L’Aquila 10 anni dopo: il futuro negato alle nuove generazioni


A 10 anni dal terribile terremoto del 6 aprile 2009 L’Aquila continua ad essere una città senza scuole, con oltre 6 mila ragazzi che da allora vanno a scuola nei Musp. Che, dopo 10 anni, non possono certo essere ancora chiamati “moduli provvisori”…

Di storie e di racconti particolari, nel decennale del tragico terremoto a L’Aquila, ne abbiamo ascoltati tantissimi. Ma quella che ci ha più colpito e fatto pensare a come funzionano (anzi, non funzionano) le cose in questo paese è la testimonianza di Andrea. Lui il terremoto lo ricorda vagamente, quella drammatica notte del 6 aprile aveva poco più di 3 anni ed inevitabilmente non può avere ricordi nitidi. Però Andrea è uno dei tanti adolescenti aquilani che non ha mai messo piede, neppure per un giorno, in un’aula di una vera scuola.

Sembra impossibile per chi non ha vissuto e non vive una realtà come quella aquilana, può apparire un particolare irrilevante tra i tanti dati, i numeri che ci sentiamo snocciolare “a getto continuo” in queste ore, tra commemorazioni e ricordi. Invece, a ben vedere, la storia di Andrea e quella di tutti gli altri adolescenti aquilani fotografano al meglio l’immagine di un paese che non è capace di reagire alle calamità, che dopo un simile disastro non riesce proprio a ripartire, neppure dalle cose più importanti.

Nel 2009 io non frequentavo neppure la materna – racconta Andrea – oggi sono in terza media. In tutti questi anni la mia vita scolastica è sempre stata in quei moduli, non ho mai neppure messo piede in una scuola di muratura. Sono sempre stato convinto che in tutta Italia le scuole fossero come le nostre. Poi 2 anni fa, in prima media, siamo stati in gita in Toscana per un progetto di collaborazione con una scuola di Pistoia. Siamo stati in quella scuola e per la maggior parte di noi è stata una sorpresa scoprire che era così diversa dalla nostra. Poi, parlando con i miei genitori, ho scoperto che la stranezza era la nostra scuola, non quella toscana”.

Andrea, come tutti i suoi coetanei aquilani, il suo percorso scolastico, dalle elementari alle medie, l’ha sempre vissuto nei cosiddetti Musp. Che, per la cronaca, sarebbero letteralmente i “Moduli ad uso scolastico provvisori”, un nome che già suona come una presa in giro. Perché i Musp sono arrivati subito, già qualche mese dopo il terribile terremoto del 6 aprile 2009. Ma dopo 10 anni possono davvero essere chiamati “moduli provvisori”? Tra le tante fotografie che scorrono in queste ore di triste ricorrenza, quella delle scuole è a nostro avviso una delle più emblematiche.

Perché nel nostro modo di vedere le cose le scuole, che rappresentano il futuro di una comunità, dovrebbero essere una delle più importanti priorità nella fase di ricostruzione. E la situazione delle scuole aquilane è la migliore e più imbarazzante dimostrazione che, 10 anni dopo, al momento L’Aquila è ancora una città senza un futuro. Altro particolare non irrilevante, le uniche 2 scuole riaperte nella cittadina abruzzese sono scuole private (delle suore).

Anche in questo caso un emblema della situazione generale che vede la ricostruzione privata procedere, sia pure non così velocemente come si sperava, mentre quella pubblica è quasi ferma al palo. Tornando al problema delle scuole, attualmente tra L’Aquila e dintorni (Ovindoli, Rocca di mezzo, Scoppito, Arsita, Popoli e Montereale) ci sono complessivamente 31 Musp che ospitano oltre 6 mila ragazzi delle scuole ‘infanzia, primaria secondarie di primo grado e di secondo grado.

Più della metà degli istituti scolastici cittadini sono inagibili da quella tragica notte del 2009, su quelli che almeno alla vista non sono messe poi così male, solo dopo il 18 gennaio 2017 (dopo la famosa sequenza sismica di quella giornata) si è deciso di effettuare le verifiche di vulnerabilità sismica, con il paradosso che ancora oggi (a 2 anni di distanza) della maggior parte di quelle scuole non sono stati resi pubblici gli indici di rischio (ma non è difficile immaginare in che condizioni si trovino).

Naturalmente, parlando di sicurezza, è comunque positivo che si preferisca evitare rischi e, sotto questo punto di vista, ben vengano i Musp, almeno i genitori aquilani possono dormire sonni tranquilli quando i propri figli sono a scuola. Ma che dopo 10 anni la situazione sia praticamente rimasta immutata è una vergogna. Accentuata dal fatto che ci sono da tempo a disposizione per la ricostruzione delle scuole circa 43 milioni di euro, i primi stanziati già a novembre 2009 (a 5 mesi dal terremoto). Gli altri sono arrivati a partire dal 2011 dai decreti dell’allora commissario della ricostruzione e dalle delibere del comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe).

