Ma chi se ne frega dei bambini ucraini deportati…


Dopo le denunce di Save the Children e di Amnesty International, la Corte internazionale dell’Aia accusa Putin per la deportazione di migliaia di bambini ucraini nei campi di “rieducazione” russi. Ma evidentemente nel nostro Paese “pietà l’è morta”…

Ma chi se ne frega dei bambini ucraini. Anche se non così apertamente, complessivamente si potrebbe sintetizzare in questo modo la reazione dei media e dell’opinione pubblica alla notizia che la Corte internazionale dell’Aia ha emesso un mandato di arresto nei confronti di Putin e della Belanova (commissaria per i diritti dei bambini della Russia) per aver deportato migliaia di bambini ucraini nei campi di rieducazione russi. Utilizzando un’espressione tanto cara al partigiano Nuto Rovelli, verrebbe da dire che in questo paese (o almeno in una sua consistente parte) ormai “pietà l’è morta”.

Perché di fronte ad una simile tragedia umanitaria, che dovrebbe provocare la massima indignazione e la più profonda solidarietà nei confronti di quei poveri bambini e delle loro disperate famiglie, a parte qualche rara eccezione si concentra l’attenzione su altro, si ripetono come mantra i soliti slogan, si parla di aspetti marginali, per altro spesso con informazioni quanto meno parziali per non dire poco corrette. Eppure siamo di fronte a qualcosa di abominevole, che ci si illudeva non avremmo più dovuto ricordare, che per certi versi, anche per le proporzioni, fa tornare in mente il dramma dei desaparecidos, sotto il regime militare in Argentina e sotto la dittatura di Pinochet in Cile.

In quei casi a essere deportati in prigioni e campi di concentramento erano gli oppositori, o anche solamente chi fosse sospettato di essere tale, che venivano torturati e, nella maggior parte dei casi, alla fine uccisi e seppelliti in fosse comuni. In Argentina le cifre ufficiali del Conadep (Comision Nacional sobre la Desaparocion de Personas” parlano di 9 mila casi accertati, ma diverse fonti indicano in almeno 30 mila il numero dei dissidenti scomparsi, mentre in Cile il fenomeno dei desaparecidos coinvolse circa 40 mila persone, di cui 2 mila circa morti accertati e 38 mila scomparsi.

Per quanto concerne i bambini ucraini deportati, i casi accertati e certificati dalla Corte penale dell’Aia sono più di 6 mila (in 43 strutture diverse) ma le autorità ucraine e le associazioni umanitarie che da mesi si occupano di questo ulteriore dramma sono certi che i casi reali sono più del triplo. “Gli episodi identificati includono la deportazione di centinaia di bambini prelevati da orfanotrofi e case di accoglienza, molti di questi bambini sono stati dati in adozione nella Federazione russa” si legge nel rapporto del procuratore capo Karim Khan che sottolinea anche come quei bambini ucraini erano persone protette dalla Convenzione di Ginevra. Naturalmente, oltre a quelli prelevati nelle strutture, la deportazione ha riguardato soprattutto bambini e adolescenti sottratti, con la forza o con l’inganno, alle famiglie ucraine.

In tal senso emblematica la storia raccontata al giornale inglese “Guardian” da Yevhen Mezhevyi, un cittadino ucraino di Mariupol, arrestato dai funzionari russi (per aver prestato servizio nell’esercito ucraino dal 2016 al 2019), che all’uscita dalla prigione (dopo 45 giorni di detenzione) non ha ritrovato i suoi figli, portati a Mosca in un campo rieducativo. Fortunatamente la sua è comunque una storia con il lieto fine, perché dopo una serie di peripezie e grazie anche all’aiuto di alcuni volontari, Yevhen ha potuto ritrovare e riabbracciare i suoi figli, fuggendo poi con loro in Lettonia. Nella stragrande maggioranza dei casi, però, non c’è affatto il lieto fine e sono migliaia le famiglie ucraine che non hanno più notizie dei loro figli. Portati in uno dei 43 campi di rieducazione presenti in tutti la Russia, due dei quali anche in Siberia, ad oltre 8 mila km dal confine con l’Ucraina.

In realtà quando i bambini arrivano in quei campi per ognuno di loro viene indicata una data di rientro che, però, puntualmente viene ritardata di settimana e in settimana, in diversi casi a tempo indeterminato. Nel rapporto del procuratore Khan si legge che in quei campi i bambini ricevono un’educazione patriottica e militare filo russa, mentre ai più grandi viene sottoposto un programma di indottrinamento filo russo con piani scolastici, gite in luoghi patriottici e l’ascolto dei proclami dei veterani di guerra, in diversi casi con l’aggiunta della preparazione pratica con addestramento all’uso delle armi. Al momento non ci sono prove sull’ipotesi di invio in battaglia di adolescenti e ragazzi di quei campi.

