L’ipocrita guerra alle “magliette rosse”


Paradossale e isterica reazione contro l’iniziativa promossa da Libera di Don Ciotti “per fermare l’emorragia di umanità” e ribadire che “salvare le vite non può essere considerato reato”. “In mare si moriva di più prima” afferma Travaglio, smentito dai dati ufficiali

Si respirava un’atmosfera anni ’70 martedì pomeriggio di fronte alla Prefettura di Ascoli, in piazza Simonetti. Dove, in concomitanza con altre piazze italiane, sono tornate le “magliette rosse” per “fermare l’emorragia di umanità” e ribadire con forza che salvare le vite non solo non può essere considerato un reato ma, anzi, dovrebbe essere una priorità e un impegno di chiunque, a prescindere da ciò che poi si pensa e come poi si intende affrontare il problema dei migranti.

Quelli erano anni in cui anche nel capoluogo piceno erano frequente gli scontri (quasi sempre verbali, qualche volta anche fisici) tra “rossi” e “neri” e martedì pomeriggio per un attimo è sembrato di rivivere quei tempi. Solo che questa volta a dividere i due schieramenti c’era un tema che, pure, in un paese civile non potrebbe e non dovrebbe essere divisivo: la sacralità e il rispetto della vita, il mettere sempre al primo posto, al di là della fede e dell’appartenenza politica, la salvezza di un essere umano.

Chi ama davvero l’Italia…

Questo è il principio che ha spinto decine e decine di persone ad indossare nuovamente le “magliette rosse”, a presentarsi davanti alla Prefettura e a manifestare silenziosamente (almeno inizialmente) dietro lo striscione del Comitato antirazzisti piceni che coordinava la manifestazione. Di fronte a loro, dall’altra parte della piazza, si sono radunati alcuni militanti di Casapound ma anche alcuni simpatizzanti di Fratelli d’Italia (FdI).

Un partito a rischio estinzione, risucchiato e  di visibilità. A guidarli il presidente del Consiglio comunale Marco Fioravanti che, quanto meno, avrebbe dovuto interrogarsi se non fosse stato più opportuno avere un atteggiamento più consono al ruolo istituzionale che riveste (e sorvoliamo su altro per decenza…). Inutile discutere se quella di Casapound e FdI sia stata semplicemente una provocazione, non è accaduto nulla (al di là di qualche scambio verbale finale) e comunque ognuno ha il diritto di manifestare dove e quando vuole, ovviamente nei limiti imposti dal rispetto delle legalità.

Ci ha però colpito e dovrebbe comunque far riflettere il fatto che Fioravanti e i simpatizzanti di FdI indossavano per l’occasione una maglietta azzurra con il cuore tricolore e la scritta “We love Italia” e come gesto di sfida nei confronti dei manifestanti con le “magliette rosse” hanno, poi, intonato l’inno italiano. Come a dire che chi chiede più umanità, chi mette al primo posto il sacro valore di ogni vita umana, chi chiede che salvare la vita non sia considerato un reato per qualche perversa e cervellotica ragione è contro l’Italia, è un nemico del popolo italiano. Che a guardar bene, utilizzando un sillogismo, secondo questa distorta visione delle cose sarebbe diventato un popolo sanguinario, che gode ed esulta nel vedere morire in mare questi poveri disperati, bambini piccoli compresi!

Siamo certi che non è così e nel gioco della strumentalizzazione politica di qualsiasi cosa, il tentativo (un po’ anche per lavarsi la coscienza…) di far credere che chi ha questa visione umanitaria non ama il nostro paese finisce per rivelarsi un clamoroso autogol.

Perché alla fine è esattamente il contrario, chiedere che l’Italia non sia complice di questa tragedia, che non vesta essa stessa i panni del carnefice, significa avere un alto concetto del proprio paese, del suo ruolo a livello internazionale. Il problema di fondo è che ormai per seguire la lucida follia di Salvini, quel suo slogan da guerra santa “primagliitaliani”, come se i problemi del nostro paese fossero dovuti da chissà quali forze straniere e non da anni di mal governo (e il suo partito è tra i principali responsabili), si tende a stravolgere tutto, a reagire in maniera isterica e verbalmente violenta contro chiunque prova anche solo un po’ a distinguere dal pensiero unico dominante.

E la reazione scomposta e decisamente sopra le righe, tra insulti di ogni genere e improbabili “editti”, che ha provocato la vicenda delle “magliette rosse” è la più evidente dimostrazione della sempre più paradossale situazione che si vive nel nostro paese. Nel quale ormai non si riesce a ragionare più su nulla, ci si divide in schieramenti politici su tutto, anche su temi e su principi che dovrebbero essere condivisi, come appunto il rispetto della vita umana.

