Lo show del dolore mascherato da diritto di cronaca


Prima il Tg3, poi tutti i telegiornali e tutti i canali social dei principali media italiani (con pochissime eccezioni) hanno mandato in onda il video che mostra la caduta della funivia del Mottarone. E qualcuno non ha avuto neppure la decenza di coprire i volti delle persone coinvolte…

Non chiamatela informazione. E per favore lasciamo perdere il diritto di cronaca che è tutt’altra cosa. Non abbiamo mai nascosto di non avere una buona opinione (per usare un eufemismo) dell’informazione del nostro paese, ma questa volta si è davvero toccato il fondo. Se non è sciacallaggio, è qualcosa di molto simile. Qualcuno ha parlato di show del dolore, qualcun altro addirittura l’ha definito pornografia informativa. Quello che è certo è che in un paese normale il video della strage della funivia del Mottarone non sarebbe mai stato pubblicato. Invece in Italia ha iniziato il Tg3 che, dopo aver sui social di essere in possesso di un video esclusivo sulla caduta della funivia (preoccupandosi di sottolineare che “le immagini per il loro contenuto potrebbero urtare la sensibilità di alcuni”), ha mostrato senza problemi le sconvolgenti immagini.

Poi pian piano, nel corso della giornata, tutti i telegiornali e tutti i canali social dei più prestigiosi media italiani hanno mandato in onda quel video (della telecamera di sorveglianza della funivia del Mottarone), qualcuno provando a spiegare e giustificare le improbabili ragioni di quella scelta, nella più classica delle situazioni in cui “la toppa è peggio del buco”. Praticamente alla fine quasi tutti i media hanno deciso di mandare in onda quelle immagini, con pochissime eccezioni (Ansa, Avvenire, Domani, Wired). Come se non bastasse qualcuno (il Tg7) non ha avuto neppure il briciolo di sensibilità di coprire in qualche modo i volti delle persone coinvolte in quella tragedia. E’ oltre modo paradossale che solo pochi giorni fa l’informazione italiana discuteva su come sarebbe stato opportuno evitare di trasmettere le immagini del malore del giocatore della Danimarca Christian Eriksen.

In quel caso la diretta tv inevitabilmente ha reso quasi inevitabile la scelta, anche se poi in seguito alcune tv hanno evitato di riproporre le crude immagini del momento del malore. Per altro nell’occasione molti addetti ai lavori hanno rimarcato l’iniziativa della tv inglese, la BBC, che si è pubblicamente scusata per aver trasmesso quelle immagini. Non solo, su diversi quotidiani italiani sono stati esaltati l’iniziativa e lo spirito di squadra dei giocatori danesi che si erano stretti in cerchio intorno ad Eriksen, mentre era ancora in corso l’intervento dei medici sul campo, per proteggerlo da occhi indiscreti (di chissà chi…). Pochi giorni dopo quegli stessi giornali e quei stessi giornalisti hanno avuto la più ghiotta delle occasioni per dimostrare coerenza, sensibilità e rispetto, invece…

Sarebbero tante le cose da dire, probabilmente, però, sarebbe sufficiente chiedersi per quale maledetta ragione si decida di portare via anche la dignità a quelle 14 persone (e ai loro familiari) a cui è stata portata via così drammaticamente la vita, cosa ci può essere di più importante del rispetto di quei morti, quali fondamentali e imprescindibili ragioni possono giustificare di passare sopra a certi principi, a determinati valori, e mostrare un video che è peggio di un cazzotto nello stomaco. Sembra essere crollato ogni argine, la cosiddetta deontologia professionale che dovrebbe guidare prima di ogni altra cosa l’operato di chi fa informazione è ormai finita in cantina, è un principio purtroppo superato.

La diffusione di quel video su tutti tg e sui canali social di tutti i principali media italiani è la sconfortante conferma che ormai quelli che una volta venivano definiti (o si autodefinivano) i professionisti dell’informazione si sono trasformati in tanti piccoli emuli di Barbara D’Urso, declinando a quello che dovrebbe essere il loro compito primario e principale, cioè informare correttamente, per seguire le orme della cosiddetta tv del dolore che nulla ha a che fare con l’informazione ma che fa tanta audience (o, per usare il linguaggio tipico della rete e dei social, garantisce migliaia e migliaia di click).

E’ fondamentale per questo ribadire che, come sottolinea giustamente la senatrice Garavini, “la spettacolarizzazione della morte non ha nulla a che vedere con il diritto di cronaca. Al contrario è un’offesa all’informazione libera”. C’è poi un altro aspetto da considerare che non può certo essere considerato secondario. Considerato il fermo dell’impianto per le indagini in corso, quelle immagini dovrebbero essere esaminate nelle procure e poi nella fase di dibattimento processuale. In altre parole non dovrebbero essere in alcun modo reste pubbliche. Inequivocabile, a tal proposito, è il comunicato stampa diffuso nella giornata di mercoledì dalla procura di Verbania e firmato dal procuratore della Repubblica Olimpia Bossi.

“In riferimento al servizio mandato in onda dal TG 3 della RAI in data odierna, nel quale sono state trasmesse le immagini estrapolate dall’impianto di videosorveglianza della funivia Stresa-Alpino-Mottarone, immediatamente riprese e descritte da numerosi altri organi di informazione preciso che tali immagini, contenute in un file video, risultavano depositate, unitamente a tutti gli atti di indagine, all’atto della richiesta di convalida del fermo e di applicazione di misura cautelare, con diritto degli indagati e dei rispettivi difensori di prenderne visione ed estrarne copia, diritti ampiamente esercitati. Si tratta, tuttavia, di immagini di cui, ai sensi dell’art. 114 comma 2 c.p.p., è comunque vietata la pubblicazione, anche parziale, trattandosi di atti che, benché non più coperti dal segreto in quanto noti agli indagati, sono relativi a procedimento in fase di indagini preliminari” si legge nel comunicato

In altre parole quel video non doveva in alcun modo essere trasmesso (e come al solito bisognerebbe poi chiedersi chi l’ha fatto avere alla Rai e a tutti gli altri organi di informazione…). Ma il procuratore Bossi va oltre e sottolinea senza tanti giri di parole l’inopportunità della pubblicazione di quel video, al di là degli aspetti meramente legali.

Ancor più del dato normativo – scrive il procuratore – mi preme sottolineare la assoluta inopportunità della pubblicazione di tali riprese, che ritraggono gli ultimi drammatici istanti di vita dei passeggeri della funivia precipitata il 23 maggio scorso sul Mottarone, per il doveroso rispetto che tutti, parti processuali, inquirenti e organi di informazione, siamo tenuti a portare alle vittime, al dolore delle loro famiglie, al cordoglio di una intera comunità. Portare a conoscenza degli indagati e dei loro difensori gli atti del procedimento a loro carico nelle fasi processuali in cui ciò è previsto, non significa, per ciò stesso, autorizzare ed avallare l’indiscriminata divulgazione del loro contenuto agli organi di informazione, soprattutto, come in questo caso, in cui si tratti di immagini dal fortissimo impatto emotivo, oltretutto mai portate a conoscenza neppure dei familiari delle vittime, la cui sofferenza, come è di intuitiva comprensione, non può e non deve essere ulteriormente acuita da iniziative come questa”.

L’unico aspetto positivo di questa bruttissima vicenda è la quasi unanime sollevazione dei lettori sui social, con tutte le pagine di siti di informazione e dei più noti giornalisti che sono stati inondati da commenti critici. Un piccolo segnale di speranza che certo non cancella l’ennesima pagina dell’informazione (sempre ammesso che si possa ancora chiamare così…) italiana

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