Guerra alla movida e la solita storia della trave e della pagliuzza…


Il ministro Boccia, imitato  da Ceriscioli, minaccia di non riaprire agli spostamenti fuori regione, il sindaco Fioravanti lancia l’ultimatum e pensa addirittura all’obbligo dell’uso della mascherina anche all’aperto. Ma i dati ufficiali dimostrano che la movida è l’ultimo dei problemi…

Fatti tutti gli scongiuri del caso, nella malaugurata ipotesi che il contagio dovesse tornare a salire nel nostro paese abbiamo già trovato i “colpevoli”: i giovani e la “maledetta” movida. Da un paio di giorni, in merito all’emergenza coronavirus, praticamente non si parla d’altro. Siamo letteralmente tempestati su tutte le tv, su tutti i mezzi di informazione di immagini e video che mostrano quanto è accaduto nel fine settimana nelle piazze e nei centri praticamente di tutte le città italiane. Da sabato si susseguono decine e decine di dichiarazioni di politici, amministratori locali, pseudo esperti che ci mettono in guardia e ci avvisano che di questo passo c’è il concreto rischio che tornino presto restrizioni e chiusure.

E, inevitabilmente, nel tribunale popolare dei social sono ripartiti la caccia agli untori e i conseguenti processi sommari nei loro confronti. Una sorta di isteria collettiva che, purtroppo, è una costante da quando è iniziata la pandemia. All’inizio a finire nel mirino era toccato ai runners, nei confronti dei quali si erano scatenati un impressionante linciaggio mediatico e una vera e propria caccia all’uomo. Poi, favorita anche da norme in proposito per nulla chiare e, anzi, piuttosto ambigue, era toccato a parenti e fidanzati, i cosiddetti congiunti.

Ora è la volta della movida che, per altro, a molti fornisce anche la ghiotta opportunità di prendersela con i più giovani, uno degli “sport preferiti” nel nostro paese, perché troppo superficiali e incapaci di assumere comportamenti responsabili nel momento in cui ce ne è concretamente bisogno. E la movida è il pretesto perfetto per tornare a praticare questo “sport”, perché dalla maggior parte delle persone è (erroneamente) associata ai più giovani.

Poco conta che, in realtà, in questi due mesi e mezzo di lockdown proprio dai più giovani è venuto l’esempio migliore, nonostante in un certo senso fossero proprio loro i più penalizzati. E, ancora, poco conta che in realtà la movida è un fenomeno che non riguarda e non coinvolge certamente solo i più giovani, basterebbe farsi un giro tra i bar del centro nel fine settimana (nella nostra zona o in altre città) per scoprire che probabilmente la percentuale di over 30 è decisamente superiore.

Ma, al di là dell’aspetto anagrafico e di questa “insana” ossessione nei confronti dei più giovani, il vero problema è che ancora una volta siamo alla solita storia della trave e la pagliuzza, si scatena più o meno volutamente un’insensata crociata su aspetti se non marginali comunque secondari, finendo come al solito per ignorare quelli che invece dovrebbero essere le vere criticità, i veri punti nodali. Si sceglie un bersaglio facile, che può essere dato rapidamente in pasto a quella parte dell’opinione pubblica che ha sempre bisogno di prendersela con qualcuno, gli si scatena contro una campagna mediatica massiccia e martellante, anche con forzature e invenzioni  e il gioco è fatto.

Dopo gli articoli, i video, le foto di cui giornali, tv e social sono stati inondati, puntuali nella giornata di lunedì sono arrivate le conseguenti dichiarazioni minacciose delle varie autorità. Il ministro Boccia, ad esempio, ha dichiarato che se continua così c’è il rischio di non riaprire gli spostamenti tra regioni (dal 3 giugno). Solo per restare nel nostro territorio (ma dichiarazioni e minacce simili sono state espresse da sindaci e governatori di tutto il paese), il governatore Ceriscioli si è subito accodato a Boccia, mentre il sindaco Fioravanti, per altro apparso non particolarmente lucido (che senso ha lamentarsi perché in tanti non indossavano la mascherina quando, almeno al momento, non c’è l’obbligo di indossarla all’aperto?), ha minacciato nuove restrizioni, paventando la possibilità di imporre l’obbligo della mascherina anche all’aperto.

