Porta i fiori dove è morto il figlio 28enne, condannato il padre di una delle vittime di Rigopiano


Il 21 maggio scorso Alessio Feniello a Rigopiano non ha rispettato il divieto di accesso e ha deposto un mazzo di fiori nel luogo dove il figlio Stefano ha perso la vita nella tragedia del 18 gennaio 2017. Per questo “grave reato” martedì 8 gennaio gli è stata notificata la condanna

Quella che ci accingiamo a raccontare è una di quelle storie che ti fanno maledire di essere nato in un paese simile. E’ la storia di un padre, Alessio Feniello, che ha perso il figlio 28enne nel modo più drammatico possibile (ammesso che ci sia un modo meno drammatico in una simile vicenda…) nella tragedia di Rigopiano. E’ quasi superfluo sottolineare che da quel maledetto 18 gennaio del 2017 la sua vita e quella di sua moglie Maria Perilli non sono più la stessa cosa.

Due genitori “straziati” che vivono nel ricordo di quel loro amatissimo figlio e in attesa di avere almeno giustizia, ben sapendo che nulla potrà mai neppure minimamente compensare una così devastante perdita. Alessio, come tutti i genitori che hanno vissuto un simile dramma, non perde occasione per rendere omaggio a Stefano. E il 21 maggio scorso, con il dolore nel cuore, si è recato proprio lì, a Rigopiano, nel luogo dove è drammaticamente terminata la giovane vita del figlio, per deporre in sua memoria dei fiori.

Si possono ben immaginare i sentimenti che avrà provato quando è arrivato in quel maledetto posto, non bisogna certo avere una particolare sensibilità per comprendere le profonde ragioni che animavano le sue intenzioni. Certo, l’area dove sorgeva l’hotel travolto dalla valanga era delimitata dal nastro (in altre parole c’erano i sigilli) e le forze dell’ordine presenti a presidiare la zona gli hanno intimato di non accedervi.

Lui, come qualsiasi altro genitore al suo posto, non li ha ascoltati, è entrato in quell’area e, incurante dei richiami degli agenti, ha depositato il mazzo di fiori per il figlio e poi è uscito, immaginiamo in che condizioni. Magari saremo troppo sensibili, ma ci sembra impossibile non considerare quello di Alessio un gesto di una tenerezza struggente, a dir poco commovente.

Il problema è che non si sono commossi gli agenti delle forze dell’ordine presenti, che l’hanno subito denunciato, né la Procura della Repubblica di Pescara, che l’ha immediatamente indagato sulla base dell’art. 349 del codice penale (“violazione di sigilli”), né tanto meno il Gip del Tribunale di Pescara che l’ha condannato per quel “grave gesto criminale”.

L’implacabile giustizia italiana, quella che si limita a dare un “buffetto” a chi ruba 49 milioni di euro pubblici, quella che non fa fare neppure un giorno di carcere a chi è responsabile della tragedia in cui sono morti decine di bambini (potremmo proseguire all’infinito…), non può certo lasciarsi commuovere, non può certo piegarsi di fronte ad un gesto tenero di un padre distrutto. E’ stato commesso un “gravissimo crimine” e bisogna perseguirlo con la necessaria durezza. Così, con un’insolita rapidità, il 23 novembre scorso, appena 5 mesi dopo, il Tribunale di Pescara ha condannato Alessio Feniello. A cui, però, la condanna è stata notificata solamente martedì 8 gennaio.

Cosa posso dire? – scrive l’uomo su Facebook dando notizia dell’accaduto – oggi mi hanno notificato questa condanna. Mi sono recato a Rigopiano a portare dei fiori dove hanno ucciso mio figlio Stefano. E, secondo lodo, mi sono introdotto in un’area sottoposta a sequestro. Così ora mi hanno condannato a pagare 4.550 euro di multa, altrimenti faccio due mesi di carcere. Io rispondo a questo magistrato che non pago e se necessario ne faccio tre di mesi di carcere. E’ assurdo, quelli che non hanno fatto niente per salvare 29 persone a Rigopiano stanno tutti ancora a piede libero, io invece devo pagare”.

“Dura lex, sed lex” recita un famoso detto, attribuito a Socrate, che invita a rispettare la legge anche nei casi in cui sia più rigida e rigorosa. Siamo pienamente d’accordo, siamo sempre stati fautori del totale rispetto della legge. Ma c’è, deve esserci un limite, qui siamo di fronte a qualcosa che va oltre, siamo di fronte ad un caso di abominevole e sconcertante disumanità, di incomprensibile accanimento nei confronti di un uomo “distrutto” dal dolore. Che non ha fatto male a nessuno, che con il suo comportamento non ha leso o messo in pericolo nessuno, che ha semplicemente oltrepassato un nastro che delimitava quell’area per apporre un mazzo di fiori lì dove è morto il figlio, per poi andarsene in silenzio.

