Storie di ordinaria malasanità: visita “urgente” negata ed esame “impossibile” per un’ottantenne ascolana


Il medico di base le aveva prescritto visita pneumologica “urgente” ma, visti i tempi di attesa, la donna costretta ad effettuarla a pagamento. E la solita mancanza di programmazione ed una serie incredibile di ostacoli di fatto le impediscono di effettuare la spirometria al “Mazzoni”

Solo in quello schizofrenico posto che è diventato il Belpaese può accadere che chi è vaccinato potrà presto tornare allo stadio (ai prossimi Europei di calcio di giugno ma anche, nei prossimi giorni, al Foro Italico per gli Internazionali di tennis), viaggiare e andare dove vuole ma non effettuare determinate prestazioni sanitarie. Non è più una novità, invece, che purtroppo le inaccettabili disfunzioni e carenze del nostro sistema sanitario finiscano per penalizzare pesantemente i più poveri e i più deboli, fino a privarli, in alcuni casi, di accedere a determinati servizi e prestazioni fondamentali. Sono questi gli ingredienti principali, insieme ad un’imbarazzante mancanza di sensibilità da parte di alcuni operatori sanitari, della sconcertante odissea vissuta nei giorni scorsi da un’anziana 80enne ascolana che si era recata all’ospedale Mazzoni per effettuare un esame spirometrico.

Tutto ha inizio quando il suo medico di base le prescrive una visita pneumologica con esame spirometrico. La donna soffre da sempre di asma, patologia che ovviamente con il passare degli anni inevitabilmente si è acuita. Sulla base di determinati parametri riscontrati nel corso della visita, secondo il medico di base la visita e la spirometria rivestono carattere d’urgenza, quindi da fissare entro 10 giorni dalla prenotazione. E qui nascono i primi problemi perché, alla figlia della donna che telefona per la prenotazione, dal numero verde del Cup fanno presente che nei tempi previsti dall’urgenza (appunto i 10 giorni) è possibile prenotare la visita solo nel Pesarese, mentre per effettuarla ad Ascoli dovrebbe attendere diversi mesi.

Ovviamente, come è tipico nella nostra sanità, se decidesse di farla a pagamento i tempi di attesa magicamente si ridurrebbero drasticamente, non più di una decina di giorni. In ogni caso, dopo diverse telefonate e discussioni, la figlia dell’anziana donna riesce quanto meno a trovare un “buco” libero per farle intanto effettuare l’esame spirometrico presso la piastra ambulatoriale dell’ospedale Mazzoni, rassegnandosi al contempo ad effettuare e prenotare la visita pneumologica a pagamento. La mattina in cui è programmato l’esame la donna non è certo nelle migliori condizioni fisiche, respira con un po’ di affanno e si affatica appena effettua due passi.

Ad accompagnarla in ospedale è uno dei suoi figli che, in altre occasioni, facendo presente le condizioni della donna e grazie alla sensibilità e alla comprensione di chi era all’entrata, era riuscito a portarla il più vicino possibile all’ingresso, fino a dove è possibile arrivare con la macchina (per comprendere meglio, all’altezza delle scalette di accesso al Pronto Soccorso). Questa volta, invece, questa possibilità viene negata, con l’aggravante che non è possibile neppure andare a parcheggiare nel parcheggio a pagamento di fronte all’ingresso dell’accettazione, il posto più vicino all’ingresso dell’ospedale.

La lunga fila di auto in attesa di effettuare il tampone al drive in situato nel parcheggio stesso lo rende impraticabile, quindi devono ripiegare sul parcheggio a pagamento coperto. Sottobraccio al figlio che l’accompagna, la donna compie molto lentamente e con estrema fatica il tragitto che la separa dall’ingresso dell’ospedale, fermandosi a riposare più volte. Quando arriva all’ingresso dell’ospedale è visibilmente sofferente e notevolmente affaticata, tanto che l’agente presente all’entrata per prendere le generalità e misurare la temperatura di chi entra nella struttura si preoccupa immediatamente di farla sedere.

Dopo che il figlio ha sbrigato anche per la madre le incombenze che gravano in tempi di covid su chi accede in ospedale (tecnicamente “procedura di triage per accesso alle sedi distrettuali dell’AV5”), la donna, sostenuta dal figlio, lentamente e a fatica si avvia alla piastra ambulatoriale dove dovrebbe effettuare l’esame. Mentre lei, ancora sofferente e decisamente affaticata, si siede, il figlio allo sportello dell’accettazione scopre l’amara sorpresa. L’operatrice gli spiega che la madre, prima di poter effettuare la spirometria, deve recarsi al drive in per fare il tampone, per poi tornare alla piastra ambulatoriale e attendere il risultato del tampone stesso prima di effettuare l’esame.

