Turismo e promozione tra improbabili proclami e imbarazzanti autogol


Come ogni fine estate è arrivato il proclama trionfalistico del sindaco. Peccato che la situazione reale sia completamente differente e dimostri come non basta avere una città splendida ed un gioiello di piazza se poi non si è in grado di valorizzarle e promuoverle adeguatamente

Puntuale come un orologio svizzero, passato il Ferragosto è arrivato il solito proclama trionfale del sindaco Fioravanti che, bontà sua, ha visto ancora una volta Ascoli piena di turisti che “hanno preso d’assalto la nostra città”. Magari quest’anno, visto che nei giorni a cavallo di ferragosto chiunque era in giro per la città si era reso conto che in realtà di turisti non ce ne erano così tanti, si sperava che il primo cittadino ci risparmiasse questo imbarazzante teatrino. Invece Fioravanti ha ben pensato di andare oltre, rivendicando presunti “commenti assolutamente entusiasti e positivi” degli stessi. Come al solito, poi, a fine anno, quando arriveranno i dati ufficiali, i freddi numeri mostreranno una realtà decisamente differente. Cioè che di reale, in quello che afferma il sindaco, c’è solo in fatto che Ascoli è bellissima.

Purtroppo pesantemente penalizzata, per quanto riguarda la promozione turistica e dell’immagine della città, da scelte semplicemente “folli” ma anche da alcuni particolari che possono fare la differenza. Che sono sotto gli occhi di chi vive e conosce davvero il capoluogo piceno e, a differenza del sindaco, si trova spesso a diretto contatto con i turisti stessi e può così ascoltare giudizi e commenti che, ovviamente, non sono poi così positivi come vuole far credere Fioravanti. E, al netto degli stucchevoli proclami del sindaco, proprio le ultime settimane hanno evidenziato in maniera sin troppo eloquente questi autentici fardelli che frenano la crescita turistica (e culturale) della nostra città

 

Un imbarazzante biglietto da visita per la città

Siamo tornati padroni della città” annunciava a fine 2021 il sindaco Fioravanti presentando quello che definiva lo storico accordo con la Saba per la gestione della sosta. In realtà, era fin troppo evidente come fossimo di fronte a quella che ironicamente definivamo “la paradossale rivoluzione nel regno di Ugualos”, con il “sovrano” (la Saba) che addirittura otteneva ulteriori notevoli vantaggi (800 nuovi parcheggi a pagamento, a fronte di una minima riduzione della tariffa oraria nelle prime 2 ore). E soprattutto restava padrone incontrastato della sosta e dei parcheggi, compreso quello di Torricella che per molti dei turisti che arrivano ad Ascoli rappresenta il primo impatto con la città, purtroppo troppo spesso a dir poco imbarazzante.

Il giorno della festa del patrono (5 agosto), ad esempio, si erano già levate le proteste di turisti e cittadini perché uno dei due ascensori del parcheggio era fuori uso. Con la Quintana in programma 2 giorni dopo, ci si aspettava che ci si attivasse immediatamente per risolvere il problema. Invece domenica 7 agosto situazione identica. Con il parcheggio praticamente “sold out” e file interminabili per poter usufruire dell’unico ascensore funzionante. Con tante persone che, per non attendere troppo, hanno scelto di utilizzare le scale. Che, però, sono in condizioni che definire indecenti è un eufemismo.

Una vera e propria vergogna, sottolineata dai commenti durissimi e comprensibilmente negativi di diversi turisti. Non bisogna essere dei geni per comprendere come tutto ciò rappresenti un bruttissimo e durissimo colpo all’immagine del capoluogo piceno, gravemente compromessa (in alcuni casi irrimediabilmente, bastava ascoltare le considerazioni di alcuni turisti…) da simili “scempi. Che l’amministrazione comunale non ha la possibilità di evitare perché, a differenza di quanto sbandierato dal sindaco, non è tornata padrona di un bel niente (l’unico modo per esserlo è ricomprare i parcheggi.

