C’era una volta Forca Canapine…


A quasi 2 anni dalla drammatica notte del 24 agosto 2016, siamo tornati a Forca Canapine, nella zona dove sono i rifugi Arca e Le Cese. Uno dei luoghi dimenticati del terremoto ma che conserva intatto, pur in questo stato di abbandono, il suo straordinario fascino

L’ultima istantanea che avevamo di questo splendido luogo era legata a quella maledetta notte del 24 agosto 2016. Quell’agghiacciante e terrificante boato (“l’urlo del diavolo”, come qualche giorno dopo lo definì in uno splendido articolo pubblicato su “Il Foglio” Giovanni Battistuzzi, raccontando la vicenda di un gregario di Bartali, Aldo Bini) che sembrava preannunciare la fine del mondo, così come quella sensazione (per fortuna poi rivelatasi errata) che il rifugio in cui eravamo (Rifugio Arca) stesse per crollarci addosso.

E poi ancora quel senso di smarrimento e terrore che resta anche quando l’interminabile scossa è terminata e ti rendi conto che sei stato fortunato, che quella struttura ha miracolosamente retto. Poi la folle fuga nella notte per tornare a casa, con ancora nelle orecchie quell’urlo e quella sensazione sconvolgente. Da allora sono passati quasi 2 anni (un anno e 10 mesi per l’esattezza) e per chi come noi è legato affettivamente a quei posti, quasi come una seconda “casa”, il desiderio di poterci prima o poi tornare è sempre stato un pensiero fisso. Anche perché in questi lunghi e difficili mesi Forca Canapine, che pure è a due passi dall’epicentro della prima terribile scossa, è diventato uno dei luoghi dimenticati del terremoto.

Per carità, la nostra non è in alcun modo una notazione polemica ma semplicemente una costatazione, per altro ampiamente comprensibile e giustificabile. Ci sono altri luoghi che hanno pagato un prezzo altissimo, in termini di vite umane e di danni subiti, con tutte le conseguenze pesanti che ne sono seguite. In questi lunghi e difficili mesi sono state tante le emergenze a cui far fronte (e non tutte sono state affrontate tempestivamente e nel modo giusto), sono state diverse e numerose le priorità di cui occuparsi. E, vista la situazione complessa, le difficoltà e i problemi emersi, è inevitabile che si sia pensato e si stia ancora pensando ai luoghi in cui ci sono tante famiglie e tanti cittadini che hanno perso tutto o quasi.

Ed è altrettanto comprensibile che sia stato trascurato un luogo sicuramente splendido e affascinante ma essenzialmente meta di turisti e sportivi durante tutto l’anno (in inverno era frequentato per i suoi impianti sciistici e per le sue piste, in primavera ed estate da chi ama trekking, escursionismo, alpinismo, deltaplano, parapendio, senza dimenticare, nelle stagioni estive, la presenza di astrofili e astrografi anche e soprattutto per il basso inquinamento).

Aspetti sicuramente importanti ma che, in un’inevitabile scala di priorità che la difficile situazione che si sta vivendo in queste zona dal quel dannato 24 agosto costringe a fare, non possono che essere secondari di fronte a ben altre emergenze ed esigenze vitali. Ciò non toglie, però, che è un dolore per chi ha trascorso anni in quei luoghi ed è legato a quel posto sapere che Forca Canapine da quasi 2 anni è un luogo abbandonato. E’ come se la notte del 24 agosto, quella terribile scossa di terremoto (e quelle che ne sono seguite) abbia interrotto, non si sa per quanto tempo ancora, la vita e la storia di questo splendido luogo.

Un abbandono che, per altro, in questi mesi è stato accentuato dal fatto che praticamente per lungo tempo non c’è stata la possibilità di raggiungerlo, neppure a piedi, vista la chiusura di tutte le strade che portano quanto meno ad una distanza tale da rendere plausibile l’idea di recarvisi a piedi. Poi la riapertura della strada che porta a Forca di Presta e quella che va da Norcia al Castelluccio hanno fornito quanto meno la possibilità di raggiungere la zona dove sono presenti i rifugi Le Cese e Arca a piedi, sia pure attraverso un’escursione a piedi di un paio d’ore.

Da Forca di Presta a Forca Canapine con un panorama “mozzafiato”

Un’opportunità che non potevamo non cogliere, così sabato 2 giugno, con il cuore in gola per l’emozione, siamo tornati in quei luoghi per un suggestivo “amarcord” ma anche e soprattutto per verificare le condizioni in cui versano. Lo abbiamo fatto partendo a piedi da Forca di Presta, affrontando un percorso da un punto di vista panoramico davvero unico (splendida la vista della piana del Castelluccio), reso ancora più affascinante dalla straordinaria fioritura di questo periodo. Dopo circa un’ora e mezza di cammino, ecco che finalmente da lontano si intravedono le sagome dei due rifugi. E già da quella distanza si percepisce qualcosa di particolare.

