Il “folle” aumento delle spese militari e il solito indecoroso festival dell’ipocrisia


L’invettiva del papa non ferma la corsa all’aumento della spesa militare, con l’ordine del giorno approvato alla Camera da tutti i principali partiti. E l’imbarazzante dietro front di Conte che, da presidente del Consiglio, ha sostenuto e realizzato l’aumento delle spese militari

Intorno all’incremento fino al 2% del Pil delle spese militari, sulla base dell’obiettivo indicato dalla Nato, sta andando in scena nel nostro Paese il solito indecente e sconfortante teatrino della politica italiana. Caratterizzato dalle solite imbarazzanti contorsioni di partiti ed esponenti politici, pronti a cambiare idea e opinione nello spazio di 24 ore, dall’improvvisa e poco credibile conversione modello Gandhi di qualche altro politico, da scambi di accuse, veleni e, come al solito, tanta confusione. Prima di provare a fare un po’ di chiarezza è bene subito precisare che non possiamo che sottoscrivere in pieno quanto dichiarato in proposito da papa Francesco.

Mi sono vergognato quando ho letto che un gruppo di Stati si sono compromessi a spendere il 2% del Pil per l’acquisto di armi come risposta a questo che sta accadendo, pazzi!” ha dichiarato il Pontefice. Certo la situazione in Ucraina è decisamente complicata e complessa e purtroppo dimostra come in alcune circostanze purtroppo è inevitabile ricorrere all’uso delle armi per difendersi da un’aggressione militare. Ma un conto è il sacrosanto e necessario sostegno ad un popolo e ad una nazione invasa, un altro è utilizzare questa immane tragedia per giustificare un inopportuno e non necessario riarmo indiscriminato del nostro Paese. In altre parole, è forte la sensazione che si voglia approfittare della “guerra” mai così vicina come ora per aumentare ulteriormente le spese militari.

Secondo il calcolo effettuato dall’Osservatorio Milex (un progetto avviato nel 2016 in collaborazione con la Rete italiana pace e disarmo) in termini pratici alzare le spese militari italiane fino al 2% del Pil (dall’1,4% attuale) significherebbe aumentare la spesa di circa 13 miliardi (da 25 a 38).

Con la stessa cifra potremmo assumere 200 mila insegnanti (quelli che mancano), 100 mila infermieri (quelli che mancano) e 15 mila medici (quelli che mancano)” accusa il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni, uno dei pochi che può coerentemente protestare perché da sempre contrario ad ogni aumento per le spese militari (che, anzi, andrebbero sensibilmente ridotte). Per altro i calcoli di Fratoianni sostanzialmente sono molto vicini dall’essere esatti, perché effettivamente con quei 13 miliardi si potrebbero quasi completamente coprire le falle, almeno dal punto di vista del personale, che condizionano il nostro sistema scolastico e sanitario. Tornando al controverso 2% del Pil da destinare alle spese militari è innanzitutto fondamentale sottolineare che si non si tratta in alcun modo di un impegno vincolante quanto di una raccomandazione.

La prima volta che se ne è parlato è stato al vertice Nato di Riga (Lettonia) del 2006, nel corso del quale i ministri della difesa dei Paesi membri della Nato avevano espresso quella volontà, precisando comunque che si trattava esclusivamente “della decisione di lavorare a questo obiettivo”. Nel settembre del 2014, poi, dopo l’annessione illegittima della Crimea da parte della Russia, nella dichiarazione conclusiva dopo il summit di Newport (Galles) i capi di Stato e di governo dei Paesi Nato hanno auspicato che “tutti gli alleati che spendevano meno del 2% del Pil in ambito militare avrebbero dovuto evitare ogni ulteriore riduzione per questa voce di spesa e anzi avrebbero dovuto aumentare il budget seguendo le direttive Nato, in modo da raggiungere la soglia del 2% entro i successivi 10 anni”.

In quel momento solo 3 dei 30 Paesi Nato (Stati Uniti, Regno Unito e Grecia) spendevano quanto stabilito, mentre nei successivi anni se ne sono aggiunti altri 7. Dei grandi paesi europei solo la Francia ha rispettato l’impegno, mentre Germania (1,5%), Italia (1,4%) e Spagna (1%) erano lontane dall’obiettivo. Per quanto riguarda l’Italia, nel 2014 il presidente del Consiglio che sottoscrisse la dichiarazione di Newport era Matteo Renzi. Che, poi, subito dopo la conclusione del vertice, aveva dichiarato che l’Italia avrebbe potuto aumentare la spesa per la difesa fino al 2% del Pi.l solo se l’Unione europea avesse escluso “i nuovi stanziamenti dalle valutazioni sul rispetto dei vincoli di bilancio imposti dalla Ue stessa”.

