Tassa di successione per i maxi patrimoni, il trionfo del populismo


Il presidente del Consiglio Draghi, da sempre considerato il più autorevole antidoto contro il populismo,  veste i panni del più incallito populista per stroncare senza neppure discutere la proposta Letta. Come lui Renzi e, naturalmente, la Lega, FdI e parte del M5S

Parafrasando una famosa battuta di Nanni Moretti nel film “Aprile”, si potrebbe affermare che il segretario del Pd Letta finalmente “ha detto qualcosa di sinistra”. Anzi, sarebbe più corretto dire “cautamente di sinistra”, perché proporre di alzare un po’ la tassa di successione per i patrimoni superiori ai 5 milioni di euro è davvero il minimo sindacale che si possa chiedere per poter parlare, come fa l’ex ministro per il sud Provenzano, del concetto di “giustizia sociale” che dovrebbe essere uno dei principi fondamentali della sinistra. Non stupisce, quindi, che tra i più convintamente contrari ci sia Matteo Renzi che, in un’intervista a “La Stampa”, ha dichiarato che “sul tema c’è una distanza siderale tra me e Letta”.

Non c’erano dubbi, è esattamente la distanza che separa la destra moderata dalla sinistra più moderata. Sorprende di più, invece, che, proprio quelli che da sempre si considerano (o in qualche caso si auto definiscono) i veri paladini contro il dilagare del populismo, ricorrano proprio al populismo nella sua forma più becera per stroncare la proposta di Letta. Parliamo dello stesso Matteo Renzi e di diversi esponenti del suo partito (Italia Viva) che da sempre si vantano (spesso a ragione) di essere esattamente agli antipodi del populismo e delle sue peggiori distorsioni. Ma anche e soprattutto del presidente del Consiglio Mario Draghi che, per la sua storia personale e per il suo profilo istituzionale, è sempre stato presentato come il miglior antidoto alle più deteriori forme del populismo.

Questa volta, però, proprio il presidente del Consiglio ha vestito gli insoliti panni da populista per chiudere anche alla possibilità di una semplice (e quanto mai doverosa) discussione nel merito. “Non è il momento di prendere ma è quello di dare” ha commentato Draghi come un Salvini qualsiasi. Ed è proprio questo il punto, non che non si possa essere contrari alla proposta del segretario del Pd. Ma, a maggior ragione quando si è alla guida del paese, sarebbe quanto meno opportuno motivare la propria avversione con argomenti concreti e reali. E non certo ricorrendo ad uno dei baluardi tipici del populismo, cioè l’idea che qualsiasi forma di prelievo dalle tasche dei cittadini, anche nei confronti dei più ricchi, sia una sorta di appropriazione indebita da parte dello Stato.

Per altro la laconica affermazione di Draghi ha un’altra peculiarità tipica del più becero populismo, cioè la mistificazione della realtà necessaria per banalizzare una proposta (condivisibile o meno) articolata e far balenare esclusivamente l’aspetto negativo, ovviamente esasperandolo. In questo caso, poi, la mistificazione e la banalizzazione sono chiarissime perché è del tutto evidente che, come sottolinea correttamente la senatrice del Pd Monica Cirinnà, “la proposta di Enrico Letta, che colpirebbe solo l’1% degli italiani più ricchi, non è un togliere ma un dare, dà una speranza a tanti giovani di famiglie impoverite dalla pandemia”. Sulla stessa linea di Draghi l’ex presidente del Consiglio Renzi. “Troppo facile spremere i cittadini anziché tagliare le spese” ha affermato il segretario di Italia Viva.

Immediatamente dietro di lui i vari esponenti di IV e i siti ad esso legati, tra chi parla di incomprensibile volontà di tartassare i cittadini italiani con nuove tasse (Ettore Rosato, presidente di Italia Viva) e chi addirittura si spinge ad evocare una sorta di insensibilità del segretario del Pd che parla di tassa successione dopo che nel paese ci sono stati oltre 100 mila morti per la pandemia. Un vero e proprio delirio, scatenato semplicemente per evitare una giusta e sacrosanta discussione su un tema che nel nostro paese continua ad essere tabù: è giusto, soprattutto in momenti di particolare crisi come quello che stiamo vivendo, chiedere un minimo  sacrificio ai più fortunati per dare una mano a chi è più in difficoltà? In altre parole, si sta parlando di giustizia sociale, non di altro.

A prescindere dalla legittima opinione e dalle legittime simpatie politiche di ognuno, è indiscutibile che Matteo Renzi non sia uno sprovveduto. Quindi siamo certi che lui per primo sa perfettamente quanto sia assolutamente fuori luogo in questo caso paventare la volontà di “spremere i cittadini”, così come è perfettamente conscio di quanto non abbia alcun significato concreto ipotizzare un non meglio precisato taglio delle spese per eventualmente trovare i fondi necessari (oltre 2 miliardi) per finanziare l’intervento richiesto da Letta. Utilizza quegli argomenti (anzi, sarebbe più corretto dire quegli slogan) per far presa sulla “pancia” di tutta quella parte di cittadini a cui viene l’orticaria ogni volta che si ipotizza una qualsiasi forma di prelievo da parte dello Stato, per assurdo anche quando il prelievo non li tocca e non potrebbe toccarli in alcun modo e, addirittura, potrebbero addirittura beneficiarne.

