Frana il sistema sanitario della Lombardia, Fontana e la Regione “spalle al muro”


Mentre il governatore e la giunta scaricano le responsabilità del disastro sul governo, l’ordine dei medici lombardo, i sindaci dei principali comuni, i sindacati e l’Uneba accusano la Regione, elencando tutti gli errori commessi nella gestione dell’emergenza

Non dovrebbe essere il tempo delle polemiche. Però c’è un limite a tutto e non si può più accettare in silenzio l’indegno spettacolo che da diversi giorni sta fornendo la Regione Lombardia. Il video propagandistico trasmesso lunedì 6 aprile con i sindaci di Sesto San Giovanni e Monza (guarda il caso entrambi di centrodestra) che ringraziano il presidente Fontana per le mascherine, è semplicemente imbarazzante.

Nulla a che vedere, però, con la vergogna del giorno precedente quando l’assessore regionale alla protezione civile Pietro Foroni ha avuto il coraggio di affermare che “nell’emergenza coronavirus come Regione non abbiamo sbagliato nulla, abbiamo azzeccato tutte le mosse”. Oltre 9 mila morti nella sola Lombardia, il 56% dei deceduti per coronavirus dell’intero paese. Basterebbe questo semplice ma drammatico dato per comprendere quanto infelice e inopportuna sia stata la dichiarazione dell’assessore. Che, in qualsiasi altro posto al mondo, dopo pochi minuti per la vergogna si sarebbe dimesso (o sarebbe stato cacciato “a calci nel sedere” dal governatore), non prima di aver chiesto scusa per l’ignobile mancanza di rispetto nei confronti delle famiglie lombarde che piangono la perdita di un proprio caro.

cronaca di un disastro annunciato

La realtà, durissima e drammatica, purtroppo è sotto gli occhi di tutti e va ben oltre i tradizionali screzi tra fazioni politiche opposte. Perché quanto è accaduto e sta accadendo in Lombardia certifica il fallimento dell’intera classe dirigente lombarda, non solo di quella politica. Ma è anche l’inequivocabile dimostrazione che il tanto decantato modello di sanità lombarda nel momento del bisogno si è rivelato a dir poco fallimentare, così come inattendibili e inaffidabili si sono rivelate tutte quelle graduatorie sulla sanità che, basandosi su dati economici e non  sulla reale risposta alle esigenze della popolazione, hanno sempre posto la Lombardia ai vertici in Italia.

Un disastro annunciato, anche se il presidente Fontana ha avuto il coraggio di affermare che solo una situazione eccezionale come questa poteva mettere in crisi il sistema sanitario lombardo. In realtà, a parte il fatto che non è andato in crisi ma è letteralmente franato, già 2 anni fa quel sistema sanitario, semplicemente per l’influenza stagionale, era andato in difficoltà, con gli ospedali al limite del collasso e la mancanza dei posti di terapia intensiva. Se poi alle carenze strutturali si aggiunge la disastrosa gestione dell’emergenza da parte della Regione ecco la frittata è fatta.

Ed è ridicolo che ora Fontana e l’assessore Gallera cerchino vergognosamente di scaricare le responsabilità sul governo centrale. Che, sicuramente, ha commesso degli errori ma, di certo, nulla al confronto del disastro di Fontana e C.

L’atto di accusa di medici, sindaci, sindacati e case di riposo

A pensarla in questo modo non sono i rappresentanti delle opposizioni ma i sindaci dei principali comuni lombardi, l’ordine dei medici regionale, l’associazione delle 400 case di riposo lombarde (Uneba), i sindacati di settori. Chi vive in prima linea questa drammatica emergenza, chi sul campo ha dovuto fare e sta facendo i conti con le dissennate scelte della Regione, stanco di certi proclami, in queste ore messo nero su bianco tutti gli errori, tutte le inefficienze del governatore lombardo e della sua giunta. Servirebbero pagine e pagine per elencarle tutte. Ma già la lettera inviata dall’ordine dei medici lombardo ai vertici della Regione fornisce un quadro esaustivo di quanto accaduto.

