Toglietemi tutto ma non la stagione sciistica…


Nonostante la drammatica conta giornaliera dei morti, nonostante l’esempio di quanto accaduto questa estate con discoteche, movida e viaggi, c’è chi continua a fingere di non capire e incalza il governo per costringerlo a riaprire gli impianti sciistici…

Più che dei cosiddetti “negazionisti” (dopo aver superato la tragica quota dei 50 mila morti, che per altro è un dato al ribasso perché sappiamo che quella cifra comprende solo chi è morto in ospedale o in una struttura sanitaria e non chi è deceduto a casa, bisogna essere oltremodo ottusi per negare l’evidenza), sarebbe forse più opportuno iniziare a preoccuparsi seriamente di quelli che con la solita espressione colorita Marco Travaglio definisce gli “sci-muniti”. Che, ovviamente, è un termine riferito alla surreale muova diatriba del momento, quella sulla riapertura degli impianti sciistici, ma che in generale può essere esteso a quella che, sempre il direttore de “Il Fatto Quotidiano”, definisce l’allegra combriccola di buontemponi che, prima della “campale” battaglia per le piste da sci, nei mesi scorsi si era battuta per un altro genere di piste, quelle da ballo, ma anche per “salvare” l’indispensabile (per il paese) movida, il ferragosto e ogni “menata” del genere.

Svaghi sacrosanti, ci mancherebbe altro, che tutti vorremmo poter svolgere tranquillamente, senza limitazioni. Il problema è che siamo nel pieno di una situazione drammatica, con il tragico bollettino quotidiano che racconta di centinaia di morti ogni dannato giorno, e di conseguenza chiunque ha mantenuto un briciolo di buon senso dovrebbe sapere che ora la priorità non può che essere la tutela della salute pubblica, il primo e più importante obiettivo da perseguire con tutti i mezzi è il contenimento del virus, non solo in termini di decessi ma anche e soprattutto in termini di pressione sul fragile sistema sanitario italiano (o forse sarebbe più opportuno dire sui 20 differenti sistemi sanitari regionali). I tanto contestati provvedimenti adottati in queste settimane dal governo, in particolare la divisione delle regioni in tre fasce (gialla, arancione, rossa), stanno iniziando a dare i primi risultati.

Da qualche giorno scende il numero giornaliero dei contagiati (e, cosa più importante, la percentuale tamponi/positivi), finalmente rallenta fin quasi a frenare l’occupazione dei posti in terapia intensiva, anche se continua ad essere terrificante il dato giornaliero dei morti (quasi 900 nella giornata di martedì) che, però, abbiamo imparato che è l’ultimo a decrescere. Di questo passo la possibilità di trascorrere un Natale un po’ più sereno è molto concreta. Ma tutt’altra cosa è pensare di fare il bis di quanto accaduto questa estate, anche perché sarebbe semplicemente folle ripetere gli errori commessi a luglio-agosto le cui conseguenze le stiamo così pesantemente pagando tutt’ora.

Perché non ci sono dubbi che la situazione attuale sia figlia di quanto accaduto questa estate, tra movida, discoteche riaperte, viaggi all’estero e cose simili. Certo, è altrettanto innegabile che poi hanno inciso anche altri fattori, la riapertura delle scuole, la ripresa dell’attività lavorativa, in una percentuale rilevante, in presenza, il problema dei trasporti pubblici ma anche, purtroppo, l’inaccettabile impreparazione (con responsabilità da dividere tra il governo centrale e, soprattutto, le varie Regioni) di fronte ad una seconda ondata che non è sicuramente arrivata inaspettata. Ma che alla base di questa situazione difficile che stiamo vivendo ci sia l’irresponsabile comportamento di una larga fascia di persone è ormai ampiamente assodato. Un’ulteriore conferma è arrivata nei giorni dal quindicesimo “Rapporto Meridiano Sanità”, elaborato da una delle più prestigiose e accreditate strutture internazionali, “The European House Ambrosetti” (da anni stabilmente tra i primi 5 “Think Thamk” europei, su oltre 8 mila strutture, per credibilità e autorevolezza).

Quest’anno un’intera parte del Rapporto è ovviamente dedicata al covid, alla sua diffusione a livello internazionale, all’analisi del comportamento avuto in questi mesi da ogni paese. E per quanto riguarda l’Italia, che pure secondo i parametri utilizzati nel Rapporto è risultato il paese che ha affrontato meglio l’emergenza nella prima fase, è stato evidenziato come quanto accaduto nel corso dell’estate sia risultato decisivo per lo sviluppo in termini così pesanti della seconda ondata. “Gli ottimi risultati conseguiti fino a giugno – si legge nel Rapporto – durante l’estate hanno portato ad un rilassamento sia dei comportamenti individuali che dei protocolli rigidi dei mesi precedenti”.