E’ giusto ricordare come la decisione della Corte dell’Aia da mesi era stata sollecitata da associazioni come “Amnesty International” e “Save the children”  che da tempo denunciano la deportazione dei bambini ucraini. Proprio Amnesty International, nel rapporto “Like a prison convoy” (Come un convoglio di prigionieri) del 6 dicembre scorso aveva anticipato i temi che ora si ritrovano nel rapporto della Corte dell’Aia, denunciando come dietro a quelle deportazioni ci fosse una strategia messa in atto dal marzo scorso da Putin che, non a caso, al terzo mese di guerra aveva firmato un apposito decreto per facilitare l’assorbimento e l’adozione di bambini ucraini. “La Russia ha accelerato il processo per la cittadinanza in modo che i bambini ucraini possano essere dati in adozione alle famiglie russe” denunciava a dicembre Agnes Callamard, segretaria generale di Amnesty International. Che ha corredato quel rapporto con numerose drammatiche testimonianze di madri e famiglie che da mesi non hanno più notizie dei propri figli ma anche da parte di chi ha operato in determinate zone e ha fatto di tutto per tutelare i bambini e, più in generale, i civili.

Come medici e personale dell’ospedale di Kherson che hanno raccontato di come sono riusciti a proteggere e salvare dalla deportazione decine di bambini, truccando documenti e falsificando cartelle cliniche per diagnosticare malattie inesistenti per rendere impossibile il trasferimento verso la Russia. O come quella del direttore del centro di riabilitazione sociale e psicologica di Stapanivka che ha raccontato di aver falsificato documenti ma anche di aver accompagnato da parenti lontani o di aver affidato a membri del suo staff bambini per evitargli la deportazione. Una devastante tragedia umanitaria che, però, non sembra toccare i media italiani, più preoccupati di sottolineare come questa vicenda rischia di rendere ancora più labili le speranze su una possibile pace. Preoccupazione effettivamente più che concreta, ma si può far finta di nulla, fregarsene di migliaia e migliaia di bambini nella speranza di poter dormire noi sonni più tranquilli?

In termini più sconcertanti, perché di mezzo ci sono i bambini, si ripropone il problema di una parte dei pseudo pacifisti italiani, quelli che sarebbero pronti ad accettare il sacrificio dell’Ucraina, dei suoi cittadini e finanche dei bambini pur di non correre il minimo rischio. Fortunatamente non tutti i pacifisti di casa nostra sono così, è da apprezzare, ad esempio, il risalto e la campagna in favore di quei bambini e delle loro famiglie che sta incessantemente portando avanti (da mesi) “Avvenire” che, pure, è tra i principali sostenitori della ricerca di una soluzione pacifica. Purtroppo, però, anche in questa situazione nel complesso l’informazione italiana ha tirato fuori il peggio di se, tra autentici deliri e involontarie dimostrazioni di cinismo.

Come quella di una delle principali agenzie di stampa che, con sprezzo del ridicolo, scrive che “secondo l’Onu deportare bambini in campo di rieducazione è crimine di guerra”… L’apice, però, come al solito quando si tratta dell’Ucraina lo raggiunge Marco Travaglio che, nel più classico del “bue che disse cornuto all’asimo”, ha anche scritto un libro sul tema dal titolo “Scemi guerra”. Il direttore de “Il Fatto Quotidiano” liquida il dramma della deportazione dei bambini ucraini con un semplice “non che Putin con le sue truppe non abbia commesso crimini”, mettendo sullo stesso piano Zelensky e Putin (e naturalmente Biden) sostenendo che non a caso tutti e tre non hanno riconosciuto la Corte penale internazionale. Fingendo di dimenticare che in realtà l’Ucraina aveva avviato la procedura di riconoscimento della Corte prima dell’inizio dell’invasione ma, soprattutto, ignorando il piccolissimo, insignificante particolare che da una parte c’è chi sta commettendo gravissimi crimini (la deportazione dei bambini, gli attacchi ai civili, le stragi come quella di Bucha), dall’altra chi ha come unica colpa quella di difendersi da chi l’ha invaso.

La tesi di Travaglio è semplice e, al tempo stesso, agghiacciante, il problema non sono i crimini commessi da Putin e la Russia (la deportazione dei bambini, i bombardamenti contro i civili, le esecuzioni di civili come la strage di Bucha), che non nega, ma il fatto che quei crimini sono risultati di intralcio alle trattative. Stai a vedere che alla fine la colpa è delle vittime…

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