Un uomo solo al comando


Spetta al ministro delle Infrastrutture (Toninelli) chiudere i porti e una vicenda così delicata dovrebbe essere gestita dal presidente del Consiglio. Invece Salvini impone la linea e si conferma “dominus” incontrastato del governo. con Di Maio e Conte relegati a comprimari

La triste vicenda dell’Acquarius e dei 629 migranti a bordo (tra cui 123 minori non accompagnati) si presterebbe a diverse riflessioni e a diversi commenti. Ma i dati più evidenti che emergono da un punto di vista politico sono innanzitutto la totale, assoluta e incontrastata egemonia di Matteo Salvini nel nuovo governo (cosa, per altro, ampiamente già da tempo evidente e indiscutibile a chi non si lascia trasportare dal tifo di parte) e il ruolo assolutamente secondario, da gregario a voler essere magnanimi, del presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

Che pure proprio poche ore prima, di ritorno dal vertice in Canada, aveva provato (a dire la verità con scarsa convinzione) ad affermare la propria autonomia dai due leader (Salvini e Di Maio) e il proprio ruolo centrale nell’esecutivo. “Ho piena sintonia personale con Di Maio e Salvini – ha affermato il premier – ma non rinuncio ad esercitare le prerogative del presidente del Consiglio. Io mi assumo la piena responsabilità di guidare questo governo e indirizzarne la politica”.

Poche ore dopo, di fronte alla prova di forza di Salvini (soprattutto con i suoi alleati di governo), le parole di Conte suscitano una compassionevole tenerezza, così come sentimento simile si prova nei confronti di Di Maio e del M5S che, pure, sarebbe il “socio di maggioranza” (con il suo 32% dei voti) di questo governo ma puntualmente viene relegato ad un ruolo di semplice e subordinato comprimario dell’indiscusso e unico “dominus” dell’esecutivo. Che in tema di immigrazione la Lega avesse imposto al M5S la propria impostazione era chiarissimo, messo nero su bianco su un contratto che, almeno per quanto riguarda questo specifico argomento, ha ripreso quasi alla lettera il programma leghista, senza alcun tipo di interferenza e di minima ingerenza da parte dei grillini.

Questo avrebbe dovuto essere sufficiente e avrebbe dovuto rassicurare Salvini sulla linea che il governo avrebbe tenuto. Ma al leader della Lega tutto ciò non è bastato, non sappiamo se per mancanza di fiducia o per altra ragione, e da subito si è mosso autonomamente, senza minimante preoccuparsi dei suoi alleati o di portare avanti un’azione collegiale. Si era già visto in occasione della “figuraccia” con la Tunisia, si è avuta la conferma clamorosa e imbarazzante in questa vicenda. Forse condizionata dagli sbarchi in Sicilia (poco meno di 500 migranti) di sabato scorso.

Salvini ordina, Di Maio, Toninelli e Conte si adeguano

Così, avuta notizia dell’Acquarius e dei 629 migranti soccorsi nella notte, il leader della Lega ha immediatamente rotto gli indugi, fregandosene di quelle che sarebbero le sue competenze e non aspettando che a muoversi fosse il governo. Con un post ha annunciato che l’Italia avrebbe chiuso i porti e che, quindi, quei 629 migranti non sarebbero sbarcati in Italia, chiedendo con decisione a Malta di farli sbarcare nel proprio porto. Al di là del fatto che, in una simile situazione, eventualmente dovrebbe essere il governo nella sua collegialità a muoversi e ad assumere determinate iniziative, magari con il premier in prima persona a seguire la vicenda, il ministro degli Interni (cioè Salvini) non ha alcun titolo per intervenire e adottare un simile provvedimento.

Il Viminale non ha alcuna competenza al riguardo, la responsabilità della chiusura dei porti ricade totalmente e completamente sul ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli (M5S). Che per ore, come il leader del suo partito Di Maio e, peggio ancora, il premier, non ha fiatato, mentre un sempre più scatenato Salvini continuava a dettare la linea, si scontrava con Malta (che con assoluta decisione e qualche ragione ha respinto la richiesta-imposizione del leader della Lega) e imponeva le proprie decisioni in un ambito in cui in teoria non avrebbe alcuna competenza.

