Dai rimborsi per i consiglieri regionali alla cassa integrazione per le aziende: il festival dell’Italia dei “furbetti”


Mentre in Toscana e in Friuli i consiglieri regionali hanno percepito i rimborsi di vitto e trasferta anche per i Consigli regionali in teleconferenza, si scopre che quasi 200 mila aziende hanno percepito la cassa integrazione pur non avendo avuto un calo di fatturato

Due facce di una stessa indecorosa medaglia. I consiglieri regionali di Friuli e Toscana che hanno percepito i rimborsi di vitto e trasferta durante lo stop ai rispettivi Consigli regionali per l’emergenza coronavirus e le migliaia di aziende che hanno fatto richiesta ed ottenuto la cassaintegrazione, pur non avendone diritto, sono l’ennesima sconfortante dimostrazione di quanto complessivamente basso sia il senso civico nel nostro paese. Sono quelli che con un termine sin troppo “affettuoso” vengono definiti i “furbetti”, come se si volesse definire un comportamento più da “monelli” invece che da chi, in quel modo, cerca di frodare lo Stato, per altro usufruendo di risorse di cui non avrebbe diritto e che invece potrebbero essere utilizzate per aiutare chi ne ha realmente necessità.

Per altro è oltremodo significativo il fatto che queste due sconfortanti notizie siano passate quasi in secondo piano, non hanno avuto un particolare risalto né sulla stampa né sulle tv, segno evidente di come ormai certi comportamenti quasi non facciano più notizia, sono considerati quasi la norma. Al tempo stesso, però, sono anche la più evidente ed emblematica dimostrazione di come possiamo lamentarci quanto vogliano ma, in fondo, come è ovvio che sia, abbiamo i politici che ci meritiamo. In particolare da quando ci sono i social leggiamo in continuazione tutte le peggiori considerazioni, spesso condivisibili, sulla nostra classe politica, sullo scarso senso di responsabilità, sull’ancora più scarsa trasparenza e sul livello sempre più basso di onestà di base.

Ma i fatti di questi giorni, così come in passato le vicende dei tanti “furbetti” del terremoto (che poi sono praticamente la norma ad ogni situazione di questo genere), ci confermano che quella classe politica non è altro che il riflesso di quello che è attualmente la società italiana, che ha messo sempre più al bando i concetti di onestà, senso del dovere e responsabilità per perseguire sempre e comunque, con mezzi leciti ma anche illeciti, l’interesse personale. Per gli uni e per gli altri ogni emergenza, compresa questa del coronavirus, è un’occasione propizia per trarre benefici non dovuti e vantaggi economici, passando sopra a tutto e a tutti, al senso di dignità ma anche alle esigenze di chi invece magari si trova in condizioni di reale necessità.

In tal senso non c’è alcuna differenza tra i consiglieri regionali di Toscana e Friuli, che non si sono fatti scrupoli di incassare i rimborsi di vitto e trasferta anche se hanno partecipato da casa, in teleconferenza, alle sedute di Consiglio regionale (per circa 200-300 mila euro), e tutte quelle aziende, quegli imprenditori che hanno fatto ricorso alla cassaintegrazione, utilizzando quindi i fondi messi a disposizione per la crisi dalla Stato, pur senza averne alcun bisogno, cioè senza aver registrato alcun calo di fatturato. In quest’ultimo caso, però, stando a quanto denunciato dal presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio che vigila sulla finanza pubblica, Giuseppe Pisauro, stiamo parlando oltre 2,5 miliardi di euro.

Finiti nelle “tasche sbagliate”, cioè di imprenditori ed aziende che non ne avevano bisogno, magari a scapito di chi concretamente era in una situazione di difficoltà. I dati in proposito sono davvero imbarazzanti. Complessivamente (sono dati aggiornati al 13 luglio e relativi ai mesi di febbraio, marzo, aprile e parzialmente maggio) per i problemi connessi con l’emergenza covid sono 553 mila le imprese che hanno chiesto cassa integrazione, fondi bilaterali e cassa in deroga, per complessivi 536 milioni di ore pari ad una spesa di poco superiore ai 10 miliardi di euro (10 miliardi e 90 milioni di euro per l’esattezza).

