Assolta dalla Corte di Appello di Ancona la donna ascolana querelata dal sindaco Fioravanti


Maria Comez era stata querelata per un post su facebook negli ultimi giorni della campagna elettorale del 2019. Dopo la condanna in primo grado da parte del Tribunale di Ascoli, la donna, assistita dall’avv. Aliberti, il 3 luglio scorso è stata assolta “perché il fatto non sussiste”

C’è voluta la Corte di Appello di Ancona per mettere fine all’incubo vissuto negli ultimi 4 anni una donna ascolana, Maria Comez, querelata dal sindaco Fioravanti e incredibilmente condannata in primo grado dal Tribunale di Ascoli. “Il fatto non sussiste” si legge nella sentenza del 3 luglio scorso, firmata dalla presidente della Corte di Appello di Ancona, dott.ssa Maria Cristina Salvia, che ha messo fine ad una surreale vicenda iniziata negli ultimi giorni della campagna elettorale delle comunali del 2019.

Quando la donna, candidata in una lista a sostegno del candidato sindaco Celani, dopo aver letto su un quotidiano on line la notizia dell’aggressione subita dall’ex assessore Travanti da parte di un candidato di una delle liste a sostegno del candidato sindaco Fioravanti, pubblicava su facebook il seguente post: “Che prepotenza, arroganza, insulti e continue minacce regnassero sovrane lo sapevamo, tanti di noi le hanno subite. Ma che poi passassero ai fatti mi lascia allibita! Un sostenitore di Marco Fioravanti ieri sera intorno alle 21 ed in pieno centro storico ha aggredito a calci e pugni il capogruppo di una lista civica che appoggia Celani mandandolo in ospedale con ferite e in stato confusionale. Forse all’origine dello scontro la pubblicazione su Facebook di un verbale della cooperativa Giocamondo del 2015 che riguarda il candidato sindaco Fioravanti in relazione alla gestione dei migranti”.

“Stiamo purtroppo assistendo negli ultimi giorni di campagna elettorale ad un’esternazione di odio e violenza legittimandola come forma di giustizia – scriveva ancora la donna –  fatti gravissimi già in se ma ancora più gravi se si pensa che un candidato sindaco che ha l’ambizione di amministrare Ascoli venga supportato da persone che, invece di portare progettualità in piena collaborazione coi cittadini preferisca dettare legge con minacce ed aggressioni”.

Difficile anche solo immaginarlo ma quelle frasi hanno spinto Fioravanti a querelare la donna, poi citata a giudizio davanti al Tribunale di Ascoli perché “con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, avvalendosi della sua pagina facebook, pubblicava frasi denigratorie nei confronti di Marco Fioravanti”, con tanto di riferimeto a non meglio precisate “altre similari” affermazioni. Il 15 luglio 2021 arriva la sentenza, con la donna che viene condannata al pagamento di una multa di 400 euro, delle spese processuali, del risarcimento danni (1.000 euro) e delle spese di costituzione in giudizio (1.300 euro) della parte civile.

Secondo il giudice del Tribunale di Ascoli, dott.ssa Barbara Bondi Ciutti, la Comez “vuole mettere in relazione i due eventi (l’aggressione e l’attività pregressa di Fioravanti con Giocomondo) che, diversamente, non avrebbero alcun collegamento trattandosi di fatti distinti” e quel forse “che appare più retorico che sincero, svela l’intenzione di attribuire al Fioravanti una diretta responsabilità dell’accaduto”. “Se le iniziali intenzioni della Comez potevano sembrare legate ad una giusta indignazione per i fatti gravi contestati” secondo il giudice nella parte finale di quel post “la donna cede alla tentazione di strumentalizzare l’accaduto cercando di attribuire, seppur con allusioni e previsioni, una responsabilità diretta al candidato sindaco”.

In pratica, visto che, sulla base della lingua italiana, il significato di quel post appare decisamente differente, il giudice deve aver letto nel pensiero della donna. Ironia a parte, scontato il ricorso presentato dal legale della donna, avv. Davide Massimo Aliberti, che, innanzitutto, contesta la nullità del capo d’imputazione e quindi del decreto di citazione a giudizio. “Si fa riferimento ad un solo post – scrive – e poi si conclude frettolosamente ed illegittimamente limitandosi a scrivere altri similari. Che la difesa dell’imputato abbia il diritto di conoscere l’esatta e puntuale ragione del rinvio a giudizio è situazione di agevole comprensione e condivisa da tutti. Dal commento dell’intero corpo della sentenza si percepisce chiaramente come il Giudice di prime cure abbia considerato e si è affidato, invece, a tutti i post non introdotti, perché non potevano esserlo, legittimamente nel processo”.

In particolare il riferimento è ai diversi passaggi della sentenza dove il giudice si basa sulla testimonianza del sindaco stesso  (“diversi post che facevano apparire la mia persona come persona che incita all’odio e alla violenza”) ma anche di alcuni testi presentati dal sindaco stessi (Patrizia Celani e Sara Pantaloni citano post al plurale). “Il capo d’imputazione deve contenere le caratteristiche di specificità tali da consentire il diritto di difesa pieno – si legge nell’atto di appello – è imprescindibile la forma chiara e precisa del fatto e/o dei singoli fatti, la giurisprudenza in materia non offre dubbi in tal senso”.