Dopo aver ricordato come “la sanità pubblica e la medicina territoriale sono state da molti anni trascurate e depotenziate nella nostra regione”, l’ordine dei medici sottolinea “l’evidente assenza di strategie relative alla gestione del territorio” e poi presenta “un circostanziato elenco di errori imputabili alla Regione: la mancanza di dati sull’esatta diffusione dell’epidemia, legata all’esecuzione di tamponi solo ai pazienti ricoverati e alla diagnosi di morte attribuita solo ai deceduti in ospedale, l’incertezza e il ritardo nella chiusura di alcune aree a rischio, la gestione confusa della realtà delle Rsa e dei centri diurni per anziani che ha prodotto diffusione del contagio e un triste bilancio in termini di vite umane (600 morti su 6000 ospiti in un mese nella provincia di Bergamo), la mancata fornitura di protezione individuali ai medici del territorio e al personale sanitario che ha determinato la morte di numerosi colleghi, la malattia di numerosissimi di essi e la probabile diffusione del contagio, la pressochè assenza delle attività di igiene pubblica, la mancata esecuzione dei tamponi agli operatori sanitari del territorio e in alcune realtà delle strutture ospedaliere pubbliche e private, il mancato governo del territorio”.

Un mix di impreparazione e presunzione

Prima di approfondire alcuni di questi aspetti, occorre ricordare che lo Stato finanzia il sistema sanitario (114 miliardi nel 2019) ma poi sono le singole Regioni che gestiscono la sanità in maniera autonoma (ovviamente sulla base di determinati criteri generali). Così, ad esempio, la Lombardia di Fontana (come i suoi predecessori) ha deciso di destinare poco meno del 30% dei 46 miliardi ricevuti dallo Stato alla sanità privata. Nessun’altra regione si avvicina neppure a quel dato (nelle Marche, ad esempio, l’11% è stato destinato ai privati).

Ci sarà tempo e modo, al termine dell’emergenza, per riflettere su quanto sia folle distribuire così tanti soldi pubblici ai privati in un settore come quello sanitario. Ciò che in questa sede è fondamentale comprendere è che la gestione regionale della sanità significa anche e soprattutto che poi spetta ad ogni singola Regione affrontare e gestire una simile emergenza.

In concreto questo significa che, dopo la dichiarazione dello stato di emergenza del 31 gennaio, la Lombardia (come tutte le altre regioni) aveva il compito di predisporre (visto che non l’aveva ancora) un piano emergenza che prevedesse, tra l’altro, i protocolli da seguire in ospedali e ambulatori, una mappa dei posti letto da poter utilizzare e l’individuazione dei materiali sanitari (compresi quelli di protezione individuale) necessari (e naturalmente un piano per averne in numero sufficiente a disposizione). Non solo non lo ha fatto ma, come vedremo, in qualche caso ha messo bruscamente a tacere chi se ne preoccupava. E i risultati, purtroppo, sono sotto gli occhi di tutti.

Quello che è avvenuto negli ospedali e nelle strutture sanitarie, moltiplicatori del contagio e dei deceduti, è purtroppo la più grave e più evidente conseguenza. A tal proposito è emblematica la storia del direttore dell’Agenzia regionale urgenza (Areu) di Bergamo, Angelo Giupponi, che il 22 febbraio in una mail all’assessore Gallera sottolineava “l’urgente necessità di allestire degli ospedali esclusivamente riservati a ricoverati per Covid-19 così da evitare promiscuità con altri pazienti e quindi diffusione del virus nelle strutture ospedaliere”. “Non dormiamo da tre giorni, non abbiamo voglia di leggere le tue cazzate” la sconcertante risposta dei vertici regionali. Oggi, purtroppo, sappiamo bene cosa ha significato non tenere presente quell’allarme.

Il “pasticcio” delle mascherine, l’autogol per le case di riposo

Situazione simile per quanto riguarda i dispositivi di protezione individuale (tra cui le mascherine) che, è bene sottolineare, la Regione avrebbe dovuto procurarseli in numero sufficiente con largo anticipo. In altre parole, dopo la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale del 31 gennaio, era la prima cosa che avrebbe dovuto dare. Non a caso il 4 febbraio 2020 il segretario regionale della Federazione dei Medici di Medicina Generale (Fimmg), dr.ssa Paola Pedrini, con una lettera inviata ai vertici regionali chiedeva di distribuire e adottare un congruo numero di scorta di Dpi.