L’ordinanza della Procura è chiara, non è successo altro, Alessio non si è rivolto in maniera offensiva nei confronti degli agenti, non ha reagito in alcun modo scomposto, ha solo e semplicemente deposto quel mazzo di fiori. Come si può denunciare quell’uomo per quel tenere gesto? Ancora di più, come si può condannarlo? Il genere umano, raccontava Totò nel film “Siamo uomini o caporali?” (e poi in un libro dal titolo analogo), si divide in due categorie: gli uomini e i caporali. E in questi triste vicenda è sin troppo chiaro chi appartiene all’una e chi appartiene all’altra categoria.

Per quanto poco possa contare, Alessio Feniello ha tutta la nostra solidarietà umana. E ci piacerebbe che i “caporali” che l’hanno ulteriormente colpito ricordassero cosa ha passato e l’immane tragedia che ha colpito quell’uomo e la sua famiglia. Che è come se, in poche ore, avessero perso il figlio due volte, tra le gravi responsabilità di chi non ha evitato il compiersi di una tragedia annunciata, e la terribile beffa provocata dalla superficialità, gravissima in una situazione del genere, delle stesse istituzioni.

Perché in quel dramma che è la vicenda dell’hotel Rigopiano, nel quale hanno perso la vita 29 persone, la storia di Stefano Feniello è la più struggente e dolorosa. Il 28enne originario di Valva (in provincia di Salerno) era salito in quell’hotel il giorno precedente. Quel soggiorno in una spa era il regalo di compleanno che le aveva fatto la sua ragazza, la 25enne pescarese Francesca Bronzi, che ovviamente era insieme a lui. Il pomeriggio del 17 gennaio Stefano aveva mandato un messaggio vocale al padre: “E’ pieno di neve , nevica ma questa Panda è uno spettacolo. Siamo saliti senza catene”.

La mattina dopo, però, la situazione era decisamente cambiata. Alla neve sempre più intensa si erano aggiunte le scosse di terremoto. Così Stefano aveva comunicato ai genitori che non sarebbero rimasti, che sarebbero ripartiti subito. Poi, quasi all’ora di pranzo, aveva chiamato la mamma per dirle che non erano in grado di scendere. “Mamma forse non possiamo rientrare perché quelli che dovevano pulire la strada non si sono degnati di venire” aveva detto, aggiungendo che comunque avevano preparato tutto per poter ripartire appena possibile. Qualche ora dopo la tragedia, resa più atroce per i genitori di Stefano dalla terribile illusione della salvezza del figlio.

Venerdì pomeriggio 20 gennaio, mentre erano in corso le difficili operazioni alla ricerca di eventuali sopravvissuti, viene diffusa la lista di cinque persone vive che stanno per essere estratte dalle macerie. “Sono venuti il presidente della Regione, il questore e il prefetto di Pescara a parlarci – racconta papà Alessio – il prefetto ci ha detto: tutto quello che vedete sui media e quello che sentite dire non conta niente, vale solo quello che vi dico io. E ci ha detto che i lavori, lì sulla valanga, andavano avanti, che avevano individuato cinque persone vive delle quali lui aveva i nomi. Fra quelle mio figlio era il secondo della lista. La sua fidanzata Francesca era al terzo posto”.

La speranza che pian piano si trasforma in incubo, in drammatica beffa. Alessio attende il figlio al Pronto Soccorso e all’arrivo di ogni ambulanza corre incontro urlando “Stefano, Stefano”. Ma suo figlio non c’è, è vero che ci sono 5 persone salve estratte dalla macerie, è vero che c’è la fidanzata di Stefano tra i sopravvissuti ma il figlio non c’è. Nella serata di sabato arriva poi la temuta notizia, Stefano è tra le vittime.

Quelli che sono morti sono stati uccisi, sequestrati prima e poi uccisi” ha sempre sostenuto la madre che per diverse settimane ha anche portato avanti lo sciopero della fame per chiedere giustizia. Quella vera, attesa e auspicabile, forse arriverà tra diverso tempo (ad essere ottimisti). Nel frattempo è arrivata quella inflessibile, la giustizia sempre così rigida quando c’è da colpire qualche poveraccio.

Quella che, comunque la si veda, in situazioni come queste fa vergognare di essere in un simile paese…

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