La variante anconetana


Attesa da giorni, vista la situazione nell’Anconentano, nel pomeriggio di martedì 16 è arrivata l’ordinanza del presidente Acquaroli. Che vieta per meno di 4 giorni gli spostamenti in entrata e in uscita dalla provincia di Ancona, inspiegabilmente lasciata “gialla”

A leggere l’ordinanza firmata dal presidente della Regione Francesco Acquaroli  nel tardo pomeriggio di martedì 16 febbraio la prima impressione che si ricava è che nelle Marche è stata scoperta ed isolata una nuova variante del covid, quella anconetana. Che si differenzia dal ceppo tradizionale e da tutte le altre varianti per due caratteristiche davvero singolari: la prima è che è poco o nulla contagiosa all’interno della provincia di Ancona ma micidiale con chi risiede fuori provincia (è un ceppo particolarmente intelligente, riconosce i residenti e i non residenti…), la seconda che la sua contagiosità fuori provincia dura pochissimo, solamente pochi giorni.

Se non è così, restano solamente due alternative: o il presidente Acquaroli ha voluto ravvivare un martedì “grasso” inevitabilmente sotto tono, dilettandosi in un tipico scherzo di Carnevale (lo ipotizzano diversi cittadini anconetani che hanno commentato il post su facebook del governatore marchigiano) oppure è in totale stato di confusione. Come diceva Corrado Guzzanti nella sua straordinaria interpretazione di “Quelo”, probabilmente è “la seconda che hai detto”.

Come abbiamo sottolineato più volte nelle ultime settimane, serve una buona dose di ironia per digerire i surreali “disastri” che sforna a getto continuo la Regione, e in particolare la coppia comica (i nuovi Gianni e Pinotto) Acquaroli-Saltamartini, in questo difficile periodo di pandemia. In realtà ci sarebbe da piangere, da disperarsi di fronte a simili dimostrazioni di inadeguatezza nell’affrontare le tante problematiche legate alla pandemia. Da giorni annunciata su giornali e social, visti i dati e la situazione sempre più preoccupante nella provincia di Ancona, alla fine la decisione della Regione è arrivata nel pomeriggio di martedì 16, annunciata prima da Acquaroli con un surreale e confuso post su facebook, poi concretizzata con la conseguente ordinanza regionale.

E dire che la montagna ha partorito il topolino è addirittura riduttivo. Perché quella partorita da Acquaroli è un’ordinanza sconfortante, di cui non si capisce il senso e tanto meno l’utilità. Composta da 3 articoli di fatto sancisce il divieto in entrata e in uscita dalla provincia di Ancona, ovviamente “salvi gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o da situazioni di necessità ovvero per motivi di salute”. Sono comunque consentiti gli spostamenti necessari per la didattica in presenza (scuola per chi viene dai comuni al confine ma fuori provincia, ma anche università), così come è consentito il rientro alla propria residenza, domicilio o abitazione.

Infine è ovviamente consentito il transito sul territorio provinciale per chi deve recarsi in altri territori non soggetti a restrizioni. Non sono previste altre disposizioni, all’interno del territorio provinciale si resta in zona gialla, quindi bar, locali, ristoranti possono restare aperti, così come restano aperte scuole e università e ovviamente ci si può spostare in qualsiasi comune della provincia. Da sottolineare, infine, che le restrizioni previste sono in vigore dalle ore 8 di mercoledì 17 febbraio fino alle 24 di sabato 20 febbraio, praticamente meno di 4 giorni.

Non c’è neppure il bisogno di sottolinearlo, anche un bambino capirebbe al volo che siamo di fronte ad un provvedimento senza senso, che non ha alcuna possibilità di incidere positivamente, assolutamente inadeguato se la situazione è davvero, come unanimemente sostenuto, così preoccupante nella provincia di Ancona (e se non è preoccupante allora non aveva senso emettere alcuna ordinanza…). La Regione, che sostiene di aver avuto prima un confronto con l’Istituto Superiore di Sanità e con il Ministero della Salute, spiega che “il provvedimento precauzionale si è reso necessario per mitigare i flussi dei cittadini e monitorare l’andamento del contagio, soprattutto in riferimento alla variante inglese, sul territorio anconetano e nel resto della regione”.

