L’addio di Fabio Fazio una “sciagura” da oltre 100 milioni di euro per la Rai


I giornali di destra e la Codacons esultano, Salvini dimentica il ruolo istituzionale che ricopre e reagisce come un bambino dell’asilo. Ma, come aveva sancito anche la Corte dei Conti, l’addio di Fazio è una sciagura economica per la Rai che perde oltre 120 milioni all’anno

Mettendo da parte la solita sguaiata reazione di Salvini, che dimostra per l’ennesima volta quanto sia inadeguato a rivestire una così importante carica istituzionale (il leader della Lega è il vicepresidente del Consiglio oltre che ministro delle infrastrutture), l’aspetto più sconcertante della tanto discussa dell’addio di Fabio Fazio alla Rai è che 6 anni dopo si utilizzano le stesse infondate argomentazioni, le stesse evidenti bufale di allora, come se in tutto questo tempo non fosse accaduto nulla, come se in questi anni non siano stati resi noti elementi che hanno spazzato via (si sperava definitivamente) quelle fuorvianti strumentalizzazioni.

“Che bel tempo che fa” ha titolato nei giorni scorsi “Libero” evidenziando il presunto costo eccessivo per la Rai del programma di Fazio. “Per le tasche dei cittadini italiani che finanziano la Rai attraverso il canone l’addio di Fabio Fazio è sicuramente una buona notizia” rilancia il Codacons, sostenendo che in 5 anni “Che tempo che fa” “potrebbe aver raggiunto il costo record di 100 milioni” e ricordando di aver presentato in proposito un esposto alla Corte dei Conti. Peccato, però, che il Codacons dimentica (o finge di dimenticare) che la Corte dei Conti si è già espressa in proposito, demolendo inesorabilmente e senza possibilità di replica le “panzane” sul costo di quel programma, confermando quello che è da sempre noto a chi conosce bene i fatti, cioè che Fazio è una preziosissima risorsa per la Rai, altro che un costo.

Per dovere di cronaca è giusto ricordare che a scatenare l’insulsa guerra contro Fazio nel 2017 fu il Movimento 5 Stelle, a cui successivamente si accodarono la Lega e Fratelli d’Italia, con il coinvolgimento anche di una parte del Pd capitanata da Anzaldi (che, come il Codacons, presentò un esposto alla Corte dei Conti e all’Anac, entrambi miseramente rigettati). Semplice e bassa demagogia, solo parzialmente giustificabile dal fatto che allora, era il 2017, si conoscevano meno nel dettaglio le cifre relative ai reali costi e agli introiti pubblicitari del programma. “Se non avessimo chiuso l’accordo e Fazio avesse firmato per un’altra azienda avremmo dovuto rispondere per un danno all’azienda” spiegava allora il consigliere Rai Arturo Diaconale (uomo indiscutibilmente di destra). “Non so se la Rai avrebbe retto senza di lui, Fazio ha salvato 13 mila posti di lavoro” aggiungeva il presidente della Rai Mariolina Maggioni.

Due anni dopo a confermare il più assoluto fondamento di quelle affermazioni dei vertici Rai ci ha pensato la Corte dei Conti che, archiviando le inchieste aperte dopo gli esposti del deputato del Pd Anzaldi e del Codacons, ha evidenziato come non solo non è esiste alcun danno erariale ma, anzi, “Che tempo che fa” è una preziosissima fonte di guadagno per la Rai. I magistrati contabili hanno infatti ricordato come il costo medio delle puntate del programma di Fazio “è inferiore del 50% rispetto al costo medio dei programmi di intrattenimento Rai” e, soprattutto, come i ricavi fossero in linea con le aspettative e di gran superiori a qualsiasi altro programma di intrattenimento della tv di Stato. Andando poi nel dettaglio, la Corte dei Conti ha sottolineato come il prezzo medio degli spot da 15 secondi che passavano nelle puntate di “Che tempo che fa” variava da 38 a 46 mila euro. Che per 15-20 minuti complessivi di spot comporta un ricavo medio di oltre 3 milioni di euro a puntata.