E non è certo un caso che slogan simili contro la proposta Letta, sono stati utilizzati da quei giornali e da quei partiti (come Lega Fratelli d’Italia e in larga parte anche dal Movimento 5 Stelle) che fanno del populismo la loro principale risorsa. Ed è singolare, oltre che assolutamente esemplificativo, constatare come proprio quei giornali e quei partiti che da anni, si lamentano e accusano lo Stato di non occuparsi e di non fare nulla per “chi non arriva alla fine del mese”, sono poi sempre i primi ad insorgere e protestare se qualcuno ha l’ardire di proporre di toccare in minima parte il portafoglio dei più ricchi per ridistribuire il denaro. Che è esattamente quello che, per una volta, ha fatto il segretario del Pd, con una proposta di buonsenso che dice una cosa semplice (e più che condivisibile): dobbiamo chiedere un po’ di più a chi ha di più per dare a chi ha troppo poco e per investire sul futuro del Paese, a partire appunto dalle giovani generazioni.

Partendo, per altro, dal presupposto che, per quanto concerne le imposte sulla successione, in Italia chi eredita tantissimo paga la stessa percentuale di chi eredita meno. In un paese serio e non ormai in balia del più deteriore populismo, anche da parte di chi in realtà si professa esattamente agli antipodi, si sarebbe dovuta quanto meno aprire una seria discussione sui contenuti, invece di lasciarsi andare a slogan demagogici. Proviamo a farlo in maniera sintetica per capire concretamente di cosa si sta parlando. Letta ha proposto di introdurre una dote di 10 mila euro da destinare ai 18enni sulla base dell’Isee, specificando che la misura dovrebbe riguardare una platea di poco meno di 300 mila ragazzi e ragazze (la metà della popolazione dei 18enni), per scopi legati a formazione, istruzione, lavoro, piccola imprenditoria, casa.

Il costo stimato dell’intervento sarebbe di 2,8 miliardi che, appunto, il segretario del Pd vorrebbe finanziare con un aumento della tassa di successione. L’attuale norma (governo Prodi del 2006) prevede che la tassa si applica solo ai patrimoni sopra il milione di euro, con un prelievo del 4% (c’è una diversa aliquota per i trasferimenti verso fratelli o sorelle o per trasferimenti verso parenti più lontani che però non viene toccata dalla proposta Letta). L’ipotesi avanzata dal segretario del Pd prevede che la tassa continuerebbe a scattare solo per i patrimoni superiori a quella soglia (così come è ora), con un aumento dell’aliquota al 20% per le eredità di più di 5 milioni di euro. Secondo lo stesso Letta questa tassa di successione toccherebbe circa l’1% degli italiani, anche se in tal senso non ci sono dati ufficiali che lo confermano.

Quello che, invece, è certo ed indiscutibile è che, tra i principali stati europei, l’Italia è quello che ha aliquote e franchigie molto più generose. In Germania, ad esempio, per i patrimoni sopra i 5 milioni di euro c’è l’aliquota del 23%, in Spagna del 34%, in Gran Bretagna del 40% e in Francia addirittura del 45%. In pratica, se anche venisse accolta la proposta Letta, l’Italia continuerebbe ad avere un’aliquota sui mega patrimoni molto più generosa rispetto al resto d’Europa. Vale la pena ricordare che poco più di un anno fa (febbraio 2020) l’Osservatorio conti pubblici italiani (diretto da quel Carlo Cottarelli che non ci risulta essere un “pericoloso comunista”) si era occupato dell’imposta di successione , avanzando una proposta molto simile a quella ora in discussione e sostenendo che “l’imposta può essere uno strumento di equità sociale ed è meno distorsiva delle imposte sui redditi”.

Per altro va anche ricordato che la maggior parte di quegli esponenti politici che hanno reagito in tal modo alla proposta di Letta (a partire proprio dal presidente del Consiglio Draghi) da mesi ripetono che è necessario investire sui giovani, su quella che quasi unanimemente viene considerata la categoria che rischia di pagare più pesantemente le conseguenze della crisi pandemica. Allora è inaccettabile che una proposta che va esattamente in questa direzione venga liquidata senza neppure discuterla, semplicemente con slogan demagogici e populisti. Soprattutto senza proporre soluzioni e interventi alternativi, alimentando così il sospetto che quella attenzione fosse un’enorme ipocrisia perché, in realtà, l’unica reale preoccupazione è quella di preservare i privilegi di pochi a scapito del resto dei cittadini.

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