La strage di piazza Fontana e l’insegnamento di Pertini, Mattarella e Sala


Nel giorno del 50° anniversario della strage in cui morirono 17 persone, il presidente della Repubblica ha voluto incontrare insieme le vedove di quelli che vengono considerati le altre due vittime di quella strage: Giuseppe Pinelli e Luigi Calabresi

Il 12 dicembre è una data fondamentale nella storia della nostra travagliata repubblica. E’ il giorno in cui si commemora la strage di piazza Fontana a Milano di cui, per altro, quest’anno ricorre il 50° anniversario. Anche se già prima c’erano stati dei segnali preoccupanti, la bomba che quel 12 dicembre 1969 provocò 17 vittime e 88 feriti presso la Banca Nazionale dell’Agricoltura di fatto ha segnato l’inizio del periodo più difficile e più fosco della storia recente del nostro paese, i cosiddetti “anni di piombo”.

Su quella che è stata di volta in volta definita “la madre di tutte le stragi”, “il primo e più dirompente atto terroristico dal dopoguerra”, “il momento più incandescente della strategia della tensione” sono stata dette e raccontate tantissime cose.

Ricordando che, come purtroppo avviene troppo spesso in Italia, la strage di piazza Fontana è una di quelle stragi che di fatto è rimasta impunita, anche se l’ultima sentenza del 2005 ha stabilito che fu realizzata dalla cellula eversiva del gruppo di estrema destra “Ordine Nuovo” capitanata da Freda e Ventura (non più processabili, però, perché assolti in via definitiva nel 1987, proprio in occasione del 50° anniversario per una volta vogliamo ricordare tre gesti di straordinario impatto e dal significato profondo di cui si sono resi protagonisti in passato l’allora presidente della Camera Sandro Pertini (diversi anni dopo eletto presidente della Repubblica) e, proprio nella giornata, l’attuale presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il sindaco di Milano Giuseppe Sala.

Tre gesti e tre episodi che in qualche modo rendono onore e contribuiscono a fare ulteriore luce sulla vicenda di quelle che, giustamente, a tutti gli effetti vengono considerate la diciottesima e la diciannovesima vittima della strage di piazza Fontana: Giuseppe Pinelli e Luigi Calabresi.

Pinelli faceva parte del Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa di Milano che, insieme al Circolo anarchico 22 marzo di Roma (di cui faceva parte Pietro Valpreda , arrestato il 16 dicembre ed indicato inizialmente come colui che materialmente aveva collocato la bomba nella Banca, poi assolto nel processo di Catanzaro) finì nel mirino dell’ufficio politica della questura di Milano subito dopo la strage. Attribuita, subito anche e soprattutto sotto la spinta dell’Ufficio affari riservati, proprio agli anarchici.

La sera del 12 dicembre venne fermato insieme ad altri anarchici e fu portato in questura per essere interrogato. Un interrogatorio che ben presto si trasformò in una sorta di tortura interminabile, tre giorni consecutivi fino alla drammatica sera del 15 dicembre quando lo stesso Pinelli, ormai stremato, morì dopo essere precipitato dal quarto piano della questura. Suicidio dopo essere stato scoperto, fu la prima versione che spiegava come Pinelli si era buttato dopo che il suo alibi era crollato urlando “E’ la fine dell’anarchia”. Ben presto, però, si fece strada la certezza che gli anarchici, e tanto più Pinelli, non c’entravano nulla e negli ambienti della sinistra estrema affiorò la certezza che Pinelli era stato ucciso, fatto volare dal quarto piano della questura.

E a finire nel mirino dell’estrema sinistra (ma anche di una parte della sinistra più moderata) fu proprio Luigi Calabresi, vice capo dell’Ufficio politico. Da quel momento Calabresi fu oggetto di una violentissima campagna d’odio che, quasi due anni dopo (17 maggio 1972) sfociò nella sua uccisione in un agguato per il quale molti anni dopo vennero condannati Ovidio Bompressi e Leonardo Marino come esecutori e Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri come mandanti (tutti all’epoca appartenenti a Lotta Continua).

