La sindrome di Tafazzi colpisce ancora, la destra ringrazia e passa all’incasso in Lazio e Lombardia


Il tafazzismo di quell’armata Brancaleone dell’opposizione è diventato endemico e si appresta a dare i suoi frutti anche alle prossime “regionali”. Con il colpo di genio di Renzi e Calenda in Lombardia e la solita dabbenaggine politica di Pd e M5S in Lazio

“La sinistra ha una grande capacità di tafazzismo, si dà sempre le mazzate sui piedi da sola e alla fine sono sempre caduti per fuoco amico. I 5 Stelle “so’ ragazzi” come si dice a Roma ma anche loro sembrano avere un bel talento a darsi la mazza sui piedi”. Era il marzo del 2019 quando Francesco Pannofino, nel corso di “Dimartedì” (La7), evidenziava in maniera molto lucida lo sconfortante autolesionismo della sinistra e del M5S.

Da allora sono passati più di 3 anni e il tafazzismo della sinistra (o quanto meno di quella parte politica che assomiglia e si definisce di sinistra) se possibile si è sensibilmente accentuato, mentre il M5S è sicuramente cresciuto, nel senso che non possono più essere definiti “dei ragazzi”, ma da questo punto di vista sono ulteriormente peggiorati. Anche perché il suo attuale leader da un anno e mezzo a questa parte sembra davvero la controfigura del personaggio interpretato da Giacomo Poretti e reso celebre da “Mai dire gol”. Quanto meno, però, il M5S un leader, discutibile quanto si voglia, ce l’ha.

Il Pd al momento non ha neppure quello e, a quasi 4 mesi dalla “batosta” elettorale, è ancora nell’interminabile fase preliminare del congresso che dovrà designare il nuovo segretario, sempre più simile alla parodica rappresentazione dell’area progressista fatta nel film “Bentornato presidente”. E se la riscossa politica di quella variegata galassia che gravita nell’area del centrosinistra deve essere affidata alla controfigura di Tafazzi e alla surreale parodia di quel che è diventato il Pd allora è inevitabile attendersi altre clamorose “batoste”. Forse qualcuno si era illuso che l’apice del tafazzismo fosse stato toccato nel settembre scorso.

Quando la dabbenaggine politica di Letta e Conte, con l’aggiunta dell’insopportabile sadismo distruttivo dell’accoppiata Renzi-Calenda, aveva consegnato l’Italia alla destra guidata da Giorgia Meloni. Invece questi autentici “nani politici” evidentemente non hanno imparato nulla dalla “tranvata” presa, probabilmente anche perché da una parte (Pd) ormai ci si è assuefatti alle “batoste”, mentre dall’altra (M5S) a forza di ripeterlo come un mantra ci si è autoconvinti che aver più che dimezzato i propri consensi rispetto alle precedenti elezioni politiche (dopo aver perso anche tutti i sindaci più importanti) per qualche folle ragione possa essere considerato uno straordinario successo.

Se poi a questo desolante quadro si aggiungono i due “geni” della politica italiana, Renzi e Calenda, quelli che comunque vadano le elezioni non perdono mai (e che quindi non hanno mai bisogno di fare una minima autocritica), allora il risultato finale non può che essere quello a cui assisteremo tra circa 2 mesi. Cioè che la destra, dopo aver preso il paese, conquisterà anche le 2 regioni più importanti, Lazio e Lombardia. E non certo perché ha guadagnato chissà quale consenso nel paese, semplicemente perché dall’altra parte il tafazzismo è diventato ormai endemico. In realtà delle due regioni in cui a febbraio si andrà al voto la Lombardia da decenni è guidata dalla destra.

Ma dopo il disastro nel periodo della pandemia ed i tanti guai del governatore Fontana, i tempi erano maturi per il cambio della guardia. Ed in effetti tutti i sondaggi, per quanto come sempre da prendere con le dovute precauzioni, evidenziano il netto calo del consenso del governatore lombardo uscente, tanto da rendere più che concreta la possibilità di una sconfitta della destra. Però non si erano fatti i conti con la “follia” dei nuovi Totò e Peppino della politica italiana, Matteo Renzi e Carlo Calenda. Che, invece di sfruttare questa ghiotta occasione e provare ad unire gli sforzi per liberare la Lombardia dal dominio della destra, hanno partorito la geniale idea di candidare uno degli storici rappresentanti di quella destra, Letizia Moratti, delusa dal fatto di non essere stata candidata dalla sua parte politica. Tra l’altro presentata, palesemente in contrasto con la logica e la realtà, come l’unica in grado di battere Fontana.

