Da “avvocato del popolo” a Tafazzi: il capolavoro di autolesionismo di Conte


Il post pubblicato dall’ex sottosegretario Fraccaro, con il fotomontaggio che mostra Conte in versione Papeete, fotografa al meglio l’incredibile autogol commesso dall’ex presidente del Consiglio e dal M5S. Che è riuscito anche a soccorrere e togliere dall’impasse Matteo Salvini…

Il lungo percorso di autodistruzione del Movimento 5 Stelle, iniziato subito dopo lo straordinario successo alle elezioni politiche del marzo 2018, grazie al capolavoro autolesionistico di Giuseppe Conte in versione “Tafazzi” è giunto quasi a compimento. Nei giorni, pieni di dubbi e di interrogativi, che ci separano dall’atto decisivo e probabilmente conclusivo di questa crisi (l’intervento di Draghi in Parlamento fissato per mercoledì 20 luglio) le uniche due certezze indiscutibili che ci sono, per certi versi diametralmente opposte, riguardano Giorgia Meloni e FdI da un lato e Giuseppe Conte e il M5S dall’altro. Per quanto riguarda i primi non c’è alcun dubbio che, comunque vada, sono gli unici che politicamente guadagnano da quanto accaduto.

Perché se Draghi conferma le dimissioni e, quindi, si andrà a votare ad ottobre, la Meloni non solo avrà ottenuto quello che chiede da mesi ma, soprattutto, salvo clamorose sorprese vincerà le elezioni ed ha concrete possibilità di diventare la prima presidente del Consiglio donna del nostro Paese. Nell’ipotesi invece che Draghi fosse convinto dai partiti a restare, la leader di FdI potrà sfruttare al meglio il confermato ruolo di unica opposizione al governo, con la possibilità di continuare a drenare voti al suo alleato Salvini ma anche allo stesso M5S. Di contro, dall’altro lato, qualunque cosa accada il M5S e Conte ne usciranno con le “ossa rotta”. Perché se alla fine Draghi dovesse restare, perché convinto dai partiti che compongono l’attuale maggioranza, di fatto il M5S vedrebbe ulteriormente ridursi la sua incidenza sull’esecutivo. In caso contrario le elezioni anticipate di ottobre rischiano di trasformarsi in un incubo per il Movimento, che avrebbe dovuto aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno e che invece ha finito per autodistruggersi.

Per quanto siano sempre da prendere con le molle, i sondaggi sono tutti concordi nel prefigurare scenari apocalittici per il M5S, addirittura secondo qualcuno rischia non raggiungere neppure il 10%. Ma anche, con 2 mesi di campagna elettorale aggressiva e convincente, dovesse recuperare qualche punto percentuale, l’attuale legge elettorale (il cosiddetto “Rosatellum”) favorisce le coalizioni. E, dopo l’ultimo capolavoro di Conte, il M5S è destinato a tornare nel più totale isolamento, come ai tempi delle elezioni del 2018. Con la differenza non certo irrilevante che quella di allora era una scelta per distinguersi e tracciare un solco rispetto a tutti gli altri partiti, mentre ora si tratterebbe di un isolamento forzato e subito, provocato dall’inaffidabilità del Movimento stesso.

Neppure Comunardo Niccolai (il giocatore del Cagliari degli anni ’70 divenuto famoso per le sue autoreti) sarebbe riuscito a confezionare un così clamoroso autogol. Che invece ha messo a segno, con imbarazzante naturalezza, Giuseppe Conte, l’ex presidente del Consiglio di due differenti governo (giallo-verde e giallo-rosso) ed ora sconclusionato leader di quel che resta del M5S. Come ha correttamente sottolineato qualche giorno fa Bersani, gli vanno comunque riconosciuti alcuni meriti e gli va dato atto di aver guidato con dignità il Paese in uno dei momenti più difficili della sua storia.

Con tutti i limiti e i difetti – ha affermato Bersani – è stato il primo in Occidente ad affrontare la pandemia e il lockdown, ha preso i soldi dall’Europa, è stato scalzato con una manovra di palazzo e, il giorno dopo, ha sostenuto lealmente un governo che non ha mai pronunciato la parola Conte”. Anche per questo si era guadagnato un notevole consenso, non solo tra i “grillini”, tanto da meritarsi la definizione di “avvocato del popolo”. Poi, però, progressivamente si è perso e ormai da diversi mesi praticamente non ne azzecca più una. In occasione dell’elezione del presidente della Repubblica aveva mostrato in maniera disarmante tutti i suoi limiti, subendo una pesante umiliazione anche e soprattutto da parte di alcuni importanti esponenti del suo partito.

Al punto che già allora in tanti avevano sollevato dubbi (più che fondati) sull’opportunità di confermarlo alla guida del M5S. Perplessità che gli eventi che si sono verificati da allora a questi giorni hanno inevitabilmente amplificato, fino ad arrivare al capolavoro alla “Tafazzi” delle ultime ore. Il periodo oltre modo critico, quasi drammatico, che attende il nostro Paese non è esattamente l’ideale per aprire una crisi e farci precipitare in una durissima campagna elettorale. Però è innegabile che, se una forza politica non si riconosce più e non si sente più in sintonia con l’esecutivo di cui fa parte, è legittimo che comunque si tiri fuori.

