Contagiati dal virus della disumanità


“Pietà non è morta” scrive il direttore dell’Avvenire Marco Tarquinio. Ma i commenti sempre più violenti e intrisi di odio e vendetta che si leggono sui social in occasione di tragedie come quella di Francavilla, di Augusta, di Bolzano fanno pensare esattamente il contrario

Chissà cosa penserebbe Ugo Foscolo, se fosse ancora in vita, dell’Italia di oggi, scossa dai tragici eventi di questi ultimi giorni. Una società che non ha il rispetto per i morti tra i suoi valori spirituali più preziosi e più largamente condivisi non merita di sopravvivere, sosteneva il poeta e scrittore ne “I Sepolcri”.

Negli anni passati, soprattutto in relazione ad alcuni fatti molto cruenti della nostra storia, si era spesso discusso di cosa significhi e come dovrebbe manifestarsi questo sentimento. Si è spesso citato, in proposito, la vicenda del feroce Achille che pure aveva giurato ad Ettore morente di lasciare il suo corpo in pasto alle belve feroci, ma poi aveva restituito il cadavere al vecchio re di Troia Priamo perché potesse onorare degnamente il figlio morto. Stessa umana “pietas” non avevano, invece, avuto i partigiani con i corpi esanimi di Mussolini, la Petacci e gli altri gerarchi fascisti, dileggiati, insultati e umiliati a Piazzale Loreto.

Erano tempi difficili quelli, si era reduci da una sanguinosissima guerra mondiale e da una guerra civile che avevano seminato troppe vite umane, troppo odio e nelle quali erano state scritte pagine di assoluta crudeltà e violenza e, quindi, forse sarebbe stato troppo attendersi quel sentimento di umanità. La nostra società attuale, almeno per quanto riguarda il nostro paese, fortunatamente da anni non vive l’esperienza drammatica di una guerra.

Eppure quel senso di umana pietas, quel sentimento di umanità sembrano ormai smarriti, nei confronti dei vivi ma anche dei morti. E in una società sempre più virtuale che reale, certi indegni scempi, la mancanza del minimo rispetto nei confronti anche dei defunti si manifesta in particolare in quell’enorme piazza virtuale che è rappresentata dall’infinito mondo del web.

Non c’era certo bisogno della tragica vicenda di Francavilla per scoprirlo, ma in quelle ore, nei giorni successivi a quell’immane dramma si è davvero toccato il fondo. Non da meno, in realtà, è stato però leggere nei giorni scorsi (ma, purtroppo, non è certo una novità) alcuni vergognosi commenti sulla notizia dello sbarco di un centinaio di migranti ad Augusta, soccorsi in mare da una nave spagnola che però non è riuscita ad evitare la morte di alcuni loro.

E, in questo caso, non sono certo in discussione le legittime opinioni di ciascuno sul problema dei migranti, semplicemente non è accettabile leggere chi si dichiara dispiaciuto perché non abbiano fatto tutti la stessa fine di quei poveracci che non ce l’hanno fatta, non fermandosi neppure di fronte al fatto che in quel barcone c’erano tanti bambini. In una deriva sempre più vergognosa ormai non ci si ferma di fronte a nulla, neppure di fronte alla memoria di chi ha pagato con la vita l’aver combattuto e non essersi piegato di fronte alle minacce della mafia.

Nel bailamme che ha fatto seguito alle ultime vicende politiche in tanti, in troppi non si sono fatti scrupolo neppure di infangare la memoria del fratello di Sergio Mattarella, ucciso dalla mafia, pur di colpire e di insultare l’attuale presidente della Repubblica. E anche in questo caso, naturalmente, non è certo in discussione la legittima opinione che ognuno ha in merito alla vicenda e al comportamento di Mattarella stesso.

Nulla che però possa giustificare un simile livello di bassezza e di ignobiltà, quel che è peggio giudicati con estrema benevolenza da troppi, come se il livello sempre più alto dello scontro politico possa in qualche modo giustificare simili nefandezze. Potremmo continuare a lungo a citare esempi del genere, nelle stesse ore in cui si consumava il dramma di Francavilla, a Bolzano qualcuno ha fatto esplodere un ordigno al cancello di entrata del centro di accoglienza di Appiano che ospita 39 richiedenti asilo. E, immediatamente, sui social sono spuntati gli anatemi di chi si dichiarava dispiaciuto per il fatto che ci fossero stati solo danni alla struttura e non anche agli ospiti.

Per non parlare dell’orribile articolo, condiviso e sostenuto da un numero crescente di persone, scritto da Filippo Facci sulla vicenda del mega risarcimento ottenuto negli Stati Uniti da una ragazza abusata sessualmente quando aveva appena 14 anni.