Nella confusione più totale, determinata anche dal fatto che non si era neppure stabilito quale struttura doveva preoccuparsi di fare l’ordine, solo il 27 febbraio la Regione decideva di ordinare 4 milioni di mascherine. Ordine che, però, il successivo 2 marzo veniva annullato secondo i vertici regionali perché “il fornitore non è stato in grado di adempiere agli obblighi assunti” (che già sarebbe uno smacco imbarazzante). Secondo la ricostruzione fatta da alcuni quotidiani, però, sembrerebbe che in realtà la Regione avrebbe inviato le richieste di acquisto ad aziende che da tempo non fabbricano più quei prodotti.

Nelle settimane successive Fontana e Gallera hanno più volte scaricato la responsabilità per la mancanza dei Dpi sulla Protezione civile. Che, in realtà, non dovrebbe occuparsi di rifornire le Regioni ma che, in ogni caso, come si può verificare sul proprio sito (http://www.protezionecivile.gov.it/attivita-rischi/rischio-sanitario/emergenze/coronavirus/materiali-distribuiti-alle-regioni) fino ad ora ha distribuito in Lombardia oltre 16 milioni di Dpi, tra cui più di 10 milioni di mascherine.

Per quanto riguarda il problema delle case di riposo, sorvolando sulla vicenda del Pio Albergo Trivulzio (in attesa di quanto emergerà dall’inchiesta giudiziaria), grazie alla denuncia dell’Uneba Lombardia e del suo presidente Luca Degani è emersa la sconcertante delibera regionale (la n. XI 2906 dell’8 marzo scorso) nella quale si chiedeva di prendere pazienti a bassa intensità Covid.

Come se non bastasse, sempre la Regione Lombardia il 29 febbraio ha respinto la richiesta, avanzata dai gestori delle Rsa, di chiudere le residenze agli accessi dei familiari degli ospiti proprio per evitare il diffondersi del contagio in quelle strutture. Anche in questo caso le conseguenze di queste dissennate scelte sono, purtroppo, sotto gli occhi di tutti.

Zone rosse, le norme inchiodano la Regione

Quanto alla desolante disputa sulla mancata zona rossa dei comuni del Bergamasco (in particolare Alzano Lombardo e Nembro), fortemente raccomandata dall’Istituto superiore di sanità, è bene chiarire una volta per tutte che il governatore Fontana aveva il potere (anzi il dovere) di farlo autonomamente. Lo dimostrerebbe già l’evidenza dei fatti (la Lombardia ha adottato autonomamente diverse ordinanze restrittive, così come altre Regioni) ma se non fosse sufficiente ci sono le norme a riguardo che lo certificano inequivocabilmente.

In particolare l’art. 32 della legge 833/78 che recita testualmente: “Il ministro della sanità può emettere ordinanze di carattere contingibile ed urgente, in materia di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria, con efficacia estesa all’intero territorio nazionale o parte di esso comprendente più regioni. Nelle medesime materie sono emesse dal presidente della giunta regionale o dal sindaco ordinanze di carattere contingibile ed urgente, con efficacia estesa rispettivamente alla regione o a parte del suo territorio comprendente più comuni e al territorio comunale”.

Come se bastasse nel decreto n. 6 del 23 febbraio si stabilisce che “allo scopo di evitare il diffondersi del Covid 19 nei comuni dove risulta positiva almeno una persona le autorità competenti sono tenute ad adottare ogni misura di contenimento”. In altre parole Fontana e la giunta regionale lombarda avevano indiscutibilmente il potere di dichiarare quei comuni zona rossa già a fine febbraio. Invece non lo hanno fatto, probabilmente su pressione delle associazioni imprenditoriali che non volevano chiudere le attività.

Quindi è tutta della Regione la responsabilità di non averlo fatto, semmai il governo è colpevole di non essere intervenuto tempestivamente (lo ha fatto con alcuni giorni di ritardo) per porre subito rimedio al grave errore del governatore. Che ora, insieme ai suoi assessori, sta cercando di far credere il contrario, di sostenere che non aveva la possibilità di dichiarare autonomamente la zona rossa. Imbarazzante, che il governatore non conosca norme così importanti o che stia semplicemente cercando di confondere le acque cambia poco.

Al termine di questa emergenza per decenza dovrebbe trarne le necessarie conseguenze. Ma siamo praticamente certi che non sarà così…

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