In ogni caso lo stesso Renzi nel summit Nato di Varsavia del 2016 aveva ribadito l’impegno dell’Italia, così come nel 2018 il nuovo presidente del Consiglio Giuseppe Conte che aveva espresso la posizione del governo sostenuto da Lega e M5S. Un anno dopo il cambio di governo, con ancora Conte alla presidenza del Consiglio ma sostenuto sempre dal M5S ma ora insieme al Pd. E proprio un ministro del Partito democratico, Lorenzo Guerini (ministro della difesa) nel novembre 2019 aveva esternato i propri dubbi sostenendo che l’obiettivo di spendere almeno il 2% del Pil in ambito militare entro il 2024 non era “realisticamente realizzabile”.

Però il mese successivo, al summit Nato di Londra, ancora Conte rassicurava gli alleati confermando gli impegni presi dall’Italia. E stesse rassicurazioni sono arrivate nel 2021 da Mario Draghi divenuto presidente del Consiglio. In effetti negli ultimi 8 anni (quindi da Newport in poi) l’Italia ha effettivamente aumentato le proprie spese militari, restando però lontana dalla soglia del 2% del Pil. Nel 2014 eravamo all’1,1%, a fine 2021 all’1,4%. Nei giorni scorsi, dopo che il leader del M5S Conte ha annunciato il dietro front del suo partito, proprio Renzi aveva sostenuto che in realtà proprio sotto i governi Conte le spese militari del nostro paese sono lievitate, con il presidente di Italia Viva Rosato che ha aggiunto che invece il governo Renzi le aveva ridotte.

I dati, però, parlano chiarissimo e dicono che dal 2015 in poi le spese militare sono state sempre aumentate, da tutti i governi che si sono succedute. Quindi anche dal governo Conte così come dal governo Renzi. E non cambia il discorso se anche si considera che negli anni della pandemia (2020 e 2021) la ricchezza prodotta dall’Italia è stata colpita dalla crisi economica provocata dal covid. Perché se si guardano i valori assoluti l’aumento è confermato, visto che si è passati da meno di 20 miliardi agli attuali 25,6. Poi la guerra in Ucraina e l’annuncio dell’Italia di voler rivedere al rialzo le proprie spese militari per arrivare alla soglia del 2% del Pil entro il 2024 (così come la Germania).

Ed il 16 marzo scorso, nel corso della discussione per la conversione in legge del decreto Ucraina, la Camera ha approvato con 391 voti favorevoli e 19 contrari un ordine del giorno che impegna il governo ad aumentare le spese per la difesa fino a raggiungere la soglia del 2% del Pil. L’ordine del giorno è stato presentato dal capogruppo della Lega in Commissione Difesa, Roberto Paolo Ferrari, co-firmato da i capigruppo di tutte le principali forze politiche: Maria Tripodi (Forza Italia), Salvatore Deidda (Fratelli d’Italia), Giuseppina Occhionero (Italia Viva), Giovanni Aresta (Movimento 5 Stelle), Alberto Pagani (Partito Democratico). Tutti i leader di partito hanno chiesto ai rispettivi gruppi di votare a favore. Poi la solita imbarazzante “manfrina” all’italiana.

Protagonisti il “solito” Matteo Salvini e Giuseppe Conte. Del leader della Lega è persino inutile parlare, probabilmente ha il record mondiale di “giravolte”, ora si presenta come convinto pacifista, con la sua affermazione “quando si parla di armi non riesco ad essere felice” che è destinata a restare nella storia. Ormai al sempre più sbiadito “Capitano” manca solo di cambiare idea sull’immigrazione e poi il quadro è completo. Questa volta, però, la palma dell’ipocrisia va senza alcuna discussione a Giuseppe Conte che, con incredibile “faccia tosta”, ora vuole mettersi a capo della battaglia contro questa “scellerata” scelta che, però, da 4 anni a questa parte ha sempre sostenuto convintamente, fino a 10 giorni fa.

Quanto meno il leader del M5S, se vuole mantenere un briciolo di credibilità, dovrebbe innanzitutto ammettere pubblicamente di aver clamorosamente sbagliato quando, da presidente del Consiglio, non solo ha convintamente sostenuto ma ha anche concretamente avviato l’aumento della spesa militare in funzione del raggiungimento di quel 2% del Pil. Poi dovrebbe spiegare cosa è cambiato rispetto a 10 giorni fa, quando il suo partito (come quasi tutti gli altri partiti) ha firmato quell’ordine del giorno.

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