E’ già tutto deciso, se le cose non andranno nel verso giusto la responsabilità sarà della movida. Non bisogna essere dei geni per comprendere che in realtà la situazione è ben differente. Certo è innegabile che qualche problema c’è stato ma sarebbe opportuno innanzitutto non generalizzare. Che nel primo fine settimana dopo la riapertura di bar e locali si potessero verificare simili affollamenti era un rischio ampiamente previsto.

Ma se si sono verificati (e sicuramente ci sono stati) comportamenti contrari alle regole, non si può comunque gettare la croce indistintamente a tutti coloro che tra venerdì e sabato sera sono tornati ad assaporare il piacere di un aperitivo, una cena o una bevuta insieme agli amici. Per altro stiamo parlando di cose consentite dalle norme in vigore, quindi non ha senso continuare a puntare il dito su tutti coloro che lo hanno fatto. Altra cosa è dove si siano verificati pericolosi assembramenti, quelli si vietati (mentre parlare di chi, seduto all’aperto nei tavolini di un bar o di un locale per un aperitivo, non indossava la mascherina è in assoluto un non senso).

Va per altro detto che nei giorni precedenti il fine settimana praticamente tutti i sindaci, tutte le amministrazioni e tutte le autorità preposte si erano dichiarate pronte a garantire che non ci sarebbero stati problemi eccessivi. A leggere i loro commenti e i loro resoconto del giorno dopo c’è da pensare che non lo fossero (e allora forse sarebbe stato più opportuno pensarci prima, magari pensando di porre qualche limitazione in più, invece che “piangere” poi dopo). In realtà, però, andando poi a guardare i numeri, lo scenario che emerge è abbastanza differente.

Secondo i dati ufficiali forniti dal ministero dell’interno, nel fine settimana sono stati effettuati dalle forze dell’ordine ben 238 mila controlli che hanno portato complessivamente a 1.321 denunce (pari allo 0,55%). Per altro il picco di trasgressori si è registrato domenica (770). Quindi, anche ammettendo che tutte le altre denunce riguardano la cosiddetta movida, parliamo di meno di 600 casi, un numero davvero esiguo e che non giustifica certo il bailamme scatenato in questi giorni.

La realtà è che, se l’evoluzione della pandemia nel nostro paese ci ha insegnato qualcosa, dovremmo concentrare la nostra attenzione su ben altri aspetti. Soprattutto quanto accaduto dovrebbe averci fatto capire che sono altri i luoghi dove si sono moltiplicati i contagi e che, di conseguenza, dovremmo rigorosamente tenere sotto controllo. Parliamo innanzitutto, come è ampiamente noto, delle Rsa ma anche degli ospedali e delle strutture sanitarie in genere, così come i mezzi pubblici e i posti di lavoro.

Dove, secondo i dati forniti dall’Inail, fino a fino aprile si erano verificati quasi 50 mila contagi. Ora che praticamente quasi tutte le aziende e le attività hanno riaperto, forse sarebbe il caso di preoccuparsi soprattutto di cosa avviene in quei luoghi, se davvero e in che misura la sicurezza dei lavoratori sia garantita. Stessa attenzione, naturalmente, è da riservare alle strutture sanitarie. Decisamente singolare anche il fatto che, nella settimana in cui sono ricominciate le messe in chiesa, pochi organi di informazione hanno dato particolare rilievo alle notizie che giungevano da altri paesi europei e che parlavano di decine e decine di contagi avvenuti in alcune chiese, dopo qualche funzione religiosa.

Sarebbero tanti gli aspetti di cui discutere, è semplicemente ridicolo che, invece, l’attenzione si concentri esclusivamente sulla movida. Che, ovviamente, si può e si deve ripensare per renderla il più possibile sicura. Ma che solo in un manicomio, come purtroppo è diventato il nostro paese, può essere considerata il principale, se non l’unico, motivo di preoccupazione…

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