Pietà non è morta” scrive il direttore dell’Avvenire, Marco Tarquinio difendendo e sostenendo convintamente (e giustamente, aggiungiamo) il contenuto dell’articolo di Marina Corradi (“La tragedia tre volte mortale di Francavilla a Mare. L’ultima battaglia di un uomo”) che volge uno sguardo pietoso e descrive con umana pietas l’evolversi del dramma di quell’uomo “straziato dal male che lui è”. Però la sensazione che, invece, “pietà è morta”, che ormai si è perso anche l’ultimo barlume di umanità l’abbiamo avuta nelle drammatiche ore di domenica pomeriggio (20 maggio), quando ancora quella tragedia si stava consumando. Siamo rimasti colpiti e inorriditi dal clima che si registrava sui social.

Nel momento in cui Fausto Filippone aveva già gettato la figlioletta dal viadotto, mentre era in bilico aggrappato alla rete di recinzione, nelle stesse ore in cui c’era chi sul posto si prodigava per tentare di evitare che anche lui si gettasse nel vuoto, sui social si è scatenato un inverecondo e disgustoso tifo da stadio, con un numero crescente e imbarazzante di persone che incitava l’uomo a compiere l’estremo gesto o che comunque si augurava che quella fosse la fine di questo dramma della follia. Insieme all’inevitabile dolore lancinante che ogni essere umano dotato anche solo di un briciolo di sensibilità e umanità ha provato di fronte a questa sconvolgente tragedia, in quei frangenti siamo stati assaliti da una disperata rabbia nel constatare che razza di società sia diventata la nostra.

Uno squallore infinito, abbiamo perso ogni freno inibitore, ogni barlume di umana “pietas”, siamo precipitati in un abisso di disumanità, nel quale non c’è spazio per alcun tipo di sentimento. Certo, non c’è (non ci sarebbe…) bisogno neppure di sottolinearlo, è raccapricciante pensare ad un padre che uccide la propria figlioletta di 10 anni (e, anche se in quelle ore ancora poco si sapeva, ora è forte il sospetto che precedentemente avesse ucciso anche la compagna).

Ma non lo è meno (almeno dal nostro punto di vista) la crudezza di quegli orribili incitamenti, quell’augurarsi che presto anche lui la facesse finita. Forse sarebbe troppo aspettarsi un minimo di pena per chi si è macchiato di una simile nefandezza. Ma è terrificante non leggere in quella pioggia di post violenti che trasudano vendetta e morte neppure un pensiero pietoso, una riflessione triste e angosciante sulla disperata follia omicida che lo ha colpito, su quale incredibile tempesta può averla messa in moto.

Nulla, anzi, negli stessi minuti in cui (come poi si apprenderà dalla drammatica cronaca di quelle ore) con lo sguardo rivolto nel vuoto Filippo Filippone stava urlando (non si capisce bene se alla figlia uccisa o a chi altri) un disperato “scusa, scusa”, sordo alle parole di chi cercava di farlo desistere da quel finale scritto e inevitabile, c’era chi, sempre dalla piazza virtuale assetata di sangue dei social, si rammaricava di non poter essere materialmente sotto quel viadotto, insieme ad una folla di improbabili “giustizieri”, ad urlare a quel disperato di buttarsi, di ammazzarsi. Un orrore, ma come siamo potuti arrivare così in basso?

Qualcuno nelle ore successive ha provato a spiegare, a minimizzare parlando di reazione forte ma emotiva alla tragica vicenda, alla terribile e inaccettabile idea di un padre che stabilisce e mette in atto una fine così atroce per la sua figlioletta. Ma nei giorni seguenti la situazione non è certo migliorata, anzi, per certi versi si è addirittura deteriorata.

Con attacchi violenti e insopportabili nei confronti di chiunque (pochissimi, per la verità) si azzardava a manifestare una sorta di umana pietas (che, non bisognerebbe neppure specificarlo, non vuole assolutamente dire simpatizzare o in qualche modo giustificare) per quell’uomo, magari soffermandosi a cercare di capire (per quanto possibile) cosa è accaduto, cosa ha sconvolto improvvisamente la vita di quell’uomo, per chi manifesta pena anche nei suoi confronti.

Ci vuole una interiorità molto alta per capire il dramma di chi si macchia di sangue” ha scritto qualche giorno dopo, sempre sull’Avvenire, l’assessore alle pari opportunità del Comune di San Benedetto Antonella Baiocchi. Già, ma nella nostra società l’interiorità è fuori moda, ormai sembra esserci spazio solo per sentimenti di vendetta, anche in forma crudele e violenta. Che non si ferma e non si attenua neppure di fronte a simili tragedie.

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