In carcere da innocenti, i numeri della vergogna


Mentre i dati ufficiali forniti dall’Unione camere penali sull’ingiusta detenzione fanno rabbrividire, per il ministro della giustizia Bonafede in Italia “gli innocenti non finiscono in carcere”. E secondo Travaglio “non c’è nulla di scandaloso se un presunto innocente è in carcere”…

Non dovrebbero neppure servire i dati per far vergognare il ministro Alfonso Bonafede per la sua imbarazzante affermazione sulla giustizia in Italia. Sarebbe stato sufficiente un pizzico di memoria, ricordare anche solo marginalmente la storia recente italiana, per evitare di dire una simile bestialità. “Cosa c’entrano gli innocenti che finiscono in carcere? Gli innocenti non finiscono in carcere” ha dichiarato Alfonso Bonafede sugli schermi di La7 nel corso della discussione sulla prescrizione. Una dichiarazione assolutamente demenziale che, se fatta da qualsiasi altra persona, andrebbe archiviata con una risata e compatendo l’autore.

Il problema è che Bonafede sarebbe anche il ministro della giustizia, quindi è lecito attendersi da lui almeno un minimo di conoscenza della storia della giustizia italiana di questi ultimi decenni. Che è caratterizzata da una serie innumerevole di tristissimi casi di innocenti condannati, che hanno ingiustamente trascorso anni in carcere. Senza dover scomodare come sempre avviene in questi casi la sconcertante vicenda di Enzo Tortora, si potrebbe citare la storia di Saverio De Sario, condannato per abusi sessuali sui figli e su una nipote e poi riconosciuto innocente dopo 1068 giorni di carcere.

O, ancor più, quella di Giuseppe Gulotta che ha trascorso 22 anni da innocente in carcere (a cui andrebbero aggiunti i 15 anni nei quali ha dovuto affrontare i vari gradi di processo). Aveva compiuto da poco 18 anni quando, nel 1976, fu accusato di aver ucciso due carabinieri che dormivano nella caserma di Alcamo Marina (provincia di Trapani). Dopo tanti anni ora sappiamo che fu torturato in caserma fino a che non confessò un reato che non aveva commesso. Al processo di primo grado era stato assolto, poi dopo i vari gradi di giudizio venne definitivamente condannato all’ergastolo nel 1990.

Avrebbe trascorso la sua vita in carcere se non fosse accaduto che, uno dei brigadieri che erano presenti in caserma la notte in cui era stato torturato e costretto a confessare un crimine che non aveva commesso, dopo 22 anni, preso da un improvviso senso di rimorso, si decidesse a raccontare come erano andate le cose. Giuseppe, dopo 22 anni, è uscito dal carcere, ha anche ottenuto un risarcimento milionario (6,5 milioni di euro). Ma la sua vita di fatto è stata distrutta, rovinata in misura tale che nessun risarcimento potrà mai compensare. E le vergognose affermazioni del ministro Bonafede suonano come insulto nei suoi e nei confronti di quanti come lui hanno trascorso mesi o anni dietro le sbarre da innocenti.

E ancora più offensive sono le affermazioni di un inqualificabile Travaglio che è arrivato al punto di sostenere che “non c’è nulla di scandaloso se un presunto innocente è in carcere”. “Finora ho sopportato e sono stata una signora. Ora basta. Travaglio, mavaffanc…” ha replicato un’arrabbiatissima (comprensibilmente) Gaia Tortora, conduttrice di La7 e figlia di Enzo Tortora.

A rendere ancora più gravi quelle vergognose dichiarazioni (di Bonafede e Travaglio) ci sono, poi, i dati ufficiali, quelli forniti dall’Unione camere penali, che parlano di ben 27 mila risarcimenti da parte dello Stato per ingiusta detenzione dal 1992 al 2018 (per quasi un miliardo di euro). In pratica si viaggia alla media 3 risarcimenti per ingiusta detenzione al giorno (1 ogni 8 ore), 90 al mese, circa 1000 all’anno. Numeri impressionanti che rendono l’idea della situazione della giustizia italiana ma non sono esaustivi.

Come evidenzia lo stesso presidente dell’Unione Camere Penali, Gian Domenico Caiazza, innanzitutto solo una parte degli aventi diritto chiede effettivamente un risarcimento. Inoltre non tutte le persone che ne fanno richiesta ottengono la riparazione del danno subito. Anche perché l’istruttoria è molto complessa e basta molto poco per non rientrare tra coloro che ne hanno diritto. Ad esempio se, nella fase delle indagini preliminari o durante il processo, ci si avvale della facoltà di non rispondere, automaticamente diventa poi difficile pensare di ottenere il risarcimento perché si ritiene che quella condotta (perfettamente lecita e consentita dalle norme) possa aver contribuito a determinare l’errore.

Va, inoltre, considerato un altro dato che contribuisce a delineare un quadro che dovrebbe far riflettere. Negli ultimi due anni praticamente il 50% dei processi con rito ordinario si è concluso con una sentenza di assoluzione. Sappiamo bene, ce lo racconta la cronaca di tutti i giorni ma è cosa nota a chiunque si occupi un po’ di giustizia, che tra proroghe, supplementi di inchieste, rinvii e cose varie nel nostro paese le indagini e i procedimenti, anche solo per il primo grado, spesso si trascinano per anni. Un autentico ed interminabile calvario per chi lo deve affrontare da innocente, senza considerare quello che una simile evenienza significa poi in termini economici.

Abbiamo provato in prima persona cosa significa quando, una decina di anni fa, con il direttore del giornale, siamo stati costretti ad affrontare un procedimento per diffamazione aggravata che, con una giustizia un po’ più efficiente, non sarebbe mai iniziato. Tra rinvii, sedute a vuoto, spostamenti di sedi e cose varie, quel semplice procedimento si è protratto per quasi 5 anni, concludendosi ovviamente con una piena e totale assoluzione.

Ma, fatte salve le spese processuali, nessuno ha risarcito le ingenti spese legali che quel giornale è stato costretto ad affrontare. Ancora, ricordando quello che sancisce l’art. 27 della Costituzione (“L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”), in base alla legge si possono disporre le misure cautelari in presenza di uno di questi requisiti: prove molto forti, reiterazione del reato, pericolo di fuga. In altre parole, nonostante l’art. 27, si può comunque finire in carcere anche molto prima del termine dei tre gradi di giudizio.

La storia degli ultimi 30 anni del nostro paese ci racconta di innumerevoli casi in cui chi, nel corso delle indagini, è stato arrestato sulla base di quei requisiti poi è stato assolto con formula piena. Per Marco Travaglio che un innocente trascorra mesi (in qualche caso anni) in carcere in attesa del processo è un’evenienza “per nulla scandalosa”. Per chi ha un concetto un po’ più alto dello stato di diritto anche un solo giorno di carcere (ingiusto) è da considerare qualcosa di inaccettabile.

Ma che Travaglio sia “accecato” dal suo insano giustizialismo è cosa nota e lascia il tempo che trova. Discorso differente, invece, per un ministro che avrebbe il dovere quanto meno di conoscere bene la materia di cui si occupa. E che dovrebbe sapere che se la giustizia italiana è in un determinato motivo è per tantissime ragioni, l’ultima e la meno rilevante delle quali è proprio la prescrizione.

Le cui norme che la regolano naturalmente possono essere riviste e riscritte ma, se si vogliono fare le cose seriamente, solo nell’ambito di una riforma complessiva che vada nella direzione indicata dalla Costituzione. Che è decisamente agli antipodi di quella che promuovono Bonafede e Travaglio.

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