In particolare si fa riferimento al mancato utilizzo della mascherina, agli assembramenti, in particolare alla movida, ai viaggi all’estero senza alcuna precauzione. “Tutti fattori – si legge ancora nel Rapporto – che hanno portato ad un rapido aumento dei casi in queste settimane, con un contestuale aumento dei ricoveri in generale e di quelli di terapia intensiva”. Se non fosse sufficiente il drammatico contesto in cui ci troviamo, il semplice esempio di quanto accaduto nei mesi scorsi dovrebbe far riflettere su quello che è giusto fare.

Non servirebbe neppure discuterne, invece da giorni il dibattito si è acceso, con le pressioni sempre più forti sul governo per spingere a riaprire la stagione sciistica. Abbiamo 800 morti al giorno, le terapie intensive vicine al collasso, gli ospedali che scoppiano, con la conseguenza che altre importanti e gravi patologie che inevitabilmente vengono trascurate, e c’è chi pensa alla cena di Natale e andare a sciare. Siamo alla follia, alimentata come al solito dai soliti “polituncoli” ma anche da una parte della stampa. Che da giorni sta facendo a gara per riportare gli “illuminati” pareri in proposito di autentici esperti come Alberto Tomba, Giorgio Rocca, Federica Brignone.

Ex campioni e l’attuale stella dello sci italiano, ovviamente legati al proprio sport, a cui tutti gli sportivi italiani sono giustamente legati. Ma il cui parere è assolutamente superfluo e completamente inutile, non devono certo essere loro a spiegarci se ci sono rischi o meno nell’aprire la stagione sciistica. Basterebbe ricordare quello che è accaduto nel febbraio e marzo scorso, anzi, sarebbe sufficiente ripensare ad alcune immagini di qualche settimana fa, quando già la situazione nel paese stava precipitando. E’ davvero incredibile come si stia ripetendo la stessa identica storia di questa estate, quando si è fatto di tutto per tenere aperte le discoteche e per non porre limiti alla movida, con i giornali che pubblicavano in continuazione gli appelli di questo o quel personaggio pubblico.

Certo, Tomba, Rocca e Brignone sicuramente sono personaggi più spendibili di Briatore o della Santanchè. Ma la sostanza non cambia, così come purtroppo non cambia il fatto che a premere per la riapertura siano le Regioni che sono nelle peggiori condizioni (Lombardia, Piemonte e Liguria su tutte), con i soliti governatori e alcuni assessori “tristemente noti”, che purtroppo abbiamo imparato a conoscere nei mesi scorsi. Tra questi, in particolare, l’assessore lombardo Caparini, protagonista di alcune memorabili conferenze stampa nel corso della prima fase della pandemia, che da giorni “sbraita” contro il governo che non vuole farci sciare, assicurando tutti che non ci sarebbero rischi.

La sua regione, come nella prima fase, è nuovamente al collasso, è da settimane zona rossa, ha il 40% dei decessi totali di tutto il paese, non è stata neppure in grado di procurarsi i vaccini antinfluenzali necessari per vaccinare la popolazione a rischio (medici, anziani, malati) e per l’assessore Caparini la scelta scriteriata e grave sarebbe quella di impedire la riapertura degli impianti sciistici… Davvero non ci sono parole, è disarmante constatare come in questo paese (almeno per una parte di esso) neppure l’esperienza passata insegni qualcosa, c’è chi è pronto a ripetere gli stessi errori, con poi le inevitabili stesse drammatiche conseguenze. Il copione è sempre lo stesso, così come identica è l’impreparazione delle Regioni.

Anche in questo caso l’esperienza dei mesi passati non ha purtroppo insegnato nulla. La maggioranza delle Regioni stesse non ha sfruttato l’estate, come avrebbe dovuto, per potenziare le terapie intensive (nonostante i posti in più erano già stati finanziati). Molte di loro non ha neppure provveduto ad acquistare le scorte necessarie per una sufficiente campagna di vaccinazione antinfluenzale che, pure, era stata considerata fondamentale per evitare una pericolosa sovrapposizione. E, purtroppo, il copione si ripete anche per quanto la prevista campagna di vaccinazione contro il covid che, negli auspici, dovrebbe partire a gennaio.

Il commissario straordinario per l’emergenza pandemica, Arcuri, aveva chiesto alle Regioni di inviare entro il 20 novembre il dettagliato piano vaccinazioni, con l’individuazione dei luoghi più idonei per lo stoccaggio e la somministrazione del vaccino stesso. Però alla scadenza del termine solo il 50% delle Regioni hanno fatto pervenire il suddetto piano, le altre sono “in alto mare”. Davvero difficile non lasciarsi prendere dallo sconforto…

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