Gli effetti del covid sulla sanità: crollano le prestazioni sanitarie, mortalità record


Dal Rapporto annuale dell’Istat la conferma del record di mortalità (mai così alta nel dopoguerra) provocato dalla pandemia. Ma anche le conseguenze che ha determinato sul sistema sanitario, con il crollo delle visite e prestazioni specialistiche, anche quelle “indifferibili”

I devastanti effetti del covid purtroppo non si limitano al tragico conteggio dei morti. La pandemia da ormai un anno e mezzo ha stravolto la nostra vita sotto ogni punto di vista. E se qualcuno aveva ancora dei dubbi la conferma arriva dalla 29^ edizione del Rapporto annuale sulla situazione del Paese dell’Istat che esamina lo scenario che si è venuto a creare con l’irrompere dell’emergenza sanitaria, verificando gli effetti che ha determinato sull’economia e sulla società italiana.  Il Rapporto si compone di 5 capitoli nei quali si analizzano tutti gli aspetti della crisi con uno sguardo alle prospettive del nostro Paese.

Quello più interessante, però, è sicuramente il secondo che si occupa del cosiddetto “shock da pandemia”, analizzando l’impatto demografico e le conseguenze sanitarie prodotte dal covid. “La crisi pandemica – si legge nell’introduzione al capitolo – ha esercitato un forte impatto sui comportamenti demografici e ha causato un forte stress sulle strutture sanitarie che si è riflesso sulla capacità di prevenzione e cura delle malattie. L’eccesso di mortalità ha ridotto in maniera sensibile la speranza di vita della popolazione in modo non omogeneo sul territorio, penalizzando maggiormente le aree del Nord. Gli effetti sono stati disuguali, in termini sociali, sia per quanto riguarda i comportamenti demografici sia rispetto alla mortalità.”.

Il Rapporto evidenzia con chiarezza come le conseguenze dello shock si siano fatte sentire in ogni settore. Tra i giovani, che hanno ritardato ulteriormente il loro ingresso nella cosiddetta vita adulta, sulla natalità, con il minimo storico di nascite raggiunto nel 2020, legato anche al drastico calo dei matrimoni, sui movimenti migratori e sulla condizione dei migranti, con i nuovi permessi di soggiorno rilasciati nel 2020 che indicano una drastica diminuzione dei nuovi flussi verso il nostro Paese. Non solo, l’emergenza sanitaria ha imposto restrizioni che hanno dettato nuovi stili di vita e limitato drasticamente la mobilità, riducendo al minimo sia i trasferimenti interni sia i flussi da e per l’estero.

Soprattutto, però, lo shock pandemico ha avuto pesanti e notevoli conseguenze in campo sanitario, in forma diretta e indiretta. Da un lato l’impressionante aumento della mortalità, in larga parte determinato dal covid, dall’altro la non meno consistente contrazione delle altre prestazioni sanitarie i cui effetti non sono al momento quantificabili ma che potrebbero farsi sentire per anni.

La pandemia – si legge ancora nella presentazione del capitolo 2 –  ha avuto un effetto drammatico sulla mortalità, non solo per i decessi causati direttamente, ma anche per quelli dovuti all’acuirsi delle condizioni di fragilità della popolazione, soprattutto anziana. I ritardi e le rinunce di prestazioni sanitarie finalizzate alla cura di patologie in fase acuta o ad attività di prevenzione avranno delle conseguenze sulla salute della popolazione. I dati a disposizione documentano, nei primi due mesi della crisi sanitaria, un aumento di decessi legati a patologie per le quali la tempestività e la regolarità delle cure sono spesso decisive. I dati più recenti sull’attività di assistenza sanitaria territoriale, visite specialistiche e accertamenti diagnostici, misurano una diminuzione generale delle prestazioni, anche di quelle indifferibili. Le conseguenze di questa dinamica sono difficili da stimare complessivamente, soprattutto per le patologie prevenibili”.

In questi lunghi e difficili mesi più volte abbiamo letto le farneticazioni dello sconclusionato esercito dei negazionisti secondo cui una (molto) presunta riduzione della mortalità (accertata su fonti misteriose e semplicemente improponibili) avrebbe dimostrato come il covid non fosse altro che qualcosa di simile ad una semplice influenza. In realtà già nei mesi scorsi alcune anticipazioni dei dati dell’Istituto superiore della sanità e dell’Istat mostravano inequivocabilmente come la realtà fosse purtroppo ben differente. Ora i dati ufficiali dell’Istat stesso chiudono ogni possibile discussione.

