Referendum sul taglio dei parlamentari, istruzioni per l’uso


La legge costituzionale oggetto del quesito referendario prevede la riduzione dei deputati da 635 a 400 e dei senatori da 315 a 200. Al netto della propaganda più becere e delle immancabili bufale, risparmi e rappresentanza al centro della campagna elettorale

Oltre che per eleggere il nuovo governatore delle Marche, domenica 20 e lunedì 21 settembre i marchigiani (come tutti i cittadini italiani) saranno chiamati a votare per il referendum sul taglio dei parlamentari. Come purtroppo ormai è tradizione consolidata, la campagna elettorale tra i due schieramenti (quelli del si e quelli del no) è andata avanti tra slogan, accusa reciproche e immancabili fake news, senza che nessuno si preoccupasse più di tanto di andare nel dettaglio, di provare a spiegare concretamente come stanno le cose. Per questo, a due giorni dal voto, è opportuno fare un po’ di chiarezza.

Partendo dal fatto, fondamentale, che quello in programma domenica e lunedì è un referendum costituzionale confermativo, quindi non c’è il quorum. Questo significa che l’esito del referendum stesso sarà valido a prescindere dall’affluenza alle urne, non c’è la necessità di superare il 50% per renderlo tale. Non meno importante, poi, scacciare ogni dubbio riguardo il quesito sul quale saremo chiamati ad esprimerci, visto che nelle ultime settimane sui social sono state diffuse un paio di autentiche “bufale” secondo cui nel testo che andremo a votare si nascondono chissà quali oscuri intrighi.

La prima riguarda, tanto per cambiare, i vaccini. “Attenzione, nel referendum sul taglio dei parlamentari sono inserite in maniera occulta i vaccini e il Tso obbligatorio, quindi chi vota si autorizza la propria morte e quella degli altri” c’è scritto in un post diffuso da alcuni gruppi anti-vaccinisti e in breve tempo divenuto subito virale. Siamo di fronte ad una “bufala” talmente assurda che in un paese “normale” non ci sarebbe neppure bisogno di perderci tempo per smentirla. Purtroppo, però, in quel meraviglioso posto che è diventato il nostro paese, con un sempre crescente numero di “boccaloni” pronti a credere anche alle più assurde idiozie, c’è invece la necessità di scacciare ogni dubbio.

Come vedremo il testo che troveremo sulla scheda referendaria è talmente chiaro che non ci possono essere dubbi in proposito, ironicamente verrebbe da dire che il tso obbligatorio sarebbe necessario per chi diffonde ma anche per chi crede a simili idiozie. L’altra fake, più articolata e strutturata da renderla un po’ più credibile (soprattutto a quanti non conoscono minimamente la nostra Costituzione) sostiene che nel testo referendario si nascondono modifiche sostanziali agli art. 10 e 39 della Costituzione che, di fatto, modificherebbero in maniera sostanziale le modalità di elezioni dei senatori (non più eletti dai cittadini ma scelti da politici e amministratori) e, soprattutto, comporterebbero l’affidamento di diverse competenze ora regionali al Parlamento, con conseguente consistente limitazione dei poteri delle Regioni.

Chi conosce la Costituzione sa perfettamente che l’art. 10 riguarda il diritto internazionale e la condizione giuridica dello straniero, mentre l’art. 39 l’organizzazione sindacale. Chiaro, quindi, che non c’è in discussione alcuna modifica che interessi le competenze delle Regioni. In ogni caso, per chi avesse ancora qualche dubbio, questo è il testo completo del quesito che troveremo sulla scheda elettorale: “Approvate il testo della legge costituzionale concernenteModifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 240 del 12 ottobre 2019?”.

Per ulteriore chiarezza, l’art. 56 della Costituzione riguarda la Camera, composizione e modalità di elezione dei deputati, l’art. 57 il Senato, mentre l’art. 59 i senatori a vita. Per quanto concerne la legge costituzionale in oggetto (qui è possibile consultare la versione completa), si compone di 4 brevi articoli, con l’art. 1 che riduce il numero di deputati da 630 a 400 (e da 12 a 8 i deputati eletti nella circoscrizione Estero), mentre l’art. 2 porta il numero di senatori da 315 a 200 (e da 6 a 4 quelli eletti nella circoscrizione Estero) e si occupa delle modalità di ripartizione dei seggi tra le Regioni (“in proporzione alla loro popolazione, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti”).

L’art. 3 si occupa dei senatori a vita (anche se in sostanza non cambia molto rispetto alla situazione attuale, mentre l’art. 4 stabilisce che le disposizioni previste dagli articoli 1 e 2 “si applicano a decorrere dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale”.