Certo, però, quanto meno il sindaco potrebbe pretendere dal gestore dei parcheggi una maggiore attenzione per evitare che quello che per molti è il primo approccio con il capoluogo piceno non sia così traumatico e negativo.

Piazza del Popolo, un gioiello umiliato, invaso e “oscurato”

Non basta avere un meraviglioso centro storico, un patrimonio di grandissimo rilievo e una piazza considerata tra le più belle e affascinanti d’Italia. Di città così belle è pieno il nostro Paese, la differenza la fa la capacità di sfruttare una simile fortuna, preservando e valorizzando i propri “gioielli” e non svilendoli e umiliandoli per superficialità e trascuratezza e con scelte incomprensibili.

Come purtroppo avviene, invece, nel capoluogo piceno dove l’amministrazione comunale a parole si vanta di piazza del Popolo ma poi in concreto la svilisce e la penalizza pesantemente. Basterebbe pensare a come si è presentata ai turisti (non tantissimi per la verità) che l’hanno visitata domenica 14 agosto e che hanno potuto ammirare quella sorta di composizione artistica in fondo alla piazza costituita da un muletto, una sedia rotta e un lungo tubo spezzato abbandonati dalla sera precedente, senza che nessuno si fosse preoccupato di rimuoverli.

E poi la solita indecenza di transenne lasciate e appoggiate ovunque, su Palazzo dei Capitani, di fronte all’edicola Lazzaro Morelli, al cui fianco da qualche tempo è spuntato una sorta di parcheggio per bici. Una vergogna, uno spettacolo indecente che ha colpito (ovviamente negativamente) i turisti presenti. Discorso a parte, poi, merita la “folle” gestione complessiva della piazza, d’estate concessa per ogni genere di evento (anche di terzo e quarto ordine) e invasa da tavolini e sedie dei locali che ormai occupano la metà della superficie della piazza stessa. Che, poi, nel corso dell’anno spesso viene oscurata dagli orribili tendoni e dalle bancarelle del mercatino dell’antiquariato (ogni terzo fine settimana del mese) e di altri mercatini vari.

Eppure non mancano certo ad Ascoli e al centro stesso location in grado di ospitare quegli eventi e quei mercatini. Invece ci si ostina ottusamente ad utilizzare ed invadere piazza del Popolo per non scontentare nessuno, e avere di conseguenza un ritorno “elettorale”, fingendo di rendersi conto che un simile scempio è un insulto, una vera e propria umiliazione per la nostra splendida piazza. Dovrebbe far riflettere il fatto che qualcosa di simile non avviene e non sarebbe neppure pensabile in nessuna delle altre città italiane che hanno la fortuna di avere una piazza di eguale prestigio e bellezza. Il problema è che questa “folle” gestione si sta estendendo anche ad altri luoghi caratteristici della città.

E’ davvero sconcertante, ad esempio, che nessuno in Comune abbia pensato che non si può oscurare per una decina di giorni, per altro nel periodo di ferragosto, piazza Arringo, il palazzo comunale e il Duomo (sullo sfondo) con gli orribili tendoni e le bancherelle di quello che pomposamente viene definito il festival dell’oliva ascolana (in realtà poco più di una sagra). E’ disarmante che nessuno si renda conto che, dal punto di vista dell’immagine turistica della città, si tratta di un clamoroso autogol. Ma il vero e proprio emblema di questa “follia” è il Battistero di San Giovanni assediato e circondato da sedie e tavolini. “E’ proprio vero che chi ha il pane non ha i denti” commentavano sarcasticamente domenica 14 agosto alcuni turisti. Superfluo aggiungere altro.