L’uomo, visibilmente contrariato ma con toni estremamente garbati, fa presente che nel documento di prenotazione rilasciato dalla stessa AV5 non si fa alcun riferimento all’obbligo di effettuare il tampone prima di quell’esame, sottolineando per altro che la madre è da tempo immunizzata (ha effettuato entrambe le dosi di vaccino). Inoltre fa notare che le condizioni dell’anziana donna non le consentono certo di recarsi a piedi al drive in e poi tornare, sempre a piedi, fino alla piastra ambulatoriale. Una situazione talmente evidente che la stessa operatrice se ne rende conto e dice all’uomo di consultare il personale sanitario presente nell’ambulatorio dove l’ottantenne dovrebbe effettuare la spirometria per spiegare la situazione e trovare una soluzione. Cosa che ovviamente fa immediatamente, trovandosi però di fronte un autentico muro di gomma.

L’uomo spiega nel dettaglio la situazione ma si sente rispondere con tono sprezzante che a loro non interessa nulla se la donna è vaccinata, se vuole effettuare l’esame deve prima fare il tampone. Cercando di mantenere la calma prova a far presente le condizioni della madre, per altro ampiamente visibili, che evidentemente non è in grado di andare al drive in a piedi e poi tornare alla piastra ambulatoriale, ma la risposta che ottiene è sempre la stessa, senza tampone niente spirometria. Prova allora a chiedere se c’è la possibilità che la mamma possa essere portata al drive in anche con una sedia a rotelle, viste le sue condizioni, ma viene “gelato” dalla risposta sarcastica di una delle operatrici presenti: “è vicino, fa due passi e ci va”.

A quel punto l’anziana ottantenne, con le lacrime agli occhi, chiama il figlio e chiede di tornare a casa, visto che non è assolutamente in condizione di effettuare a piedi quanto imposto. Per tornare al parcheggio coperto i due impiegano tantissimo tempo, la donna è visibilmente in affanno (accresciuto anche dalla situazione che è stata costretta a vivere), fatica notevolmente a camminare e deve fermarsi più volte, appoggiandosi e sedendosi dove può, per riposare e riprendere fiato. Si sente offesa e umiliata, non riesce a trattenere le lacrime e non bisogna essere uno psicologo per comprendere cosa può provare in simili circostanze una persona anziana. Naturalmente è giusto e assolutamente condivisibile che vengano previste tutte le precauzioni possibili per proteggere e tutelare il personale sanitario nell’effettuazione di determinate prestazioni.

Ma è a dir poco imbarazzante e assolutamente inaccettabile l’inadeguatezza a livello organizzativo, senza parlare poi dell’incapacità (almeno in questo caso) di valutare nel modo opportuno la situazione. Eppure non è certo necessario essere un particolare genio per fare in modo di far effettuare i tamponi, a chi deve sottoporsi a visite o esami che, per ragioni di precauzioni, lo richiedano, all’ingresso della piastra ambulatoriale. E, in ogni caso, quando c’è questa necessità sarebbe quanto meno opportuno e logico indicarlo nel documento di prenotazione rilasciato dall’AV5, in modo da evitare il verificarsi di determinate situazioni (soprattutto quando ci sono di mezzo persone anziane).

In questi mesi scanditi dall’emergenza covid, di fronte agli agli inevitabili problemi che si riscontrano negli ospedali e nelle strutture sanitarie, sia in caso di ricovero, sia in caso dell’effettuazione di visite ed esami, i vertici sanitari locali e regionali si giustificano sempre parlando di inevitabili conseguenze della pandemia, dello stress a cui sono sottoposte le strutture e il personale sanitario proprio a causa del covid. Comprensibile, ma in questo caso è una giustificazione che non regge, sarebbe sufficiente semplicemente una più logica programmazione e un minimo di attenzione in più nei confronti dei cittadini per evitare il verificarsi di simili spiacevoli situazioni.

Quanto al resto c’è poco da aggiungere, se non si ha neppure la sensibilità e l’umanità per comprendere  quali sino le condizioni di un’anziana ottantenne, se neppure ci si preoccupa di metterla nelle condizioni per poter effettuare gli esami e le prove richieste (sarebbe stata sufficiente una delle sedie a rotelle presenti in ospedale un po’ ovunque), forse bisognerebbe riflettere e chiedersi se per caso non si è sbagliata professione. Siamo certi che stiamo parlando di poche eccezioni, non abbiamo dubbi che la stragrande maggioranza del nostro personale sanitario ha ben altro tipo di sensibilità.

A maggior ragione, però, per rispetto nei loro confronti è opportuno sottolineare quando avvengono determinate vicende che rischiano di trasmettere un’immagine assolutamente sbagliata e non veritiera del nostro personale sanitario…

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