La legge non è uguale per tutti: il prepotente ritorno della casta


Mentre si moltiplicano i procedimenti per chi osa criticare l’operato di politici e amministratori, in Senato la destra salva dal processo Salvini (e si appresta a salvare Gasparri), affermando l’esclusivo diritto di chi fa parte della casta di offendere e insultare chiunque

Dopo gli sconcertanti eventi degli ultimi giorni, per ribadire l’abisso che separa la casta costituita da parlamentari e ministri (cittadini di serie A) da tutti gli altri (cittadini di serie C, ad essere ottimisti), all’ingresso del Parlamento sarebbe opportuno mettere in bella mostra una targa che, parafrasando una famosa battuta di Alberto Sordi nello straordinario film “Il Marchese del Grillo”, ricordi a chiunque entri in quel luogo così esclusivo che “Noi siamo noi e voi non siete un cazzo”. Per anni la privilegiata ed esclusiva “casta” dei politici sembrava, se non scomparsa, aver comunque perso gran parte del suo enorme potere.

Da qualche tempo, però, si registra un ritorno al passato, con parlamentari e ministri che non si vergognano più, anzi rivendicano con orgoglio e con prepotenza tutti quei privilegi che rimarchino in maniera sempre più accentuata la loro distanza dai cittadini, riaffermando con supponenza il loro diritto all’impunità e il più profondo disprezzo per le regole del vivere civile, valide per tutti gli altri cittadini, non per loro. Impunità che significa anche diritto di offendere e insultare chiunque, oltre ogni limite, senza rischiare di essere sottoposti a giudizio come, invece, capita a qualsiasi normale cittadino. Ed è singolare, ma di certo non sorprendente, che, se da un lato rivendicano con sempre maggiore arroganza la propria impunità, dall’altro i nostri politici non sopportano e accettano più nessun genere di critica, tanto da portare a giudizio anche chi (come i giornalisti) osa muovere critiche nei loro confronti.

Nulla di inatteso, non stupisce che, con la destra al governo, si stiano definitivamente spazzando via due principi che dovrebbero essere alla base di ogni democrazia: il fatto che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge e il principio che chi ha l’onore di rivestire incarichi istituzionali dovrebbe farlo per il bene dell’intera comunità e non per il proprio tornaconto privato. Invece, nei giorni scorsi i parlamentari della destra al governo hanno ribadito che la legge non è affatto uguale per tutti, che chi fa parte di questa ristretta casta si ritiene al di sopra della legge stessa.

Ma anche che le istituzioni sono semplicemente un mezzo per perseguire i propri interessi e per ottenere vantaggi personali, incuranti del fatto che questo atteggiamento getta ulteriore discredito sulle istituzioni, come afferma Fabio Salamida “ridotte a circolo chiuso di quei potenti che con prepotenza rimarcano la loro distanza dai cittadini, la loro impunità, il loro disprezzo per le regole”. Come dimostra la decisione del Senato che ha negato la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del ministro delle infrastrutture Matteo Salvini, accusato di diffamazione aggravata nei confronti di Carola Rakete, all’epoca dei fatti comandante della Sea Watch 3.

La vicenda risale al 2019 quando Salvini, ministro dell’interno, aveva ripetutamente insultato Rakete con espressioni come “delinquente”, “fuorilegge”, “sbruffoncella”, “complice degli scafisti”, “zecca tedesca”. Se qualche giornalista o anche qualche semplice cittadino, osasse rivolgere uno solo di quegli insulti al ministro Salvini (ma anche a qualsiasi altro esponente politico) non avrebbe scampo, querela, procedimento giudiziario e, probabilmente, condanna. Invece la “casta” ha deciso che chi si fregia del titolo di senatore ha anche il diritto di insultare e offendere chi vuole, senza rischiare di subire alcuna conseguenza. Dovrebbe essere esattamente il contrario, chi ha l’onere e l’onore di rivestire una carica istituzionale e rappresentare il proprio paese dovrebbe piuttosto essere tenuto ad avere sempre un comportamento consono. Invece nel nostro paese ha il diritto di dire quello che vuole, di insultare chiunque.

Lo hanno ribadito gli 82 senatori della maggioranza di destra che hanno negato la richiesta di autorizzazione a procedere, mentre i 60 senatori di Pd, MV5 e Avs avrebbero voluto concederla (e Italia Viva si è astenuta…), facendo proprie le ridicole motivazioni con cui il 28 febbraio scorso la giunta delle immunità aveva dichiarato la propria contrarietà all’autorizzazione, sostenendo che le parole del leader della Lega sono coperte da insindacabilità. “Non vedo l’ora di incontrarla in Tribunale. Di guardare in faccia una che ha provato ad uccidere dei militari italiani” aveva dichiarato con sprezzo Salvini alla notizia dell’apertura del procedimento nei suoi confronti.

Come su tante altre questioni – commenta Fabio Salamida – dai pregiudizi sui meridionali al mettersi alla guida dopo aver bevuto ginepro, assenzio e limoncello, dal ponte sullo Stretto a Putin, Salvini deve aver cambiato idea. O forse quel suo ostentato coraggio era falso, come falsa era la storia dello speronamento, una bufala acchiappa like smentita persino dalla Corte di Cassazione”.

Ma ignobilmente rilanciata nei giorni scorsi, proprio in Parlamento, dalla presidente del Consiglio Meloni. Che, per mascherare il fallimento del suo governo in tema di immigrazione (in particolare in relazione alle promesse fatte in campagna elettorale), nel corso delle comunicazioni alla Camera in vista del Consiglio d’’Europa ha ben pensato di parlare dei governi precedenti, affermando che sono arrivati “perfino a legittimare chi sperona le navi dello Stato italiano”, con chiaro riferimento alla vicenda della Sea Watch e di Carola Rakete che, come sottolineato, la Corte di Cassazione ha definitivamente smentito.

Poco importa, gli “eletti” della casta dei politici possono mentire, continuare a raccontare “bufale”, possono insultare chi vogliono, anche nel peggiore dei modi. Infatti, come se non bastasse la vicenda Salvini, poche ore dopo Sergio Rastrelli (Fratelli d’Italia) ha proposto alla giunta delle immunità parlamentari del Senato di negare l’autorizzazione a procedere nei confronti di Maurizio Gasparri per le offese a sfondo sessuale rivolte dal senatore azzurro nel gennaio 2015 nei confronti delle ventenni Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, sequestrate ad Aleppo.

Sono considerate coperte dalla garanzia anche le attività di critica e denuncia politica manifestate in aula, a prescindere dal contenuto comunicativo che può essere il più vario” spiega Rastrelli. Senza neppure provare un pizzico di vergogna…

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