Chiarito, senza possibilità di dubbio, che in ballo c’è esclusivamente la riduzione del numero dei parlamentari, vediamo di analizzare quelli che sono gli argomenti più discussi e quelli che sono considerati i nodi salienti che sono in gioco con questo referendum. Evitando accuratamente di scendere così in basso, come hanno fatto in queste settimane i due schieramenti, rinfacciandosi reciprocamente di rappresentare gli interessi della cosiddetta casta. Un giochetto squallido e francamente deprimente, tipico di chi non è capace di argomentare concretamente e, di conseguenza, si rifugia in vuoti slogan che, però, continuano a sortire un certo effetto in una parte della popolazione.

Più interessante, invece, soffermarci su uno degli argomenti più discussi, gli eventuali risparmi che verrebbero determinati dal taglio del numero dei parlamentari. Da una parte si sostiene che si otterrebbero risparmi consistenti (secondo il M5S, una delle principali forze promotrici della riforma costituzionale, si tratterebbe di circa mezzo miliardo di euro a legislatura), mentre i fautori del no sostengono che si tratterebbe comunque di risparmi irrisori. In realtà non è così semplice calcolare con esattezza l’entità del risparmio, visto che oltre che dell’indennità i parlamentari godono di una serie di rimborsi che variano sulla base di alcuni parametri, senza considerare poi gli euro per missioni, viaggi e cose simili.

Il dato certo è che, con la vittoria del si, ci saranno 345 indennità mensili (circa 10 mila euro lorde) da pagare. Sulla base dei dati forniti rispettivamente da Camera e Senato relativi agli stanziamenti annuali per finanziare indennità e rimborsi di deputati e senatori, emerge che in media con il taglio dei parlamentari si potrebbero risparmiare 53 milioni di euro all’anno alla Camera e 29 milioni al Senato, quindi complessivamente 82 milioni di euro all’anno. Che, per 5 anni (la durata di una legislatura), comporterebbe un risparmio di poco superiore ai 400 milioni di euro (esattamente 410 milioni).

Altro tema caldo, centrale nella discussione tra i due schieramenti, è quello relativo alla rappresentanza, con i fautori del no che sostengono che un Parlamento con meno parlamentari inevitabilmente diminuirebbe la rappresentanza dell’organo costituzionale. Anche in questo caso ci si può affidare ad alcuni dati, premettendo però che il concetto di rappresentanza non può certo essere ridotto ad un mero dato numerico (che sicuramente ha una sua rilevanza) ma è determinato anche da altri fattori (in particolare relativi alle modalità di scelta dei rappresentanti dei cittadini) che non sono in discussione in questo referendum. Per quanto concerne i numeri, attualmente con 945 parlamentari e circa 60 milioni di abitanti, nel nostro paese c’è un parlamentare ogni 63 mila abitanti.

Ad oggi l’Italia è il paese europeo con il maggior numero di parlamentari eletti a suffragio universale, seguito da Germania, Regno Unito, Francia e Spagna. Se passerà il taglio dei parlamentari il rapporto scenderebbe ad un parlamentare ogni 100 mila abitanti e il nostro paese scenderebbe al terzo posto, dietro Berlino e Londra. Ricordando la premessa iniziale, è chiaro che un minor numero di parlamentari in qualche modo inevitabilmente significherebbe che il voto dei cittadini avrebbe meno peso su ognuno di loro. Strettamente legato a questo discorso c’è, poi, il problema della rappresentanza delle Regioni, con i fautori del no che sostengono che la composizione del nuovo Parlamento finirebbe per penalizzare quelle del sud d’Italia.

A tal proposito c’è il dossier del centro studi di Camera e Senato che ha fornito dei dati significativi che evidenziano come a Montecitorio in sostanza non cambierebbe nulla, con le regioni del nord che guadagnerebbero uno 0,1%, quelle del centro che perderebbero uno 0,2%, quelle del sud che manterrebbero la stessa percentuale e le isole con un + 0,1%. Discorso leggermente differente per quanto riguarda il Senato, con le regioni del nord che guadagnerebbero l’1,1% a scapito di quelle del centro (-0,4%) e del sud (-0,8%), mentre per le isole ci sarebbe un + 0,1%. Nulla di così eclatante da mettere concretamente a rischio la rappresentanza delle regioni meridionali, come invece paventato da qualcuno.

Nel complesso, al netto delle esagerazioni tipiche della propaganda, l’impressione che se ne ricava è che quella su cui siamo chiamati ad esprimerci non è certo una riforma costituzionale di particolare portata, in grado di produrre chissà quali effetti rivoluzionari sulla cosiddetta casta né, tanto meno, mettere eventualmente a rischio la rappresentanza o, ancor più, i principi fondamentali della nostra Costituzione

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