Ormai da giorni si sapeva che purtroppo la variante inglese era stata trovata anche nelle Marche e, in particolare, nella provincia di Ancona. Che ormai da giorni non solo ha numeri preoccupanti ma, soprattutto, ha nel complesso una situazione sempre più critica, con le strutture sanitarie (Torrette e Inrca) sotto pressione, praticamente al massimo per ricoveri e pazienti. I numeri resi noti del report epidemiologico presentato dal servizio Salute della Regione Marche evidenziano, tra l’altro, come ben 10 comuni della provincia di Ancona nell’ultima settimana hanno avuto una media superiore ai 250 casi per 100 mila abitanti (Sassoferrato addirittura 1.128,6, Sirolo 740,4, Castelfidardo 658,5), tra cui anche il capoluogo regionale e città come Jesi e Osimo con molti residenti (rispettivamente oltre 40 mila e oltre 35 mila).

Sappiamo ormai come, nel caso in cui la cosiddetta variante inglese è presente in un territorio in percentuale importante, è assolutamente necessario adottare restrizioni stringenti. Ma se ci si limita a vietare ingressi e uscite dalla provincia di Ancona, nella migliore delle ipotesi si può sperare di non diffonderla e non far schizzare i contagi nelle altre province marchigiane (e poi neppure tanto, come vedremo). Di certo, però, senza alcun altro provvedimento restrittivo all’interno della provincia il rischio di favorire ulteriormente la diffusione nel territorio anconetano è più che concreto. Addirittura non si è neppure ritenuto opportuno eventualmente fare micro zone rosse in alcuni comuni, in alcune zone della provincia stessa dove i numeri sono impressionanti e c’è il fondato sospetto (o la certezza) di una massiccia presenza della cosiddetta variante inglese.

Non bisogna dimenticare, tra l’altro, che la provincia di Ancona, con quasi 500 mila residenti, rappresenta da sola quasi un terzo dei residenti marchigiani. Quasi 500 mila persone libere di spostarsi senza limitazioni all’interno della provincia, di andare al bar, nei locali, a ristorante, di fare attività sportiva, di andare per negozi e centri commerciali. In altre parole la situazione ideale per far prosperare il ceppo iper contagioso del virus.

Nei giorni scorsi quasi tutti gli osservatori avevano ipotizzato che per la provincia di Ancona si sarebbe ricalcato quanto fatto in Abruzzo per le province di Chieti e Pescara e in Umbria per quella di Perugia, dichiarate zone rosse almeno per 15 giorni. Con tutte le limitazioni e le conseguenze del caso, comprese ovviamente la chiusura (e il ritorno alla didattica a distanza) di tutte le scuole e delle università. Logico e inevitabile, anche perché non bisogna essere dei geni per capire che, soprattutto se non si chiudono le università, il rischio di non riuscire a fermare la diffusione della variante inglese anche nelle altre province marchigiane è più che concreto.

Per altro l’ordinanza consente gli spostamenti da e per la provincia di Ancona necessari ad assicurare lo svolgimento della didattica in presenza. Chi conosce la realtà universitaria anconetana sa perfettamente che le lezioni sono frequentate da tanti pendolari marchigiani, studenti e studentesse che ogni giorno dalle altre province delle Marche si recano nel capoluogo regionale. Identico discorso ovviamente vale per i lavoratori pendolari, per quelli che dalle altre province ogni giorno si recano ad Ancona per lavoro. Nessuno, ovviamente, chiedeva e pensava di bloccarli. Ma proprio perché si deve consentire ai lavoratori pendolari di recarsi al lavoro sarebbe stato oltre modo necessario dichiarare tutta la provincia di Ancona zona rossa.

Non ci sono, invece, parole, per commentare la decisione di lasciare in vigore quell’ordinanza per meno di 4 giorni, come se in un così breve lasso di tempo ci possa essere la possibilità che la situazione migliori (semmai, come visto, potrebbe notevolmente peggiorare). Superfluo sottolineare il modo in cui è stata accolta l’ordinanza regionale, come detto annunciata da un post del presidente Acquaroli su facebook che non sarebbe riuscito a renderlo così poco chiaro neppure se lo avesse fatto volontariamente.

Tantissimi i commenti, praticamente tutti di segno negativo, tra chi non nasconde il proprio stupore, chi contesta duramente l’ordinanza e chi (tantissimi) accusa il governatore di non essere per nulla chiaro. In tanti preferiscono rifugiarsi nell’ironia, sbeffeggiando il presidente Acquaroli e smontando la sua surreale ordinanza. Tra i tanti commenti graffianti e pertinenti letti, vorremmo chiudere citando quello scritto da Barbara.

Ho letto questo post – scrive riferendosi ovviamente alle parole scritte da Acquaroli – ed ho immaginato di essere messi in un recinto in cui c’è un incendio. Siamo sicuri che solo il non farci uscire e non far entrare sia la soluzione giusta, senza prendere altre misure di prevenzione del contagio?”. Non c’è bisogno di aggiungere altro…

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