Certo, sappiamo bene che probabilmente stiamo parlando di una questione più di forma che di sostanza, che la situazione quasi certamente sarebbe stata identica se Salvini avesse rispettato la collegialità del governo e le prerogative del ministro Toninelli, chiedendo (e certamente ottenendo) che fosse lui o il presidente del Consiglio Conte a muoversi e a prendere formalmente queste decisioni. Ma il segnale lanciato da Salvini ai suoi alleati di governo e al presidente del Consiglio è stato chiarissimo, inequivocabile, così come quelli lanciati al suo elettorato e ai suoi alleati “naturali”.

Un uomo solo al comando, un unico e indisturbato “dominus” che non ha perso l’occasione per relegare al ruolo di semplici comprimari Di Maio e Conte. D’altra parte è del tutto evidente e non è certo una novità che Salvini e la Lega partano da una posizione di assoluto vantaggio, avendo a portata di mano il comodo salvagente dell’alleanza (a dar retta ai sondaggi sicuramente vincente) con il resto del centrodestra in caso di fallimento del governo e di ritorno alle urne.

Tra l’altro sul tema (l’immigrazione) che gli ha permesso di conquistare così tanti voti e, per giunta, nel giorno in cui erano in svolgimento importanti elezioni amministrative (con oltre 6 milioni di italiani alle urne) Salvini non poteva certo non sfruttare la situazione e ribadire non solo la sua linea dura (che già qualcuno stava mettendo in discussione dopo gli sbarchi di sabato) ma anche il fatto che sull’argomento è lui e nessun altro a decidere cosa fare, a prescindere delle prerogative e delle competenze.

Un vero e proprio atto di forza che il M5S ha subito senza batter ciglio. D’altra parte non era semplice per Di Maio (e Toninelli), dopo che Salvini autonomamente aveva già annunciato la decisione di chiudere i porti una qualsiasi minima sfumatura differente avrebbe rischiato di provocare problemi. Così, diverse ore dopo, è arrivato il silenzioso “obbedisco” di Di Maio, con Toninelli che ha firmato una nota congiunta con Salvini che ricalcava pienamente la linea del leader del Carroccio. Solo nella serata di domenica sera, poi, è arrivata anche la voce del premier Conte che, senza “battere ciglio”, si è accodato alla linea imposta da Salvini. Nulla di strano e di inaspettato, almeno per noi.

 Pietà è morta

Ci sarebbero, poi, tante cose da dire nel merito di questa sconfortante vicenda. Ci sarebbe da parlare della Costituzione, degli articoli 1113 e 1158 del codice della navigazione che impongono di soccorrere i naufraghi, degli articoli 2 e 3 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo e della possibile violazione da parte dell’Italia. Si potrebbero ricordare gli accordi sottoscritti dall’allora ministro Maroni (e mai cambiati) che imporrebbero al nostro paese di far sbarcare la nave in un nostro porto.

Ma è perfettamente inutile di fronte al sempre più sconcertante imbarbarimento della nostra società, con schiere di tifosi con gli occhi iniettati di sangue, per i quali la vita umana ormai non ha quasi più valore. Sono agghiaccianti alcuni commenti letti sotto le dichiarazioni della portavoce dell’Unchr, Carlotta Sami, che ha evidenziato come dall’inizio 2018 “sono oltre 750 i migranti morti nel Mediterraneo”.

Non è un problema nostro, sottolineano in tanti, in troppi, è giusto ed è necessario mostrare i muscoli e chi se ne frega se per questo ne moriranno altrettanti. La vita umana da tempo non è più un valore e non solo quando ci sono di mezzo i migranti. “Pietà non è morta” scriveva con evidente e immotivato ottimismo il direttore dell’Avvenire Marco Tarquinio dopo i fatti di Avezzano.

Un paio di settimane dopo, alla luce di questa come di tante altre vicende, probabilmente è più giusto dire che “è morta e sepolta” da un pezzo…

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