Non si può morire di università…


Dopo l’ennesimo suicidio di una 19enne, il mondo universitario si mobilita. L’Udu organizza flash mob in tutta Italia e accusa la politica che “da troppo tempo ignora le nostre richieste”. La presidente degli universitari di Padova: “Siamo stanchi di piangere i nostri coetanei”

Siamo stanchi di piangere i nostri coetanei”. Il drammatico, commosso e commovente appello l’ha lanciato Emma Ruzzon, la 23enne presidente del Consiglio degli studenti dell’Università Bo. Pochi giorni prima, dopo l’ultimo drammatico caso del suicidio di una studentessa 19enne, l’Unione degli universitari (Udu) aveva organizzato flash mob in tutta Italia con lo slogan “Non si può morire di università. Contro un merito che uccide”.  Perché nel silenzio dei media, purtroppo si continua a morire di università ed i suicidi (e i tentati suicidi) di giovani studenti universitari sono diventati un’emergenza che non si può continuare ad ignorare e che dovrebbe indurre ad una seria riflessione su determinati modelli educativi (o presunti tali) che non sono più (o forse non lo sono mai stati) sostenibili.

L’ultimo drammatico episodio, in ordine di tempo, è quello avvenuto il 1 febbraio scorso quando nei bagni dell’Università Iulm di Milano è stata ritrovata una ragazza 19enne priva di vita, impiccata con una sciarpa, dopo aver lasciato inequivocabile in cui spiega le ragioni del suo tragico gesto. Qualche settimana prima era stata la volta di un 26enne della provincia di Padova che si è andato a schiantare volontariamente contro un albero con la sua auto nel giorno in cui avrebbe dovuto laurearsi in Scienze infermieristiche (poi si è scoperto che non era così).

Prima ancora c’era stato un 23enne abruzzese che si è gettato nel Reno a Bologna. Aveva annunciato alla sua famiglia la data della sua laurea, anche se in realtà era lontano dalla fine del suo percorso universitario. Stessa drammatica sorte per un altro studente abruzzese iscritto a Bologna ma che frequentava il campus di Forlì che aveva addirittura convocato la famiglia per assistere alla sua tesi. Solo che, mentre i genitori si recavano a Forlì, lui ha fatto perdere le sue tracce per andarsi a gettare dal ponte perché in realtà non stava affatto per laurearsi, gli mancavano ancora diversi esami. Nel corso dell’estate scorsa era stata la volta di uno studente iscritto al terzo anno di Medicina a Pavia che si è tolto la vita angosciato dalla paura di perdere la borsa di studio per l’anno successivo perché rimasto indietro di alcuni esami.

Alcuni di questi casi li ha citati anche Emma Ruzzon, intervenendo all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Padova, alternandoli ad alcuni casi di “studenti prodigio” (il più giovane laureato d’Italia a 20 anni, il 23enne medico, lo studente che ha preso 5 lauree in 6 anni), in una sinistra ma emblematica dicotomia. “Credo che sia evidente a tutti la narrazione mediatica intorno al percorso universitario – ha evidenziato Emma Ruzzon – ci viene restituito il quadro di una realtà che fa male. Vengono celebrate eccellenze straordinarie facendoci credere che siano normali. Sentiamo il peso di aspettative asfissianti che non tengono in considerazione del bisogno umano di procedere con i propri tempi, nei propri modi”.

Non ci sono in proposito dati ufficiali ma “Skuola net” ne ha contati una trentina, sottolineando come il dato potrebbe essere sottostimato. “Torino, Roma, Napoli, Nord, Centro, Sud: nessuna area geografica è stata risparmiata da tragedie evitabili” sottolinea il portale che si rivolge agli studenti. Dal mondo degli studenti universitari già da tempo si chiede di prestare attenzione a questa delicatissima emergenza che si sta progressivamente ampliando. Come dimostra anche il fatto che, fino a qualche tempo fa, certi drammi avvenivano alla vigilia della presunta laurea, quando non si può più bluffare e i più fragili non reggono alla vergogna. Invece da un po’ di tempo il baratro si apre anche prima, quando quel mondo universitario diventa una gabbia.

