Conte e Letta in versione Tafazzi, la Meloni e il centrodestra ringraziano


I due leader e coni i rispettivi partiti hanno fatto e stanno facendo di tutto per consegnare il Parlamento e il Paese al totale controllo del centrodestra. Dalla mancata modifica della legge elettorale, alla rottura dell’alleanza, fino ai capricci di questo inizio di campagna elettorale

Come nella favola di Esopo “La rana e lo scorpione”, evidentemente è la sua natura. Giorgia Meloni potrebbe rimanere buona e tranquilla ad osservare la campagna elettorale “disperata” degli altri, visto che la vittoria del suo partito e del centrodestra non è certo in discussione. Però non ha resistito, in pochi giorni ha dato “fiato alle trombe”, inanellando una “figuraccia” dopo l’altra (prima la vicenda delle devianze, poi la pubblicazione del video dello stupro, infine la follia della scelta degli immigrati bianchi dal cattolicissimo Venezuela, sul modello della campagna razzista di Trump) che in qualsiasi altro paese civile potrebbero costare carissimo. Non in Italia dove la leader di FdI sa perfettamente che può permettersi di tutto, anche i più imbarazzanti scivoloni. Un po’ perché per tutti i leader politici italiani vale il “chi è senza peccato scagli la prima pietra”.

Un po’ perché tanto lo zoccolo duro del suo sempre più vasto elettorato, in nome del “credere, obbedire, combattere” è pronto a digerire ogni genere di schifezza. Soprattutto, però, perché tutti gli altri partiti “avversari” da mesi stanno lavorando e hanno lavorato per la vittoria del centrodestra e di FdI. In particolare sono Letta e Conte (con i rispettivi partiti) che hanno fatto e stanno facendo di tutto per consegnare il Parlamento e il Paese al controllo totale del centrodestra.

I possibili anomali effetti della demenziale legge elettorale

Da una parte da settimane mettono in guardia sui rischi (alcuni reali, soprattutto in tema di diritti) che in tal modo si correrebbero, dall’altra però, pur avendo (anzi, avendo avuto) la possibilità di evitarlo, hanno fatto e stanno facendo di tutto perché quello che considerano un disastro per il paese si realizzi in pieno. Facilitati da una legge elettorale, la cosiddetta “rosatellum” che definire demenziale è riduttivo (e ancor più demenziale che il suo promotore ne rivendichi la bontà…) e che, senza ottenere il 50% dei consensi, può permettere di raggiungere la fatidica soglia dei 2/3 dei seggi che consentirebbe di adottare alcune riforme costituzionali, a partire dall’elezione diretta del presidente della Repubblica.

Certo, già in passato più volte dalle urne è scaturito un risultato differente rispetto a quello previsto dai sondaggi (che attualmente danno la coalizione di centro destra tra il 45 e il 47%, con FdI primo partito al 24%, il Pd subito dietro, la Lega sotto il 15% e il M5S intorno al 10%).Ed è altrettanto innegabile che le percentuali dei partiti e delle coalizioni possono comunque variare, visto che secondo tutti i sondaggi c’è una larga parte dell’elettorato (circa il 45%) che ha ancora non ha deciso se andrà a votare e, nel caso, per chi voterà. Però mai come questa volta non ci sono dubbi sull’esito finale della tornata elettorale, con l’unico dubbio che eventualmente resta che è proprio quello relativo alla possibilità per il centrodestra di raggiungere la fatidica soglia dei 2/3 dei seggi. Difficile, non impossibile, soprattutto se tutti gli altri partiti continueranno a lavorare in questa direzione.

Come anticipato se c’è questa concreta possibilità (o rischio, dipende dai punti di vista) è innanzitutto per la mancata modifica di quella demenziale legge elettorale. Che è talmente “cervellotica” che può produrre in teoria 2 anomalie perfettamente antitetiche: non avere la maggioranza in Parlamento pur con oltre il 50% dei consensi, avere i 2/3 dei seggi anche con poco più del 40% dei consensi. C’era tutto il tempo per cambiarla, non averlo fatto (e in pratica non averci neppure provato) è stato un errore imperdonabile.

La solita strategia alla Tafazzi del campo progressista

Ancor più grave se, poi, non ci si adegua a quella legge che, è sin troppo evidente, impone ai partiti di unirsi e allearsi per poter avere la possibilità di incidere nel prossimo Parlamento. I partiti del centrodestra, che pure non hanno certo minori divisioni, l’hanno fatto, dall’altra parte i soliti seguaci di Tafazzi no. Ed il riferimento è soprattutto per Pd e M5S perché Renzi e Calenda sono quel che sono ed è comprensibile che venga l’orticaria anche solamente al pensiero di allearsi con uno di loro (peggio ancora con entrambi). Mentre su quella che una volta era la sinistra e che ora nella migliore delle ipotesi non si capisce più bene cosa sia (nella peggiore assomiglia sinistramente all’estrema destra) è meglio stendere un velo pietoso, già il semplice fatto di aver scelto come proprio leader Luigi De Magistris (che tutto è meno che di sinistra…) dimostra in che stato confusionale si trova.

Tornando alla legge elettorale, ovviamente la responsabilità principale è di chi nell’ultimo Parlamento aveva di gran lunga la maggioranza relativa, il Movimento 5 Stelle, e doveva quindi dare l’impulso al cambiamento. Ancor più, nel governo Conte 2 (quello giallorosso) doveva essere uno dei punti del programma, anche considerando che il Pd e gli altri partiti di sinistra erano favorevoli al cambio della legge elettorale (e avrebbero trovato qualche sponda anche nel centrodestra). Ovviamente non meno gravi ed evidenti sono le responsabilità del Pd stesso a cui, da troppo tempo, spesso manca il coraggio di fare scelte nette ma necessarie, preferendo rimanere sempre troppo attendista.