Il significato delle “magliette rosse”

Perché questo è l’argomento, non è in discussione (almeno non con questa iniziativa) la politica in tema di migranti del nuovo governo, i respingimenti e la “stretta” sull’accoglienza. Sarebbe stato sufficiente informarsi bene sul significato e sulle motivazioni che ci sono dietro questa iniziativa promossa non da un partito o da uno schieramento politico, ma dall’associazione Libera di Don Ciotti (in collaborazione con Gruppo Abele, Arci, Legambiente, Anpi e del giornalista Francesco Viviano).

Sembrerà incredibile da credere (almeno a chi da qualche mese a questa parte ha sposato in pieno il motto “credere, obbedire, combattere”), ma quelle magliette rosse non hanno alcuna connotazione politica, la scelta di quel colore non è certo dettata da una simpatia per una determinata parte politica ma da ben altre e più serie ragioni. I genitori dei piccoli migranti sono, infatti, soliti far indossare una maglietta di quel colore ai loro figli nella speranza che dalle imbarcazioni della guardia costiera e delle organizzazioni non governative (Ong) li vedano meglio e aumentino così le loro possibilità di sopravvivere.

Ma ora che le Ong sono sempre più distanti le morti in mare dei piccoli migranti sono vertiginosamente aumentate. Per questo la maglietta rossa è diventata il simbolo di questa iniziativa di testimonianza civile. E l’appello che l’ha accompagnato, che per altro è un atto di accusa contro l’Europa (non contro il governo italiano) spiega ulteriormente il senso dell’iniziativa.

Muoiono questi bambini mentre l’Europa gioca allo scaricabarile con il problema dell’immigrazione e per non affrontarlo in modo politicamente degno arriva a colpevolizzare chi presta soccorsi o chi auspica un’accoglienza capace di coniugare sicurezza e solidarietà – si legge nell’appello di Libera – indossiamo tutti una maglietta, un indumento rosso, come quei bambini. Perché mettersi nei panni degli altri, cominciando da quelli dei bambini che sono patrimonio dell’umanità, è il primo passo per costruire un mondo più giusto, dove riconoscersi diversi come persone e uguali cittadini”.

I numeri di una strage

Rispondere a questo che è un appello umanitario cantando l’inno italiano, ripetendo come un disco rotto “primagliitaliani” non ha alcun senso, siamo ai limiti della paranoia. Perché bisogna davvero aver chiuso il cervello per pensare che chi salva quei bambini in mare o chi chiede di mettere il rispetto della vita al primo posto possa per qualche recondita ragione andare contro gli interessi della nostra nazione. Che a portare avanti questa cervellotica tesi sia la schiera di adepti leghisti non sorprende. Stupisce invece che a loro si siano allineati alcuni dei principali esponenti del M5S, che pure fino a qualche mese fa erano spesso al fianco di Don Ciotti in alcune sue battaglie.

Il vergognoso e spocchioso post di Di Battista è uno dei punti più bassi toccati dal Movimento in questi anni, mentre è davvero pietoso che Di Maio per smontare l’iniziativa abbia dovuto ricorrere ad una pacchiana “bufala”, con quel Pd che avrebbe bombardato la Libia (cosa in realtà fatta dal governo Berlusconi, di cui era parte integrante proprio la Lega). Siamo certi che una parte del M5S avrebbe volentieri condiviso e spalleggiato l’iniziativa di Libera ma i vertici del partito, come per quasi tutto in questo periodo, non hanno avuto il coraggio di irritare l’alleato di governo e, quindi, hanno cercato in tutti i modi di sminuire e irridere il valore dell’iniziativa. Che, invece, ha un profondo significato umanitario.

Lo spiegano i numeri, almeno a chi davvero avesse voglia di informarsi seriamente, quelli veri e ufficiali che fotografano una situazione drammatica, purtroppo ben differente da quella vaneggiata da Marco Travaglio, ormai megafono afono e improbabile avvocato difensore a prescindere del governo giallo-verde. Il direttore de “Il Fatto Quotidiano” per certi versi è riuscito addirittura a superare Salvini, mettendo in mostra un imbarazzante cinismo che lo ha portato a negare l’evidenza, pur di andare contro l’iniziativa di quel Don Ciotti che, pure, fino a qualche mese fa era anche per lui un esempio.

Le magliette rosse sbagliano, in mare si moriva molto di più” ha sentenziato Travaglio. I numeri ufficiali delle agenzie Onu (Oim e Unhcr) dicono esattamente il contrario. Dal 1 gennaio fino a metà giugno sono morti in mare 620 migranti, dal 20 giugno (quando è iniziata la guerra contro le Ong e sono stati chiusi i porti) al 4 luglio ne sono morti più di 400.

Anche in tempi come questi ci dovrebbe essere un limite alle strumentalizzazioni politiche (e giornalistiche…)

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