I fatti emersi con chiarezza negli anni successivi hanno dimostrato come la storia in realtà fosse completamente differente. Gli anarchici con piazza Fontana non c’entravano nulla, il loro coinvolgimento si rivelò un depistaggio attuato e voluto proprio dall’Ufficio Affari Riservati del ministero. Allo stesso modo le successive indagini dimostreranno con assoluta certezza che Luigi Calabresi non era presente nel suo ufficio nel momento in cui si consumò il dramma di Pinelli. Non solo, pian piano emerse come in realtà tra Calabresi e Pinelli si fosse creato da tempo un rapporto di reciproco rispetto, al punto che in più circostanze si erano addirittura scambiati dei libri da leggere.

Allo stesso modo emerse con altrettanta certezza come tutta l’ignobile pantomima del suicidio dopo essere stato smascherato fu messa su dal questore di Milano Marcello Guida (con il quale, tra l’altro, Calabresi in quei giorni ebbe dei violenti scontri verbali). E proprio alla controversa figura del questore di Milano è legato uno degli episodi a cui abbiamo accennato.

In visita ufficiale a Milano qualche mese dopo la strage (e la tragica morte di Pinelli), l’allora presidente della Camera Sandro Pertini rifiutò pubblicamente si stringere la mano a Marcello Guida. Un gesto di fortissimo rilievo mediatico, anche perché ruppe un protocollo consolidato, che alcuni anni dopo lo stesso Pertini spiegò fornendo due chiavi di lettura. La prima riguardava il fatto che, da comandante della Resistenza, Pertini non aveva certo dimenticato l’attività di Guida come direttore del confino di Ventotene nel ventennio fascista. La seconda, invece, riguarda proprio le vicende collegate alla strage di piazza Fontana.

A determinare quel gesto fu anche su Guida gravava l’ombra della morte di Pinelli, fu lui ad indicare subito la pista anarchica e ad organizzare la montatura per spiegare la fine dello stesso Pinelli” spiegò, in un’intervista con Oriana Fallaci Pertini. Un gesto importante, denso di significato sia perché dimostra come in realtà già allora c’era chi aveva la piena consapevolezza di come si erano svolti i fatti, sia perché dimostra che il rispetto nei confronti delle istituzioni non può e non deve essere a prescindere, va meritato e conquistato.

Quasi 50 anni dopo non meno importante e ricco di significato è il gesto compiuto da un altro presidente della Repubblica, quello attualmente in carica Sergio Mattarella. Che questa mattina (giovedì 12 dicembre) a Milano proprio l’anniversario della strage di piazza Fontana, prima delle commemorazioni ha voluto incontrare insieme le vedove Calabresi e Pinelli. In realtà le due donne, come ha raccontato il figlio del commissario Mario Calabresi nel suo splendido libro “Spingendo la notte più in là”, già da diversi anni avevano avuto contatti, si erano addirittura incontrate, pienamente consapevoli che i rispettivi mariti erano, appunto, le ulteriori 2 vittime di quella strage.

Ma il gesto del presidente della Repubblica è di notevole rilevanza perché istituzionalizza questo incontrovertibile dato di fatto. Così come non meno rilevante è quanto fatto mercoledì 11 dicembre dal sindaco di Milano, Giuseppe Sala. Che ha voluto presenziare alla cerimonia di piantumazione di un albero dedicato a Pinelli nel quartiere di San Siro per “chiedere scusa e il perdono della città alla famiglia Pinelli”.

Nell’anniversario di una giornata terribile per l’Italia, per quello che è stato e per quello che ha poi determinato mettendo a nudo gli aspetti più deteriori del nostro paese, per una volta ci è sembrato giusto sottolineare chi, comunque, con il proprio comportamento e con il proprio alto senso istituzionale ogni tanto (sempre più raramente, purtroppo) ci rende orgogliosi dei nostri rappresentanti istituzionali.

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