Arancione con duplice rischio per le Marche


Nonostante dati al limite, da oggi le Marche sono tornate arancioni, con la conseguente riapertura delle scuole anche superiori (con lezioni in presenza al 50%). Con tutti i rischi che ciò comporta anche in previsione delle “vere2 riaperture previste dal governo per fine aprile

La premessa è d’obbligo e necessaria perché c’è ancora chi (per fortuna una minoranza) continua a non comprendere la differenza abissale che passa tra il segnalare in anticipo determinate disfunzioni o possibili problematiche dall’augurarsi che poi effettivamente le cose vadano nel modo peggiore. Non c’è mai piaciuto il cosiddetto “tanto peggio, tanto meglio” e men che mai in un momento e in una situazione come questa in cui sono in ballo la salute dei cittadini e, purtroppo, anche la vita stessa dei marchigiani. Quindi, senza alcun dubbio, speriamo davvero che tra 15-20 giorni potremo affermare con assoluta certezza che i nostri timori erano infondati o quanto meno eccessivi, che questa volta la Regione e il governatore Acquaroli non hanno sbagliato una mossa. Vista la situazione attuale delle Marche, però, appare davvero impossibile non essere preoccupati e per più di una ragione.

Come ormai tutti sapranno, da oggi (martedì 6 aprile) la nostra regione è tornata arancione, dopo quasi un mese di zona rossa. Sicuramente una buona notizia, perché significa che comunque i dati sono migliorati negli ultimi giorni, ma è innegabile che in prospettiva c’è più di una preoccupazione. Che deriva innanzitutto dal fatto che fino alla fine le Marche sono state in bilico tra la conferma della zona rossa anche dopo Pasqua e il ritorno in arancione, visto che comunque, nonostante il citato miglioramento, la situazione resta al limite. Venerdì 2 aprile, giorno nel quale la cabina di regia del ministero ha deciso il passaggio, l’indice Rt delle Marche era di 1,04 , il rapporto contagi ogni 100 mila abitanti era di poco sotto la soglia limite di 250, con la pressione sulle strutture sanitarie praticamente al massimo, con 935 ricoveri e 142 in terapia intensiva.

E se negli ultimi giorni si era registrato un piccolo calo, nella giornata di lunedì si è verificata una nuova impennata nei ricoveri (che restano ampiamente sopra quota 900), con le terapie intensive che restano ancora a quota 142. Quando la nostra regione è entrata in zona rossa (lunedì 15 marzo) i ricoveri erano a quota 854 e le terapie intensive a 132. Non solo, complessivamente i positivi erano 78.590 mentre ora sono 89.284, con una crescita che riguarda tutte le province. Se questa è quella generale (senza considerare che il rapporto tamponi/positivi continua ad essere il peggiore in Italia, intorno al 20% e all’8% a seconda se si considerano solo i tamponi “nuovi” o complessivamente, compreso il percorso guariti) ci sono poi localmente situazioni ben più preoccupanti che meriterebbero una differente attenzione. La provincia di Ancona, ad esempio, venerdì 2 aprile era ancora intorno ai 250 contagi ogni 100 mila abitanti, mentre quella di Macerata era poco sotto quella soglia.

Nelle due province, poi, ci sono comuni con un numero elevato di contagi che continuano a destare preoccupazione. Parliamo, ad esempio, di Fabriano, Falconara Marittima, Jesi, Osimo, Senigallia ad Ancona e Cingoli, Potenza Picena e Recanati a Macerata, senza dimenticare i due capoluoghi di provincia (e anche Civitanova Marche). Ma qualche comune con numeri da “rosso” c’è anche nella provincia di Ascoli, in particolare Monteprandone con situazione da monitorare anche a Spinetoli, Monsampolo e sulla costa. Nel vicino Abruzzo, passato a sua volta da rosso ad arancione (ma con numeri decisamente migliori rispetto alle Marche), il governatore Marsilio ha comunque deciso di intervenire per far fronte a situazioni locali preoccupanti, stabilendo che comunque dal 6 aprile ben 17 comuni continueranno ad essere in zona rossa (tra cui tutti quelli che confinano con la provincia di Ascoli: Alba Adriatica, Colonnella, Nereto, Sant’Omero, Sant’Egidio alla Vibrata, Valle Castellana limitatamente alla frazione di Pietralta).

Già nelle settimane passate il presidente della Regione Abruzzo aveva adottato simili provvedimenti e in questa direzione si sono mossi tutti i governatori regionali che, in presenza di zone (che siano province o comuni) con dati preoccupanti, non hanno esitato e non esitano a decretare locali zone rosse. Ed i fatti e i risultati gli hanno sempre dato ragione. Difficile capire per quale ragione il governatore Acquaroli non segua l’esempio dei suoi colleghi mettendo in atto interventi simili che sicuramente aiuterebbero, evitando il rischio che la situazione difficile possa estendersi e propagarsi nelle zone limitrofe ai comuni che sono in difficoltà.