L’avv. Aliberti, poi, contesta la carenza di legittimazione della costituzione di parte civile. “Nell’unica ipotesi delittuosa concepita nel post che ha indotto il pm a trarre in giudizio la Comez non esiste nel contenuto logico-letterale alcun elemento che comporti un’offesa diffamatoria al Fioravanti” scrive il legale ricordando anche come la difesa della parte civile nel dibattimento ha incalzato tutti i testi, “peraltro senza successo”, per cercare di dimostrare la sconfessata ipotesi secondo la quale la Comez avrebbe attribuito al Fioravanti la qualità di mandante della violenza.

Chiunque abbia letto il post incriminato  – si legge ancora– ha dovuto prendere atto come il tenore logico-letterale di quanto scritto dalla Comez, sulla scorta del pregresso articolo giornalistico, non lasciasse intravedere quale soggetto passivo il Fioravanti bensì l’aggressore del Travanti”. Per questo “la costituzione di parte civile doveva essere dichiarata in carenza di legittimazione”. Viene, poi, sottolineata l’inattendibilità dei testi e la contestuale omissione di riferimenti a deposizioni fondamentali.

Il corpo della sentenza di primo grado – scrive ancora l’avv. Aliberti – prende in esame esclusivamente e parzialmente le deposizioni dei testi Fioravanti, Celani, Pantaloni, Di Girolamo e Travanti mentre alcuna rilevanza viene data a Ferretti Andrea come pure alle dichiarazioni dell’imputata”. Per esempio Fioravanti “ha dichiarato di aver sporto querela esclusivamente perché la donna l’avrebbe individuato mandante di violenza” anche se poi, nel corso del procedimento, non è mai stato capace di dimostrare dove la donna gli avrebbe attribuito questa “colpa”. Ma il primo cittadino si è anche contraddetto, perché “nella dichiarazione a verbale afferma, invece, di essersi reso conto di tale interpretazione solo in sede processuale”.

Sempre Fioravanti a pag. 2 della costituzione di parte civile afferma che la Comez lo avrebbe accusato di metodi violenti, descrivendolo come un crudele capo squadrista. “Dove abbia letto queste cose la costituita parte civile resta un mistero!” commenta l’avv. Aliberti. Significativo, poi, che i testi indotti siano soltanto 3 (eppure si è sostenuto che il post sarebbe stato letto da una moltitudine di persone), tutti in qualche modo legati a Fioravanti: Patrizia Celani “che omette di riferire come il Fioravanti, appena eletto sindaco, la investe con ordinanza sindacale comandante della Polizia municipale di Ascoli Piceno fino all’esaurimento del proprio mandato elettivo”, Sara Pantaloni “segretaria particolare del sindaco e già capo organizzazione della sua campagna elettorale” e Pennacchietti Barbara “all’epoca dei fatti capogabinetto del sindaco dell’amministrazione uscente che proposte Fioravanti sindaco”.

Quanto agli elementi che configurano il reato di diffamazione, il legale della donna sottolinea che “ai fini dell’accertamento del reato deve emergere, sia pure in modalità generica il dolo che deve necessariamente scaturire dalla coscienza e dalla volontà di diffamare qualcuno” mentre la Comez si è limitata ad esprimere un sentimento di condanna alla violenza, appena letto l’articolo dell’aggressione. Per altro le notizie offerte nel post, interpretative di quelle pubblicate in precedenza sul giornale on line, erano vere, mentre che quel post abbia arrecato danno all’elezione di Fioravanti, come lamentato dalla parte civile, è smentito dal fatto che lo stesso è divenuto sindaco. “Chi scrive il presente atto  – si legge infine nel ricorso – non ha difficoltà alcuna ad enucleare la fattispecie in oggetto nell’alveo della critica politica e della più estesa libertà di pensiero” . Che, come è noto e come ha sancito anche la Cassazione, può esercitarsi ed esplicarsi in forma più penetrante ed incisiva quanto più elevata è la posizione pubblica della persona che ne è destinataria.

Come anticipato la Corte d’Appello di Ancona ha accolto il ricorso, cancellando la condanna e assolvendo Maria Comez “perché il fatto non sussiste”. Sarebbero tante le cose da dire in proposito, senza dilungarci ulteriormente è comunque opportuno sottolineare due aspetti a nostro avviso particolarmente significativi. Come il fatto che il sindaco Fioravanti, a proposito dell’imputata, ha affermato che “la sig.ra Comez era candidata come consigliere comunale in una lista contro di me”, chiara dimostrazione che il primo cittadino non concepisce che ci possano essere progetti e proposte per la città differenti, o si è con lui o contro di lui.

Ancora più sconcertante, però, il fatto che tutto il procedimento è stato largamente seguito dall’informazione locale che, ovviamente, ha dato ampio risalto alla notizia della condanna in primo grado. Salvo poi, guarda il caso, neppure fare menzione della sentenza di assoluzione pronunciata dalla Corte di Appello di Ancona. Davvero un pessimo esempio e, soprattutto, una grave mancanza di rispetto nei confronti della donna stessa.

bookmark icon