Per completare la “frittata” M5S e Pd hanno mandato a pezzi quell’alleanza che, con questa elettorale, se confermata alle elezioni di settembre avrebbe determinato un risultato decisamente differente di quello che si prevede. Soprattutto in considerazione di quei 221 seggi tra Camera e Senato (sui 600 totali) che verranno assegnato in altrettanti collegi uninominali e che possono fare tutta la differenza del mondo (la restante parte di seggi viene assegnata su base proporzionale, tra i partiti che superano la soglia del 3%).

Secondo la media dei sondaggi dell’ultima settimana, il centrodestra è ampiamente sotto il 50% dei consensi ma può conquistare anche più del 90% dei collegi uninominali. Perché dei 221 collegi uninominali (147 alla Camera, 74 al Senato) solo 9 sembrano destinati sicuramente al centrosinistra, mentre 155 sono “blindati” per il centrodestra e 3 andrebbero al SVP. Dei 54 che sarebbero ancora in bilico, la maggior parte dovrebbe finire al centrodestra che, però, può legittimamente coltivare il sogno del clamoroso exploit che lo avvicinerebbe sensibilmente alla soglia dei 2/3 dei seggi in Parlamento.

I limiti di Letta, la miopia e i capricci di Conte

Tutto ampiamente noto e previsto da tempo, così come non è un mistero che mantenendo l’alleanza del governo Conte 2 (senza Renzi) la prospettiva sarebbe radicalmente cambiata, con non più di 110 seggi “blindati” per il centrodestra (contro una trentina per i “giallorossi”). E, soprattutto, con la stessa alleanza giallorossa in vantaggio in più del 50% degli 80 collegi in bilico. In altre parole non sarebbe comunque in discussione la vittoria del centrodestra che, però, rischierebbe addirittura di non avere neppure la maggioranza per governare e, di certo, non si avvicinerebbe neppure alla soglia per le riforme costituzionali. L’alleanza giallorossa, però, non c’è, perché da una parte e dall’altra ci sono due leader (Conte e Letta) che definire improvvidi è riduttivo.

Al di là di quello che sostengono i rispettivi ultras “accecati”, è piuttosto evidente che le responsabilità politiche della rottura dell’alleanza sono di entrambi, praticamente in eguale misura. Per dabbenaggine, per evidenti errori di calcolo politico ma anche e soprattutto per l’evidente insussistenza e per gli enormi limiti dei due leader di Pd e M5S. Conte dall’elezione del presidente della Repubblica in poi non ne ha azzeccata più una. Ha “rotto” con il suo possibile alleato per un evidente e clamoroso errore di calcolo politico (era certo che non si sarebbe arrivati alla fine del governo Draghi), che poi ha cercato pateticamente di trasformare in una rottura sulla base dei contenuti, rifugiandosi poi dietro l’improbabile paravento dei 9 punti.

Per altro è vero che ormai la politica italiana si basa essenzialmente sulla propaganda e sui proclami. Ma se provassimo a rimanere ancorati ai fatti, anche un bambino comprenderebbe che con quella rottura Conte e il M5S non hanno più alcuna possibilità di ottenere qualcosa in quei 9 punti, sui quali qualcosa si poteva tirar fuori con il precedente governo e con l’alleanza giallorossa. Una vera e propria “genialata” politica dell’ex presidente del Consiglio che, poi, ha reagito da bambino capriccioso rompendo anche l’alleanza già fatta (con tanto di scelta del candidato presidente effettuata attraverso una sorta di primarie) in Sicilia, consegnando così anche quell’isola al centrodestra e a Schifani.

Da parte sua Letta e il Pd hanno dimostrato ancora una volta di non prevedere mai prima le mosse dei propri alleati (e tanto meno degli avversari) e di non avere mai la piena cognizione del panorama politico. Non bisognava essere dei fini analisti politici per comprendere il disagio interno del M5S e le difficoltà di Conte, al di là di ogni considerazione in proposito sul termovalorizzatore di Roma (che anche parte del M5S romano e laziale non vedeva così negativamente), non era certo necessario inserirlo nel decreto aiuti, fornendo così a Conte un assist per alzare la voce. Fuori luogo anche i toni e gli ultimatum lanciati poi dopo lo “strappo” del M5S, senza nessuno sforzo per provare comunque a ricucire.

A completare la “frittata”, poi, lo sconcertante tentativo di accordo e alleanza con Calenda, finito come tutti (tranne Letta) avevano ampiamente previsto. A completare il quadro dei perfetti Tafazzi, in questa prima parte di campagna elettorale il M5S sembra più impegnato a screditare gli ex alleati (e l’ex leader Di Maio) che ad incalzare il centrodestra. L’obiettivo sembra chiaro, riuscire a pescare qualche voto nell’area di potenziali elettori scontenti del Pd e degli altri partiti di sinistra. Paradossalmente se dovesse riuscirci, se il M5S dovesse riuscire ad erodere anche l’1-2% di consensi da quell’area politica potrebbe fare un ulteriore grande favore al centrodestra e alla Meloni che potrebbero approfittarne per conquistare qualche collegio uninominale in più tra quelli ancora in bilico.

Probabilmente non ne avrebbero bisogno, certo però Giorgia Meloni e il centrodestra sono davvero fortunati ad avere due simili inconsapevoli alleati…

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