Per altro vale la pena sottolineare come il boom di suicidi e di tentati suicidi rappresenta solo la punta dell’iceberg perché sono sempre di più i ragazzi e le ragazze che manifestano problemi, che rischiano di perdersi e che finiscono sull’orlo del baratro. Spinti da una pressione sociale (e in diversi casi anche familiare ed economica) che impone un insostenibile e un inaccettabile modello competitivo sempre più performante. Con un sistema universitario assolutamente incapace di aiutare chi ha difficoltà e che, anzi, li sottopone ad uno stress continuo ed aspettative sempre maggiori. Da leggere e rileggere la toccante lettera scritta da alcune compagne della 19enne morta all’Iulm di Milano, ancor più da ascoltare l’intervento di Emma Ruzzon.

Ci viene chiesto perennemente di ambire all’eccellenza – scrivono le compagne della povera 19enne – ci viene insegnato che il nostro valore dipende solo ed esclusivamente dai nostri voti. Questo sistema universitario continua e continuerà ad uccidere. Togliersi la vita non è dovuto ad una decisione momentanea, non ci si impiega certo 3 minuti. E’ il risultato di n carico che si porta da mesi o da anni., che la società ci butta addosso senza mai voltarsi indietro a controllare il nostro stato di salute”. “Siamo stanchi di piangere i nostri coetanei e vogliamo che tutti i nostri politici presenti si mettano a disposizione per capire insieme a noi come attivarsi per rispondere a questa emergenza. Serve il coraggio di mettere in discussione l’intero sistema meritocentrico e competitivo. Con quale coraggio possiamo ascoltare il nostro bisogno umano di rallentare? Ci viene insegnato che fermarsi significa deludere le aspettative sociali e molto spesso familiari, fermarsi vuol dire rimanere indietro. Ma da quando è che studiare è diventata una gara? Da quando formarsi è diventato secondario rispetto a performare?” spiega Emma Ruzzon che, prima di iniziare il suo intervento, ha appoggiato sul leggio una corona di alloro con un fiocco verde.

La corona di alloro che ho posato simbolicamente qui – aggiunge – non deve significare l’eccellenza, la competizione sfrenata, deve essere simbolo del completamento di un percorso che è personale, di liberazione attraverso il sapere. Abbiamo scelto di mostrarla qui, con un fiocco verde, quello del benessere psicologico, per tutte quelle persone che non potranno indossarla, per tutte le persone che sono state, che stanno male solo all’idea di raggiungere questa corona e di tutte le pressioni che si porta intorno. Stare male non deve essere normale”.

Già nel maggio scorso, in occasione della cerimonia per gli 800 anni dell’Università di Padova, aveva colpito platea altamente qualificata di fronte alla quale aveva pronunciato il suo discorso, alla presenza delle due più alte cariche dello Stato (il presidente della Repubblica e la presidente del Senato), spiegano in maniera illuminante cosa di dovrebbe intendere con il concetto di libertà (e quella spiegazione era poi stata addirittura ripresa nel suo intervento dallo stesso Mattarella). Anche in quella occasione aveva lanciato un grido di allarme sulla condizione e sulle prospettive dei giovani.

Se voi ora voleste finalmente chiedere a noi, alla mia generazione, come stiamo – aveva affermato rivolgendosi a politici e rappresentanti istituzionali presenti – credo che difficilmente potremmo rispondere che ci sentiamo una generazione libera, quantomeno di poter immaginare il futuro”. Ora lei, quelle ragazze disperate per la drammatica perdita di una loro coetanea e l’Unione degli universitari (Udu) si rivolge al mondo politico ma non solo per “non dover piangere più” i loro coetanei.

Da troppo tempo le nostre richieste vengono ignorate dalla politica – accusa l’Udu – che preferisce parlare di un senso distorto del merito anziché di inclusione, ascolto e supporto psicologico. C’è una sofferenza, un’ansia diffusa che viene costantemente ignorata: quando le istituzioni si renderanno conto che è il momento di cambiare narrazione, intervenendo con risorse e strumenti adeguati di supporti agli studenti?

 

 

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