Ponte di Cecco e area archeologica, Comune peggio di Tafazzi

Sembra una banalità, alla Catalano (il re dell’ovvio di “Quelli che la notte”), ma se si vogliono promuovere adeguatamente determinati luoghi e contenitori cittadini bisogna innanzitutto tenerli aperti per consentire ai turisti di visitarli. Soprattutto nei giorni di festa (quando, ovviamente, è più alta la probabilità che arrivino in città turisti). Invece fino ad ora nel capoluogo piceno è avvenuto esattamente il contrario, nei giorni di festa certi luoghi sono chiusi o, quando va bene, aperti solo per metà giornata (con estremo ritardo, passato il ferragosto, sembra essersene resa conto anche l’amministrazione comunale).

Per non parlare, poi, del fatto che alcuni dei luoghi da visitare sono irrimediabilmente “off limits”, ormai da diversi anni. Come, ad esempio, l’area archeologica sotto Palazzo dei Capitani, dove sulla vetrata campeggia ancora la fotocopi di un’ordinanza comunale (di divieto di parcheggio delle biciclette…) del 2013, cioè di ben 9 anni fa. L’apice dell’autolesionismo, però, si raggiunge con il ponte di Cecco al centro di vere e proprie campagne di promozione sui siti che fanno riferimento al Comune ma, incredibilmente, chiuso da anni e non visitabile. Neppure Tafazzi sarebbe capace di fare peggio…

L’autogol dell’oliva ascolana al centro della promozione turistica-culturale

A qualcuno potrà sembrare una specie di “bestemmia”, ma per crescere concretamente dal punto di vista turistico-culturale Ascoli deve al più presto liberarsi dall’ossessione dell’oliva ascolana. Che ormai da qualche tempo è, praticamente quasi da sola, al centro della promozione dell’immagine turistica e culturale del capoluogo piceno. L’esempio più emblematico e sconfortante è quello dei cartelloni promozionali sull’A14 (“Ascoli Piceno terra delle olive ascolane”) di cui abbiamo più volte parlato (vedi articolo “A Pesaro e al resto della Marche la cultura, ad Ascoli l’oliva ascolana”), sottolineando come tutti gli altri comuni marchigiani invece hanno deciso di puntare sul proprio patrimonio artistico, monumentale e culturale (e i risultati si vedono…).

Ma non meno significativo è il fatto che da qualche anno nel periodo turisticamente più caldo, quello di ferragosto, l’amministrazione comunale ha deciso di puntare tutto su “il festival mondiale dell’oliva ascolana” (Ascoliva), che in realtà a tutti gli effetti è poco più di una sagra. Come, per altro, emerge con assoluta chiarezza dal programma esposto all’ingresso di “Ascoliva” e che prevede appena 4 eventi (si fa per dire…) in 12 giorni: l’inaugurazione, la giornata conclusiva, le “Olimpiadi delle olive” e la “Gara delle massaie” (su cui per decenza stendiamo un velo pietoso). Mortificante per una città che pure ha autentici “gioielli” e un patrimonio storico, artistico, architettonico a dir poco invidiabile.

Senza troppi giri di parole, per un capoluogo che ha ambizione di crescita dal punto di vista turistico-culturale “l’oliva ascolana” può essere al massimo un elemento in più, non certo il centro del proprio programma, della propria promozione turistica-culturale. D’altra parte ancora una volta è sufficiente guardarsi intorno per scoprire che nessun altro comune marchigiano o italiano si comporta allo stesso modo. Restando nelle Marche, Urbino non punta certo tutto per la promozione turistica sulla crescia, così come Ancona con i vincisgrassi e San Benedetto con il bagnapan (il brodetto tipico sambenedettese). E allargando lo sguardo al resto d’Italia non è certo la “ribollita” al centro della promozione di Arezzo o la “fiorentina” per Firenze o, ancora, il pesto per Genova.

Naturalmente è doveroso valorizzare adeguatamente l’oliva ascolana, ma farne il caposaldo della propria promozione turistica-culturale è un clamoroso e deleterio autogol. Impossibile non rendersene conto…

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