Il problema è che da parte di Conte e del M5S non c’è stata una consapevole scelta politica per una presunta incompatibilità ma più banalmente un tentativo mal riuscito (per usare un eufemismo…) di mostrare i muscoli (per la verità ormai sin troppo flaccidi) per provare a frenare l’emorragia di consensi e rilanciare l’immagine di un Movimento che fa si parte del governo, ma che vuole restare (o forse sarebbe meglio dire prova a tornare) distante dalle stanze del potere. Teoricamente una mossa politica legittima, il problema è che poi in politica, al di là delle intenzioni e delle motivazioni, sono decisivi i tempi, i risultati e la percezione che ha l’opinione pubblica per giudicare il successo di determinate scelte.

E in ognuno di quei 3 aspetti davvero non poteva andare peggio a Conte e al M5S. Che, se davvero volevano rivendicare il proprio ruolo e la propria natura differente, anche a costo di mettere a rischio la tenuta del governo, avrebbero dovuto farlo subito dopo l’elezione di Mattarella, quando c’era tutto il tempo e tutto lo spazio per evitare di cacciarsi in un imbuto e, tra l’altro, probabilmente si sarebbero potute evitare dolorose fratture e scissioni. Quanto al risultato, è tragicamente (per il M5S) sotto gli occhi di tutti e può essere sintetizzato alla perfezione dal colorito commento di Pirovani: “quella che al massimo poteva essere una vittoria di Pirro per Conte si è trasformata nella sconfitta del pirla”. Conte ha azzardato, credendo di poter portare a casa un doppio risultato, mostrarsi critico nei confronti di alcune scelte del governo senza però provocare conseguenze.

Invece non ha in alcun modo inciso sui provvedimenti che (molto) teoricamente erano alla base delle rimostranze del M5S, provocando al contempo quelle dimissioni di Draghi e quella crisi di governo che, invece, avrebbe voluto assolutamente scongiurare. Con l’aggiunta di quelle che sono per lui e per il M5S delle ulteriori aggravanti. Come il fatto che i presunti motivi del dissenso (come l’ormai famoso termovalorizzatore) sono visti dai più come un insulso pretesto che, in un momento come questo, non può certo provocare una crisi che, comunque, determinerà conseguenze ben più pesanti (basterebbe pensare allo spread, alla borsa in picchiata, al concreto rischio che saltino alcuni interventi attesi e necessari per le famiglie come il taglio del cuneo fiscale, con i 100-150 euro in più in busta paga, gli aiuti per bollette e benzina, solo per citarne alcuni).

Per non parlare del clamoroso assist che Conte ha fornito al leader politico che, più di ogni altro, sembrava in difficoltà, Matteo Salvini. Consapevole (forse…) di quanto pesante fosse, in termini di consensi, per lui e per la Lega continuare a rimanere al governo ma, al tempo stesso, di come fosse complicato trovare un pretesto per sganciarsi. Per sua fortuna a toglierlo dall’impasse ci ha pensato Conte. Ma l’ex presidente del Consiglio è riuscito addirittura a far rivalutare in qualche modo anche l’operato di Mattei Renzi il cui presunto “tradimento”, che aveva portato alla fine del governo Conte 2, era avvenuto alla luce del sole, con l’ex sindaco di Rignano che si era comunque assunto la responsabilità della sua decisione, ritirando subito con coerenza i ministri di Italia Viva.

A differenza di quello che hanno fatto Conte e il M5S che hanno provocato una crisi, teoricamente senza volerlo, quindi senza neppure assumersene le responsabilità, con ora il patetico corollario del balletto sul ritiro postumo dei ministri che, a questo punto, servirebbe esclusivamente a togliere ogni dubbio, non certo a “salvare la faccia”. Al di là di ogni altra considerazione, a rendere ancora più evidente il capolavoro di autolesionismo di Conte e del M5S è la percezione che l’opinione pubblica ha di quanto sta accadendo.

Ribadendo la cautela di cui sopra, tutti i sondaggi confermano che la maggioranza degli italiani non vuole e non capisce questa crisi, così come la stragrande maggioranza dei cittadini attribuisce all’ex presidente del Consiglio e al M5S la responsabilità di quanto sta accadendo. Emblematico, a tal proposito, è un post pubblicato su whatsapp dall’ex sottosegretario del governo Conte e tuttora esponente del M5S Riccardo Fraccaro, un fotomontaggio in cui la faccia di Conte appare sul corpo di Matteo Salvini a torso nudo, all’epoca dell’estate del Papeete, con tanto di mojito. Il post poco dopo è stato rimosso ma fotografa meglio di tanto parole come, anche all’interno del M5S (almeno una parte dei “grillini”), viene considerato il comportamento dell’ex presidente del Consiglio…

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