Naturalmente entrambi, non essendo dei dilettanti politici (anche se spesso per come si muovono lo sembrano) sapevano perfettamente che né il Pd né tantomeno il M5S, visti i precedenti e il curriculum politico della Moratti, avrebbero mai potuto anche solo pensare di appoggiare una simile candidatura. Quindi Renzi e Calenda erano pienamente coscienti che quella scelta rappresentava l’unica possibilità per la destra per evitare quella sconfitta in Lombardia che invece sembrava inevitabile, almeno fino all’invenzione dei due “geni” della politica italiana. Che, a quel punto, avrebbero fatto figura migliore nel sostenere direttamente e alla luce del sole la candidatura di Fontana, invece che farlo nel modo più subdolo possibile. Non che ce ne fosse bisogno, ma i dati dei sondaggi sulla Lombardia confermano lo sconcertante scenario.

Il candidato del resto del centrosinistra, appoggiato anche dal M5S, (Maiorino) è dato molto vicino nelle intenzioni di voto a Fontana, con una distanza tra il 4 e il 5% (alle precedenti elezioni regionali Fontana aveva praticamente doppiato il suo avversario Gori). La “fuoriclasse” vincente messa in campo da Renzi e Calenda, Letizia Moratti, è lontanissima, senza neppure mezza possibilità di competere, accreditata di un 12-13% determinante per evitare il ribaltone e garantire la conferma a Fontana.

Ma se in Lombardia gli amici della destra sono Renzi e Calenda, nel Lazio l’assist ai “Meloni’s boys” arriva dal Pd senza leader e dal M5S di Conte. Che se si presentassero uniti vincerebbero a mani basse, visto che secondo tutti i sondaggi il loro eventuale candidato unitario sarebbe ben oltre il 50% e con un vantaggio superiore al 10% rispetto al candidato della destra (Rocca). Però evidentemente sembrava brutto rovinare la luna di miele della presidente del Consiglio e del nuovo governo di destra. Così hanno ben pensato di ripetere il suicidio politico di settembre, presentandosi di nuovo divisi, spianando così la strada alla destra e al suo candidato. Che nei sondaggi non sfonda, è accreditato di un 42-43% che, però, è sufficiente a superare il candidato del centrosinistra D’Amato (accreditato di 34-35%) e la candidata del M5S Bianchi, data intorno al 17-18%.

Un nuovo capolavoro di autolesionismo, con il solito conseguente insulso teatrino dello scambio di accuse senza neppure un accenno di autocritica. Con Conte e il M5S che incolpano il Pd di aver scelto il candidato senza neppure confrontarsi, fingendo di dimenticare che l’ex presidente del Consiglio per mesi non ha fatto altro che ripetere che in Lazio non avrebbe mai fatto alcun accordo, a prescindere da tutto, con il Pd. Che a sua volta in effetti non ha mai neppure provato a lanciare una proposta di collaborazione e di condivisione ai “grillini”.

Al di là di ogni altra considerazione, però, c’è la conferma dell’insussistenza e della miopia politica dei principali partiti e dell’opposizione, vera e unica solida assicurazione per il governo Meloni. Che a questo punto per coerenza e per dignità dovrebbero finirla di inveire contro il nuovo esecutivo, di continuare a gridare ai rischi che ci sarebbero per la tenuta del paese, perché se davvero sono convinti che questa destra è una simile iattura per l’Italia ovunque governi (anche nelle regioni) allora dovrebbero agire di conseguenza.

Il problema è che attualmente nel suo complesso l’opposizione è una impresentabile armata Brancaleone, con i due narcisisti che si ritengono dei fuoriclasse ma in concreto non ne azzeccano più una da tempo, quello che una volta era il principale partito e punto di riferimento dell’area del centrosinistra che non si capisce (o forse non si è mai capito) cosa sia realmente, e il M5S che vive esclusivamente di propaganda e che, dopo aver miseramente fallito la prova di governo (anche nelle città), ha come unico obiettivo quello di diventare il primo partito dell’opposizione, evitando accuratamente ogni responsabilità di governo, in modo da poter continuare ad urlare e fare propaganda, anche grazie alla tradizionale memoria cortissima degli italiani. E se anche ormai la rete e i social hanno cambiato tutto, anche il modo di vedere e giudicare partiti ed esponenti politici, nella politica vera e reale continuano a contare esclusivamente i fatti.

Che sono sotto gli occhi di tutti, almeno di quelli che sono coperti dai paraocchi da ultras, e inchiodano leaders (per chi ce l’ha) e partiti dell’opposizione ai loro imbarazzanti insuccessi e alle loro macroscopiche responsabilità.

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