I luoghi ovviamente sono gli stessi ma per certi versi sembrano sconosciuti. Chi negli anni in questo periodo, così come ad estate inoltrata (ma anche d’inverno con gli impianti aperti) li ha sempre visti brulicare di persone, fatica quasi a riconoscerli in quella surreale e per certi versi tetra pace assoluta, determinata  dall’assenza di qualsiasi essere umano. E nell’avvicinarsi c’è un altro aspetto che salta agli occhi e che testimonia lo stato di abbandono.

L’erba decisamente alta dei prati e la fioritura particolare e così intensa che negli anni passati non era possibile ammirare. innanzitutto perché l’erba veniva tagliata ma, soprattutto, perché lì pascolavano spesso le pecore. Che, ovviamente, da quel 24 agosto non sono più tornate. Tutto ciò rende, se possibile, quel paesaggio ancora più incantevole e suggestivo e fa piangere il cuore l’idea che praticamente non possa essere goduto e ammirato da nessuno.

I due rifugi di Forca Canapine in un silenzio irreale

Arrivati nella zona dei due rifugi l’atmosfera è davvero surreale. C’è un silenzio davvero irreale, una pace un po’ sinistra e triste (forse per il ricordo di cosa è accaduto e di cosa ha determinato questa situazione). D’acchitto non si ha certo la sensazione dell’abbandono, quasi non si direbbe che la vita in questi luoghi si sia fermata quella tragica notte del 24 agosto. Nulla lascia pensare ad un senso di abbandono, ad una vista un po’ superficiale si fatica a vedere qualcosa di diverso, nelle strutture e nelle zone intorno, rispetto al pre terremoto, se non fosse per l’irreale silenzio e per il fatto che non c’è traccia di anima viva.

Anche i due rifugi a prima vista non sembrano presentare segni particolari, sono in piedi e d’acchitto non si vedono particolari che fanno ricordare lo sconquasso che c’è stato. Però, ad un osservatore attento, non possono certo sfuggire dei particolari assolutamente significativi ed emblematici. Come, ad esempio, i bidoni dei rifiuti, in particolare quello del vetro, straboccanti e probabilmente non più svuotati e ritirati da quel 24 agosto, che mostrano tutti i segni del tempo passato.

Ma anche il piazzale davanti all’ingresso del Rifugio Arca dove è cresciuta l’erba e le mattonelle quasi non si vedono più. Naturalmente anche i due rifugi, che a prima vista sembrano quasi immacolati e neppure scalfiti dalle migliaia di scosse di terremoto, in realtà i segni li presentano, e poi come. Nella facciata laterale di destra (per chi guarda) del Rifugio Le Cese sono caduti grandi pezzi di intonaco e ci sono grosse e preoccupanti crepe. Anche nella zona retrostante del rifugio c’è una piccola porzione di muro che è crollato e, subito sopra, un’altra grossa crepa. Ovviamente è impossibile capire quale possa essere la situazione dentro il rifugio stesso, ma nel complesso di certo ci si poteva aspettare qualcosa di peggio.

Il Rifugio Le Cese, per altro, fa parte dell’elenco delle opere pubbliche il cui adeguamento sismico è stato finanziato dall’ordinanza 56 del 10 maggio scorso. Situazione per certi versi simili per quanto riguarda il Rifugio Arca. A destra delle scale che portano al rifugio ci sono dei coppi e parte del comignolo caduti dal tetto. Scese le scalette l’impressione immediata è di una struttura che ha assorbito senza problemi le scosse. Osservando attentamente, però, i segni e i danni non mancano. La prima cosa che si nota è la finestra del balcone al primo piano, proprio sopra l’ingresso, divelta e sul balcone lo stipite crollato. Poco sopra una grossa crepa sul muro e, salendo ancora, si nota il tetto leggermente distaccato.

Nel lato destro della struttura, a fianco alla finestra, c’è un’altra grande crepa e a fianco si nota il distacco di qualche centimetro della parete. La parte retrostante del rifugio sembra invece immacolata, senza apparenti danni. Anche in questo caso non è possibile sapere quale sia la situazione all’interno del rifugio stesso. Quasi superfluo sottolineare che, di minuto in minuto, cresce la malinconia e ogni minimo rumore (il vento, il passaggio di un aereo, il verso in lontananza di qualche animale) che rompe quel surreale silenzio fa sobbalzare e, al tempo stesso, fantasticare.

Seduti su quelle panche all’esterno del rifugio sembra quasi di sentire il rumore di un’auto che sale, che sta arrivando. E inevitabilmente la mente suggerisce immagini di un rifugio vivo e pieno di persone, con in lontananza le auto parcheggiate davanti e le roulotte dietro al Rifugio Le Cese. Ricordi struggenti ma anche la speranza che prima o poi questa possa tornare ad essere la realtà. Non sarà facile e ci vorrà sicuramente del tempo, probabilmente molto tempo.

Ma allontanandoci da quei luoghi con la tristezza nel cuore ci piace pensare, o più semplicemente illuderci, che vivremo nuovamente concretamente (e non solo nei ricordi o nella speranza) situazioni come quelle. E che prima o poi quel “c’era una volta Forca Canapine” si trasformi in “c’è ancora Forca Canapine”…

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