In pratica con una sola puntata la Rai paga ampiamente il compenso annuo di Fazio (2,2 milioni di euro). Naturalmente il costo complessivo del programma è più alto perché ci sono altre spese di cui tener conto. Secondo il presidente del Codacons, Carlo Rienzi, ai 2,2 milioni di euro di cache personale di Fazio devono essere aggiunti i 10,6 milioni di euro di costi di produzione e diritti sul format pagati dalla Rai alla società “Officina srl”. Ci sono poi i costi di rete, scenografia e redazione per circa 3 milioni di euro, quelli per costumi, trucco, riprese interne e collegamenti esterni per circa 3-4 milioni, per totale complessivo di una ventina di milioni all’anno. Secondo quanto riportato nei giorni scorsi da “Il Corriere della Sera”, in media ogni puntata di “Che tempo che fa” costa 450 mila ma incassa dalla pubblicità 5 volte di più, visto che il prezzo medio degli spot da 15 secondi è ora di 40 mila euro, con complessivamente 16 minuti di spot (quindi un introito per la Rai di 2.560.000 euro a puntata).

Questo significa che in un anno (60 puntate) il programma di Fazio costa alla Rai 27 milioni di euro (quindi i conti del Codacons oltre che parziali sono anche sballati) ma garantisce alla Rai stessa introiti per oltre 150 milioni. In altre parole Fazio rappresenta per la tv di Stato un preziosissimo “tesoretto” di 120 milioni di euro. Alzi la mano chi conosce un’azienda privata che, non solo sarebbe disposta, ma addirittura esulterebbe in maniera così sguaiata, di fronte alla perdita di un utile netto di oltre 120 milioni di euro all’anno. Per questo, a prescindere dai legittimi gusti di ognuno e dalle reali motivazioni per cui se ne va (o costretto ad andarsene) dalla Rai, la perdita di Fazio per la tv di Stato è poco meno di una sciagura che rischia di avere pesanti conseguenze.

Sorvolando sul Codacons, che ormai da tempo ha perso anche l’ultimo briciolo di credibilità, è davvero inaccettabile che un ministro e un vicepresidente del Consiglio si esprima con toni da bambino dell’asilo, esultando per qualcosa che provoca un grosso danno economico al servizio pubblico. Per altro è sconfortante constatare come nella discussione e nelle polemiche che inevitabilmente sono seguite all’annuncio dell’addio di Fazio si sia completamente perso di vista il vero nocciolo della vicenda. Che quella di Fazio sia stata una scelta libera e autonoma o forzata dalle pressioni politiche piò o meno velate da parte del nuovo governo, il problema non è certo il conduttore genovese.

Non è lui la vittima, non perde assolutamente nulla, anzi, ha già pronto il contratto per 4 anni con la Warner Bros Discovery (dove di sicuro non guadagnerà di meno…) insieme a Luciana Littizzetto, con debutto su Nove previsto per il prossimo autunno. La vittima di questa situazione è l’azienda pubblica, la Rai, che perde tantissimo dal punto di vista professionale (che piaccia o no è indiscutibile il valore di Fabio Fazio e il gradimento, sempre molto elevato, dei suoi programmi) ma anche e soprattutto dal punto di vista economico. La fortissima ingerenza della politica nella Rai non è certo una cosa nuova, l’hanno fatto tutti i governi, lo sta facendo anche la destra. Questo non significa che non sia un malvezzo ma, da questo punto di vista, nessuno degli altri partiti può legittimamente contestare.

Di diverso rispetto al passato c’è che questo governo di destra non sembra volersi limitare ad occupare tutti le poltrone che contano nei vertici Rai, sia a livello dirigenziale che come direttori di rete e dei telegiornali, ma sta cercando di condizionare pesantemente anche le scelte artistiche, la programmazione stessa. Come dimostrano le folli polemiche sulla serie tv su Rocco Schiavone (Marco Giallini), per non parlare del tiro a bersaglio contro Amadeus e l’ultima edizione di Sanremo che, pure, ha fatto segnare il record di ascolti e di introiti pubblicitari. E se, come sembra, il prossimo passo sarà il cambio alla direzione artistica proprio del festival della canzone italiana, il rischio concreto è di far perdere alla Rai, nel giro di qualche mese, centinaia di milioni di euro.

Un durissimo colpo per l’azienda di Stato, le cui conseguenze sono facilmente intuibili perché a quel punto o si metterà nuovamente mano alle tasche degli italiani, aumentando il canone, o si lascerà sprofondare la Rai, per la gioia dei network privati.

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