La morte di Berlusconi tra rispetto, ipocrisia e l’imbarazzante beatificazione a reti unificate


Doveroso il rispetto di fronte alla morte di chiunque, inaccettabile leggere post e commenti di chi esulta per la morte dell’ex presidente del Consiglio. Ma ancora più inaccettabile sono l’ipocrita beatificazione e la strumentale narrazione edulcorata dell’epopea berlusconiana

C’è un abisso che separa il doveroso e più profondo rispetto che è dovuto di fronte alla morte di chiunque dalla più imbarazzante ipocrisia che sconfina nel totale stravolgimento della realtà. Partendo da qui, da questi principi, è inaccettabile leggere post e commenti di chi è soddisfatto ed ironizza sulla morte di Berlusconi. E, pur difendendo con la massima convinzione, la libertà di satira, troviamo di pessimo gusto certe vignette come quelle di Vauro e quella di Natangelo pubblicata su “Il Fatto Quotidiano”. D’altra parte non è certo obbligatorio avere sensibilità e buon gusto e la satira viaggia sempre sul filo, non è certo la prima volta che suscita scandalo e indignazione (che, poi, è uno dei suoi obiettivi).

Però consideriamo la vita, ogni vita umana, un valore assoluto, anzi, il valore più alto e indiscutibile. Quindi di fronte alla morte di chiunque non possiamo che provare profondo dispiacere e massima vicinanza e comprensione nei confronti dei suoi familiari e degli amici più vicini. Al tempo stesso, però, non meno inaccettabile, a sua volta una mancanza di rispetto, è la beatificazione a reti unificate che è partita immediatamente dopo la notizia della morte di Berlusconi, con la contestuale narrazione strumentale e farsesca dalla quale, per magia, scompare tutto quello che non è stato mirabile ed eccezionale, tutti i lati oscuri che invece hanno caratterizzato l’epopea berlusconiana. Con l’aggravante della violentissima aggressività verbale e il tentativo di ridurre al silenzio, con anatemi e anche insulti di ogni tipo, nei confronti di chi, pur nel rispetto di chi non c’è più, quella storia vorrebbe ricordarla senza omissioni.

Come è accaduto a Rosi Bindi, colpevole di aver espresso, per altro in maniera civilissima, la propria contrarietà alla decisione del governo di imporre, oltre i funerali di Stato, il lutto nazionale (ma in questo Paese esiste ancora la libertà di espressione?). “I funerali di Stato sono previsti ed è giusto che ci siano – ha affermato – il lutto nazionale per una persona divisiva come lui secondo me non è una scelta opportuna”. Un pensiero lucido e ampiamente condivisibile, per altro senza voler in alcun modo infierire, perché come vedremo ci sono altre e più consistenti motivazioni per mettere in discussione la scelta del governo, anche se non ci sono dubbi (e nessuno, neppure i più appassionati fans del Cavaliere) può negare che Berlusconi sia stato in assoluto il leader più divisivo della storia recente della politica italiana, quello che più di ogni altro ha spaccato il Paese.

E se sui funerali di Stato non ci può essere nulla da obiettare, sono previsti dalla legge per chi ha rivestito il ruolo di presidente del Consiglio (era stato proposti anche per il “latitante” Bettino Craxi, poi la famiglia li rifiutò), il lutto nazionale sono una discutibile imposizione politica del governo. Che non ha precedenti perché il lutto nazionale non furono previsti neppure per la tragica fine di alcuni straordinari servitori dello Stato ed ex presidenti del Consiglio. Come ad esempio Aldo Moro, rapito e poi ucciso dalle Brigate Rosse, o ancora in occasione degli attentati della mafia che costarono la vita a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, insieme ai loro uomini della scorta.

Emblematica, a tal proposito, è la vignetta di Antonio Cabras, che sta spopolando sui social in queste ore, che ritrae due angeli con il volto di Falcone e Borsellino che commentano la morte di Berlusconi. “Senti Giovà, ma per te hanno mica proclamato il lutto nazionale?” chiede Borsellino. “Ovviamente no, Paolo” risponde Falcone che, poi, alla successiva domanda “abbiamo sbagliato qualcosa secondo te?”, risponde sarcasticamente e amaramente “il paese in cui nascere probabilmente”. Un dubbio che in queste ore è comune a tantissimi italiani, a quanti assistono con sconcerto e con disgusto (ma purtroppo non certo con sorpresa) a questa beatificazione e glorificazione, che è cosa completamente e totalmente differente dal più profondo rispetto che si deve nei confronti di chi è deceduto, nei confronti di un uomo politico che sicuramente ha segnato un’epoca (poi è da discutere se in positivo o in negativo) ma che, oltre ad essere stato divisivo come mai nessuno prima, si è macchiato di diverse gravi colpe.