Nell’anno 2020 il totale dei decessi per il complesso delle cause è stato il più alto mai registrato nel nostro Paese dal secondo dopoguerra: 746.146 decessi, 100.526 decessi in più rispetto alla media 2015-2019 (15,6% di eccesso)” si legge nel Rapporto che, poi, spiega come la pandemia sia stata assolutamente determinante in questo spaventoso aumento della mortalità. Emblematico, a tal proposito, che addirittura nei primi mesi del 2020 (gennaio e febbraio), cioè prima dell’inizio dell’incubo covid, la mortalità aveva registrare (rispetto alla media 2015-2019) una leggera diminuzione. Ancor più che l’aumento maggiore è concentrato soprattutto nei mesi di marzo e aprile (49 mila morti in più, di cui oltre 29 mila dovuti al covid) e, successivamente, nell’ultima fase dell’anno.

Senza dilungarci oltre, i dati parlano chiaro, almeno per chi non ha i paraocchi, e non lasciano spazio a dubbi ed interpretazioni. Molto più interessante, invece, è valutare l’impatto indiretto che il covid ha avuto sul sistema sanitario. “L’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia – si legge ancora nel capitolo 2 della Relazione – è intervenuta in un periodo di particolare debolezza del nostro Servizio Sanitario Nazionale, dovuta soprattutto ai molti interventi che nel corso dell’ultimo decennio hanno ridotto le risorse disponibili. L’imprevista diffusione del covid 19 e la sua aggressività hanno avuto un impatto significativo sul sistema sanitario pubblico. Molti servizi sono stati ridimensionati, riorganizzati o completamente sospesi per far fronte alla gestione dei pazienti covid. A ciò si è aggiunto il timore delle persone di contrarre l’infezione che ha spinto molti a rinunciare o a ritardare il ricorso alle prestazioni sanitarie di cui avevamo bisogno”.

L’inevitabile conseguenza è che le prestazioni sanitarie, già comunque in leggera contrazione nel 2019, sono drasticamente diminuite nel corso del 2020, con un -20,3% di prestazioni ambulatoriali e specialistiche. Tradotto in numeri si tratta di 150 mila prestazioni in meno, vsto che si passa dalle 742.449 del 2019 (- 7 mila rispetto al 2018) alle 591.422. Inevitabilmente a risultare maggiormente penalizzate sono le prestazioni considerate di minore urgenza.

Non a caso la riduzione minore si ha per quanto riguarda le visite specialistiche (-31,6%) e la riabilitazione (-30,9%), mentre le prestazioni diagnostiche hanno fatto registrare una diminuzione del 28,7% e quelle di laboratorio del 17,2%. Un discorso a parte va fatto per le cosiddette prestazioni indifferibili, cioè quelle erogate in favore di pazienti con gravi patologie o per i quali sarebbe necessaria di una diagnosi precoce e tempestiva. Parliamo, in particolare, di alcune analisi strumentali (tac, risonanza magnetica, biopsia) e prestazioni di cura urgenti (dialisi e radioterapia). Complessivamente nel 2020 di prestazioni indifferibili nel sono state erogate oltre 2 mila in meno, pari ad una riduzione del 7%, più accentuata al nord (-9,4%) rispetto al centro e al sud (-4,9%).

Dando uno sguardo a ciò che è accaduto nelle Marche, nella nostra regione la diminuzione delle prestazioni sanitarie purtroppo è stata superiore alla media nazionale, visto che raggiunge il 22% (dopo che nel 2019 aveva già fatto segnare una diminuzione del 2,2%). In numeri nel 2018 le prestazioni sanitarie erano state 22.061, sono scese a 21.573 nel 2019, con il crollo nel 2020 con 15.818. Il calo più sensibile, addirittura del 50%  si è verificato per quanto riguarda le visite specialistiche. Ma particolarmente consistenti anche le diminuzioni per quanto riguarda la riabilitazione (-39%) e la diagnostica (-18,1%), mentre gli esami di laboratorio fanno registrare un -18%.

Pesantissima anche la diminuzione per quanto riguarda le prestazioni indifferibili, con un -24,9% e solamente la Basilicata che ha fatto peggio. Non ci sono sostanziali differenti di sesso nel minor accesso alle prestazioni, mentre differenze più marcate ci sono per le fasce di età. Quella pediatrica fa registrare il calo maggiore (-33%), seguita dagli adulti (-22%), mentre per quanto riguarda le classi di età successive la riduzione varia dal 18 al 22%.

Dati e numeri impressionanti che in un paese civile e maturo dovrebbero ancor più far riflettere su quanto sia necessario superare definitivamente questa drammatica fase, ben sapendo che ora ci sono i mezzi (il vaccino) per farlo.

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