne sono convinte, sono passati 4 anni ma la Corte di Appello di Roma continua a rinviare il momento dell’inevitabile decisione. Tanto, dopo 32 anni, cosa mai sarà qualche mese o qualche anno in più in carcere… Si pensava che l’attesa fosse finalmente terminata lunedì 18 settembre, quando sotto la sede del tribunale di Roma il Partito radicale e i compaesani del pastore avevano organizzato un sit in per chiedere giustizia per Beniamino. Invece è arrivato l’ennesimo rinvio, questa volta ad ottobre. L’incubo di Zuncheddu è iniziato nel febbraio del 1991, arrestato con l’accusa di triplice omicidio e successivamente condannato, con sentenza passata in giudicato, all’ergastolo.

Un mese prima, esattamente l’8 gennaio c’era stata la strage che aveva sconvolto la Sardegna e l’intero paese, con 3 uomini uccisi e uno ferito (e miracolosamente salvo solo perché l’assassino l’aveva creduto morto) in un ovile di Sinnai. . Le tre vittime sono il proprietario dell’allevamento Gesuino Fadda, il figlio Giuseppe e il pastore Ignazio Pusceddu, mentre il superstite è Luigi Pinna, marito di una delle figlie di Fadda. E’ l’unico testimone ma nelle settimane successive in tutti gli interrogatori ribadisce di non aver riconosciuto l’assassino, sia perché aveva il volto coperto da un collant, sia perché all’ora della strage (tra le 18 e le 19) era buio. Solo che poi, all’improvviso, Pinna cambia versione e riconosce come assassino Beniamino Zancheddu. Per gli inquirenti non ci sono dubbi, ritengono che ci sia anche il movente (i contrasti tra allevatori), nonostante ci siano troppi elementi che sembrano rendere impossibile che a compiere la strage sia stato il pastore di Burcei.

Soprattutto lo escluderebbero inequivocabilmente gli orari perché è accertato (ci sono numerosi testimonianze in proposito che Zuncheddu era nel suo paese alle 17:50 e alle 19. Le autopsie e le perizie concordano sul fatto che la strage sia avvenuta tra dopo le 18 e prima delle 19, quindi l’imputato non avrebbe avuto materialmente il tempo per effettuarla perché per arrivare da Burcei al luogo della strage si impiegano almeno 45 minuti (nella ricostruzione Zuncheddu si sarebbe recato all’ovile con il vespino, quindi il tempo di percorrenza dovrebbe addirittura aumentare), di conseguenza, senza considerare il tempo impiegato per uccidere le tre persone e ferire la quarta (gli omicidi si sono consumati in luoghi differenti, dalla strada di accesso all’ovile al piccolo edificio presente al suo interno), già solamente per andare e tornare non avrebbe fatto in tempo.

Continuerà a dichiararsi sempre innocente anche quando, trascorsi 25 anni, una sua ammissione di colpa gli aprirebbe la strada della liberazione condizionale. Il suo avvocato, da sempre convinto che il testimone ha cambiato versione su pressioni di un agente dell’Interpol, non molla, continua le sue indagini e dal 2017 trova l’insperata collaborazione della procuratrice generale (pg) di Cagliari Francesca Pinna convinta dell’innocenza di Zuncheddu certa del legame tra quella strage e il sequestro Murgia (l’imprenditore cagliaritano fu sequestrato il 20 ottobre del 1990 e rilasciato l’11 gennaio, 3 giorni dopo la strage), nel quale anni dopo si era scoperto che erano implicati alcuni confidenti del discusso giudice istruttore Lombardini.

E per la pg cagliaritana le pressioni dell’agente dell’Interpol sul testimone servivano proprio per sviare le indagini (all’inizio i carabinieri avevano ipotizzato che il movente fosse l’eliminazione di testimoni pericolosi o di complici in disaccordo), per evitare che si scoprisse che i confidenti del giudice fossero implicati nel sequestro e nella strage. La pg raccoglie numerosi elementi che avvalorano e fortificano questa ipotesi, a partire dal fatto che uno dei sequestratori confidente del giudice aveva preso possesso dell’ovile delle vittime. Emergerà anche che Murgia doveva essere rilasciato 3 giorni prima di quando poi è stato ritrovato (11 gennaio) e che il ritardo era stato provocato da qualcosa accaduto l’8 gennaio.

Uno dei rapitori che durante la detenzione parlava spesso con l’ostaggio aveva riferito a Murgia che lui e i complici non volevano dividere il riscatto con altri e lo stesso imprenditore rapito aveva raccontato che quello stesso rapitore il 9 gennaio era agitatissimo e preoccupato, secondo la pg “perché sapeva del sopravvissuto e temeva che il testimone avesse visto il responsabile”. Per altro la descrizione fatta inizialmente alla Procura dal testimone calzava perfettamente con quella di quel rapitore, mentre una successiva consulenza tecnica fatta effettuare dalla pg di Cagliari dimostrerà che l’assassino era più basso di Zuncheddu. La svolta definitiva arriva nel corso del 2019 quando la pg Nanni decide di interrogare nuovamente il sopravvissuto alla strage. Che davanti al magistrato conferma le accuse nei confronti di Zuncheddu ma, una volta tornato in macchina dalla moglie, si tradisce, non sapendo di essere intercettato, confermando di fatto di aver indicato il pastore di Bursai su pressione di quell’agente che gli aveva anche fatto vedere la foto di Zuncheddu.

Per la pg di Cagliari non ci sono più dubbi e a quel punto investe della vicenda la competente Procura di Roma, con il pg Francesco Piantoni che a sua volta non ha alcuna incertezza e chiede alla Corte di Appello la revisione del processo, perché Xncheddu è evidentemente innocente, con la contestuale sospensione della pena. La Corte, però, tergiversa, sembra non fidarsi e ordina inizialmente una perizia sulle intercettazioni effettuate su Pinna che parla in sardo, Sei mesi dopo il perito conferma tutto ma per la Corte non è ancora sufficiente e commissiona addirittura altre 30 perizie sulle affermazioni del sopravvissuto, che verranno depositate nel novembre 2022, con la conferma delle affermazioni che scagionano definitivamente Zuncheddu. Eppure la Corte continua a non decidere e rinviare, a questo punto non si capisce bene per quale ragione.

Nell’udienza di lunedì 18 settembre, che ci si era illusi fosse quella decisiva, la Corte ha preso ulteriore tempo, decidendo di sentire il sopravvissuto alla strage, la moglie e anche il poliziotto che ha condotto le indagini. Intanto il 13 ottobre è stata fissata l’udienza per decidere sull’eventuale sospensione della pena. Il minimo che ci si possa aspettare vista la situazione. Perché sarà anche vero che “più ci farà aspettare, più sarà bello uscire”. Ma dopo 32 anni ogni giorno in più che trascorre è semplicemente inaccettabile.

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