Per questo il modo di approcciarsi migliore è quello che descrive Tomaso Montanari: “Nessuna gioia, anzi la tristezza che si prova di fronte ad ogni morte. Nessun odio ma nessuna santificazione ipocrita”. Non è e non può essere in discussione il giudizio sul suo operato politico, su quanto ha fatto o non ha fatto in concreto per il Paese, con la divisione tra chi, la destra, legittimamente esprime un giudizio oltremodo positivo e chi, invece, dall’altra parte dello schieramento, altrettanto legittimamente considera totalmente negativa l’esperienza politica e gli anni di governo di Berlusconi. Ci sono fatti conclamati, accertati e indiscutibili, che non si può fingere di dimenticare o cancellare dalla narrazione.

La condanna per frode fiscale nel processo Mediaset, con la contestuale interdizione dagli uffici pubblici, è una macchia gravissima e indelebile che non può in alcun modo essere cancellata. Così come non si possono dimenticare i rapporti ambigui con la mafia, il fatto che il suo più fedele amico e braccio destro, fondatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri, sia stato riconosciuto colpevole (sentenza passata in giudicato) di concorso esterno in associazione mafiosa e condannato a 7 anni reclusione, così come l’altro fedele amico e suo avvocato Cesare Previti, condannato per la vicenda Sme e per il caso Imi Sir (corruzione in atti giudiziari), per non parlare della sua iscrizione alla P2, la loggia massonica di Licio Gelli, secondo la Commissione parlamentare d’inchiesta “una vera e propria organizzazione criminale ed eversiva”. E, naturalmente, il gigantesco conflitto di interessi mai risolto che gli ha consentito di spadroneggiare in campo televisivo ma anche in campo editoriale.

Potremmo proseguire a lungo, solo ricordando fatti concreti e senza neppure dover citare le leggi ad personam, i procedimenti da cui si è salvato solo per la sopravvenuta prescrizione. D’altra parte basta allontanarsi un po’ dall’Italia ed osservare come la stampa internazionale ha trattato la notizia della scomparsa di Berlusconi per comprendere ancora meglio l’abisso che passa tra il rispetto e l’ipocrisia. Tutta la stampa estera sottolinea l’importanza e l’incidenza che ha avuto Berlusconi nella vita politica italiana degli ultimi 30 anni, senza però indugiare in un’ipocrita beatificazione postuma e, praticamente all’unanimità, senza nascondere scandali e vicende giudiziarie che hanno coinvolto, direttamente o indirettamente, l’ex presidente del Consiglio. “Ha cambiato il mondo anche se non in meglio” titola il Suddeutsche Zeitung, con un’analisi del trentennio berlusconiano ancora più sferzante.

In tutti i suoi anni di politica – scrive il quotidiano tedesco – Silvio Berlusconi si è preoccupato soprattutto di una cosa: se stesso”. Il quotidiano inglese The Guardian, invece, ricorda “il politico travolto dagli scandali, dal bunga bunga alle frodi fiscali”, fino alle dichiarazioni controverse sulla guerra russa in Ucraina. “He introduced sex and glamour to Italian tv and than brought the same formula to politics, dominanting the country and its culture for more than 20 years” (2ha introdotto il sesso e il glamour nella tv italiana e poi ha portato la stessa formula alla politica, dominando il paese la sua cultura per più di 20 anni”) scrive The New York Time. Sulla stessa linea Le Figaro, El Pais, mentre El Mundo ripercorre tutti gli scandali che l’hanno coinvolto, dai finanziamenti del Psi di Craxi al lodo Mondadori, dalla condanna definitiva di Dell’Utri alla condanna per frode fiscale, fino al caso Ruby.

A differenza di quella italiana, la stampa estera non gli ha risparmiato nulla. E’ comprensibile che una simile schiettezza possa in qualche modo infastidire i suoi più affezionati sostenitori, ma è altrettanto innegabile è che profondamente ipocrita l’atteggiamento di chi, riscrivendo in maniera strumentale ed artefatta la storia di questi 30 anni, pretende di beatificare l’ex presidente del Consiglio, indignandosi e chiedendo poi un rispettoso silenzio a chi osa ricordare che i fatti raccontano una storia differente.

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