Quei soldi da anni sono fermi ed inutilizzati, al momento c’è un unico cantiere aperto per la nuova scuola primaria Mariele Ventre, nella zona ovest della città. La vergognosa situazione delle scuole emblema della condizione in cui si trova L’Aquila 10 anni dopo, una città che deve fare ancora i conti con le macerie e che al momento continua a non avere un futuro (o, nella migliore delle ipotesi, ha un futuro a dir poco grigio). E che in questi ultimi anni, oltra a continuare a pagare le terribili inefficienze dello Stato, ha dovuto subire pure l’umiliazione di essere portata ad esempio di un modello positivo che non esiste per fare da contraltare alla tragica situazione delle zone colpite dal terremoto del 2016.

Un’operazione ignobile, innanzitutto perché la situazione in quelle zone è tale che non c’è certo bisogno di fare alcun genere di paragone per evidenziarne la gravità. Ma soprattutto perché è offensiva nei confronti degli aquilani che hanno vissuto quel dramma e che da 10 anni sono dentro un incubo che non ha termine.

Meritano rispetto, meritano di non essere presi in giro da chi, per speculazioni politiche, parla (probabilmente senza mai aver messo piede a L’Aquila in questi 10 anni) di una situazione idilliaca che non esiste e non è mai esistita, ancor più da chi continua a glorificare l’opera di Bertolaso, raccontando di improbabili miracoli in tema di rimozione delle macerie (secondo la folle ricostruzione di qualcuno scomparse da L’Aquila e dintorni nel giro di pochi mesi) e tessendo lodi e storielle surreali sulle “terrificanti” new town. Uno stravolgimento della realtà (riproposto da qualcuno anche in questo decimo triste anniversario) offensivo per chi quella realtà l’ha vissuta e la vive da 10 anni.

Sarebbe sufficiente, per smontare questa vergognosa storiella, ricordare la famosa lettera inviata dalla totalità delle associazioni aquilane ai romani nella primavera 2016, quando il centrodestra unito sembrava voler candidare alla poltrona di sindaco di Roma proprio l’ex responsabile della Protezione civile. “Bertolaso, ma non ti vergogni?” era l’emblematico titolo della lettera che, sin dalle prime righe, non lasciava dubbi: “cari romani, con questa lettera vorremmo cercare di raccontarvi tutti i danni, le speculazioni e le ingiustizie che ha causato Guido Bertolaso al nostro territorio”).

Dovrebbe essere sufficiente ma se non lo fosse basterebbe ricordare che, a differenza di quanto favoleggia qualcuno, addirittura a L’Aquila 10 anni dopo non è stata ancora terminata neppure l’’opera di rimozione delle macerie. Secondo le ultime stime siamo intorno all’80% (dopo 10 anni…) e, se possibile, la situazione negli ultimi mesi procede ancora più a rilento.

Basti pensare che un anno fa complessivamente (tra pubbliche e private) erano stati rimossi poco più di 3 milioni di tonnellate di macerie, mentre la situazione attuale parla di poco meno di 3,5 milioni di tonnellate. Oppure sarebbe sufficiente ricordare come le contestatissime New Town, costruite in pochi mesi di certo per ospitare una parte della popolazione ma anche e soprattutto per una questione di immagine, oggi siano uno dei problemi centrali. E non solo per la loro pessima qualità (numerose di quelle nuove case sono da tempo inagibili per problemi vari) ma anche perché ora, come ampiamente previsto, nessuno ha idea di cosa farne.

Senza snocciolare tutti quei numeri e quei dati che vengono ripetuti in questi giorni e che dimostrano quanto difficile sia la situazione, per concludere e rendere ulteriormente chiara la fotografia dell’attuale situazione, ci limitiamo a sottolineare un paio di eloquenti informazioni.

Alla fine del 2017 amministratori, politici e tecnici avevano indicato una sorta di road map che prevedeva il completamento della ricostruzione privata entro il 2022 e quello della ricostruzione pubblica entro il 2025. Nei giorni scorsi i tecnici dell’Ufficio ricostruzione hanno sottolineato come sarebbe positivo se tra 5-6 anni (quindi entro il 2025) la ricostruzione privata fosse completata al 90%, senza più indicare date per quella pubblica.

L’altra considerazione riguarda il centro storico, vero cuore pulsante della città aquilana. Nel 2009, prima del terremoto, erano presenti oltre 1.200 attività commerciali. Oggi, a 10 anni dal sisma, siamo fermi a meno di 100 (l’ultimo censimento parlava di 86 attività). Il cuore della città ancora non ha cessato di battere ma il suo battito è sempre più tenue. Dopo 10 anni è un dato sconfortante…

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