Come conferma anche l’Inps, però, il 27% di quelle ore e di quegli importi sono stati utilizzati da chi in realtà non aveva avuto cali di fatturato, quindi non ne aveva né la necessità né il diritto. Come ha evidenziato Pisauro, i sospetti di un abuso della cassa integrazione sono iniziati quando si è notato che alcune imprese avevano mantenuto lo stesso fatturato a fronte del fatto che i lavoratori erano rimasti a casa. Incrociando i dati del monitoraggio dell’Inps con quelli della fatturazione elettronica dell’Agenzia delle entrate nel primo semestre del 2020, rispetto al primo semestre del 2019, è appunto emerso questo malvezzo.

Il problema è che analizzando con più attenzione i dati emerge uno scenario ancora più sconfortante. In pratica i dipendenti formalmente in cassa integrazione, pagata dallo Stato, in realtà continuavano tranquillamente a lavorare o direttamente in azienda o in smart working. Complessivamente sono ben 234 mila le aziende che hanno provato ad ottenere questo indebito aiuto da parte dello Stato, con ben 188 mila che concretamente ci sono riuscite. Il meccanismo utilizzato è semplice e, al tempo stesso, disarmante. Con l’emergenza coronavirus e il conseguente lockdown, l’impresa dice allo Stato che ha la necessità di mettere i dipendenti in cassa integrazione, pagata, attraverso l’Inps, dallo Stato stesso.

Nella realtà, però, i dipendenti continuano a lavorare, in sede o in smart working che sia. In tal modo il fatturato rimane identico ma cresce il profitto, visto che il costo dei lavoratori, dei loro stipendi non sono più a carico dell’impresa. Siamo al solito discorso, purtroppo. Sarebbero serviti dei controlli più seri e stringenti, magari si potevano effettuare quelle verifiche sindacali che a marzo chiedeva la Cgil.

Tutto vero, però alla base c’è comunque il comportamento vergognoso e indecente di chi non si fa scrupoli di sfruttare una tragedia come il coronavirus, di chi ha il senso civico pari a zero (o probabilmente anche meno) e se ne frega di utilizzare fondi pubblici (parliamo di 2,7 miliardi di euro) che potevano e dovevano essere indirizzati verso chi realmente ne aveva bisogno e che invece, magari anche e soprattutto a causa di questi indecenti comportamenti, non ha avuto alcun aiuto ed ora magari si ritrova davvero sul lastrico.

Poi siamo sempre pronti a lamentarci, a prendercela contro “Roma ladrona”, contro i politici poco onesti. Invece bisognerebbe innanzitutto fare una seria analisi di coscienza e vergognarsi di questo indecente malcostume, di un comportamento così abusivo perpetrato ai danni dello Stato. Per altro sarebbe anche ora di smetterla con le solite difese di categoria. Parliamo in particolare di Confindustria e, ancor più, del suo presidente Bonomi, sempre pronti a puntare il dito contro tutti ma mai in grado di fare una seria autocritica.

Anzi, proprio Confindustria nel giugno scorso aveva risposto molto duramente al presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, che aveva lanciato l’allarme (che i dati sopra citati dimostrano assolutamente pertinente) su come e da chi venivano utilizzati gli aiuti di Stato. “Parole inaccettabili, offensive, i soliti pregiudizi anti impresa” aveva replicato Confindustria che aveva chiesto a Tridico di scusarsi. Chissà se ora, visti i numeri semplicemente imbarazzanti, Confindustria stessa avrà la decenza di fare “mea culpa” e di chiedere scusa a Tridico e a tutti gli italiani.

Per altro proprio il presidente degli industriali Bonomi nelle settimane scorse aveva condotto una vera e propria “crociata” contro i cosiddetti “furbetti” del reddito di cittadinanza. Giustissimo, per carità, denunciare anche questo malvezzo, ma la proporzione è semplicemente imbarazzante: i “furbetti” del reddito di cittadinanza costano allo Stato 4,5 milioni di euro, le aziende “furbette” della cassa integrazione, invece, costano 2,7 miliardi di euro, “solamente” 600 volte di più.

Un po’ di coerenza non guastarebbe… “Vivono tra noi i numerosi imprenditori (almeno il 30%) che hanno utilizzato la cassa integrazione continuando a far lavorare in nero i dipendenti. E’ come se avessero sfilato il portafoglio di tasca ai loro concittadini, ma sono sempre i primi a gridare contro lo Stato ladrone” commenta Gad Lerner. Una riflessione amara ma che, purtroppo, fotografa alla perfezione la situazione del nostro paese.

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