Come al solito il presidente della Regione si è limitato, con l’ennesimo lunghissimo post pubblicato questa mattina sui social, alle raccomandazioni. Chissà, magari i marchigiani saranno diventati estremamente saggi e sapranno dimostrare una straordinaria maturità. Di certo, però, la storia degli ultimi 12 mesi ci dimostra   che le raccomandazioni sono assolutamente insufficienti. In concreto con il passaggio dalla zona rossa a quella arancione non cambia molto per quanto riguarda la libertà di movimento dei singoli cittadini. Riaprono, invece, alcune attività (in particolare parrucchieri, barbieri, estetiste) mentre continuano a rimanere chiusi (se non per il servizio di asporto) ristoranti, bar, locali.

La vera grande differenza, che poi è anche la principale fonte di preoccupazione, è che in zona arancione riaprono anche le scuole secondarie, oltre che medie ed elementari, con lezioni in presenza tra il 50 e il 75%. Secondo quanto dichiarato dall’assessore Castelli si ripartirà al 50% perché in tal modo si tratta “di una situazione monitorabile anche sul fronte dei trasporti”. “E’ un segnale dovuto ai nostri ragazzi perché hanno bisogno di ritornare alla normalità” aggiunge l’assessore regionale allineandosi a quello che è il pensiero prevalente, quasi unico, espresso nelle ultime settimane dalla politica italiana.

Che, però, cozza con quanto sostengono praticamente tutti gli esperti che continuano a ritenere la riapertura delle scuole, a maggior ragione in queste condizioni, una fonte di pericolo e un “serbatoio per la diffusione delle varianti”. “E’ una risposta ad un bisogno, visto che la didattica a distanza crea problemi oggettivi alle famiglie. Ma dal punto di vista scientifico ad oggi sappiamo che la scuola è un elemento di rischio” sottolinea il virologo Fabrizio Pregliasco che aggiunge anche che “il ruolo della scuola nella diffusione dell’epidemia lo conosciamo già ed è legato anche al fatto che, pur seguendo tutti i protocolli, non riusciamo a controllare la mobilità e la socialità che si crea intorno”.

La variante inglese si trasmette con grande efficienza tra bambini e adolescenti e questo vuol dire che la scuola rimane un serbatoio importante” spiega Massimo Galli, direttore della clinica di Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano. “Nel momento in cui mandiamo a scuola bambini e ragazzi non vaccinati è impossibile arginare l’infezione – aggiunge – è profondamente sbagliato, non è un caso che i francesi si siano pentiti e siano tornati indietro sulla scelta. E non è un caso che gli inglesi abbiamo chiuso le scuole quando intensificavano i vaccini. E’ un errore, speriamo non abbia conseguenze troppo gravi. E’ un atteggiamento di guardia abbassata. Sono solidale con chi ha bambini e ragazzi ma questo è un provvedimento che va contro ogni criterio scientifico”.

E’ opportuno sottolineare come sull’apertura delle scuole, dopo l’ultimo Dpcm, le Regioni possono fare ben poco, è un meccanismo automatico legato alla colorazione di ogni regione. Ma è altrettanto certo che, nella condizione in cui si trovano le Marche, il rischio è inevitabilmente maggiore, per altro in una duplice direzione. La prima, la più preoccupante, è strettamente legata alla tutela della salute. Una ripresa e una nuova crescita del contagio ora che la nostra regione ha numeri così alti e una pressione ospedaliera già al limite avrebbe conseguenze catastrofiche, di fatto saremmo di fronte ad una situazione quasi impossibile da gestire.

Allo stesso tempo se si può sperare di riuscire in qualche modo a contenere un’eventuale nuova crescita è di fatto impossibile pensare che, in un simile contesto, nelle prossime settimane i dati potranno subire un consistente calo. Questo significa che è più che probabile che a fine mese, quando secondo il programma predisposto dal governo, dovrebbero tornare le zone gialle e si dovrebbe iniziare a riaprire nelle zone che sono in evidente miglioramento, per le Marche non ci sono speranze, difficilmente la nostra regione sarà tra quelle che potranno lentamente ripartire. Anche perché purtroppo siamo molto indietro anche per quanto riguarda i vaccini che è l’altro criterio che può incidere su una più veloce ripartenza.

Ad oggi (martedì 6 aprile) le Marche sono tra le regioni peggiori, con 301.083 dosi somministrate su 380.410 dosi ricevute, con una media di poco superiore al 79% (ed un numero incredibilmente elevato di dosi non utilizzate, quasi 80 mila) che resta al di sotto della media nazionale, con ben 12 regioni che si attestano sopra l’80%. In un simile contesto, quindi, i pericoli per la nostra regione, in ottica di quanto accadrà nelle prossime settimane, rischiano di essere di gran lunga superiori ai benefici, piuttosto limitati, che si hanno concretamente con il passaggio dal rosso all’arancione. Sperando ovviamente che questa volta la nostra preoccupazione alla fine risulti eccessiva e smentita dai fatti…

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