“Cosa indosso? La libertà”, in piazza contro le violenze sulle donne


Sabato 30 settembre in 81 città le donne scendono in piazza, su iniziativa del segretario della Cgil Susanna Camusso, per ribadire che in alcun modo il loto abbigliamento può in qualche modo essere messo in relazione con un abuso o una violenza sessuale

In principio furono i jeans. Era il 1999 quando la Cassazione scrisse una delle pagine più nere della giustizia italiana (purtroppo, poi, in tema di stupri ce ne saranno altre dello stesso tenore se non peggiori…), annullando una condanna per stupro di un 45enne perché la vittima indossava i jeans e, dunque, secondo la singolare tesi dei giudici l’uomo non avrebbe potuto sfilarli senza il suo consenso.

Nel 2010, poi, il sindaco di Castellammare di Stabia, in un imbarazzante regolamento di polizia municipale, per motivi di sicurezza provò a vietare minigonne e abiti succinti. Un anno dopo il sindaco di Roma Gianni Alemanno, in una pubblicazione che doveva essere dedicata alla sicurezza delle donne romane (“Vademecum per la tua sicurezza”) ripeteva la tipica becera raccomandazione vagamente sessista “evita di vestirti in modo vistoso e provocante”.

Nei giorni scorsi, poi, nel pieno della discussione sui recenti fatti di cronaca su abusi e violenze sessuali subite da alcune donne in Italia, ecco la terrificante teoria esposta dal senatore di Ala Vincenzo D’Anna. “Non giustifico gli stupratori – afferma – darei 30 anni di carcere in queste circostanze, ma serve maggiore cautela da parte delle donne. Se cammina un uomo solo alle tre di notte non gli succede niente, se cammina una bella ragazza, magari vestita in modo provocante e si trova in determinati ambienti si espone.

Le donne devono pensare che c’è gente in giro che può fargli del male, hanno un appeal che è diverso dagli uomini, potrei parlare degli ormoni, dell’aggressività. Certe volte un tipo di abbigliamento, un tipo di contesto fa pensare a dei soggetti che siano una manifestazione di disponibilità da parte della donna. Io non sono maschilista, ma il corpo della donna è oggetto e fonte di desiderio da parte dell’uomo. E’un istinto, sarà primordiale, sarà ancestrale, quello che volete. Molte volte servirebbe un minimo di cautela”.

In realtà di cautela e di pazienza ce ne vogliono molto più che un minimo per evitare di spiegare l’istinto primordiale che ci scatenano simili affermazioni (e non osiamo immaginare che tipo di istinto possa scatenare in una donna…). E’ incredibile, siamo nel 2017 e ancora bisogna sentir parlare di simili idiozie sull’abbigliamento delle donne, come se questo aspetto in qualche modo possa anche minimamente anche solo costituire un’attenuante.

Non è possibile che ancora oggi si debba ribadire che le donne, tutte le donne, hanno il sacrosanto diritto di vestirsi e di indossare sempre e comunque ciò che vogliono, che in alcun modo il loro abbigliamento può e deve anche solamente essere messo in relazione con il verificarsi di un abuso, di una violenza. Non ce ne dovrebbe essere bisogno ma evidentemente non è così. Per questo sabato prossimo 30 settembre le donne scenderanno in piazza per ribadire il diritto a questa forma di libertà.

“Cosa indosso? La libertà” è il titolo della manifestazione promossa dal segretario generale della Cgil Susanna Camusso contro le violenze sulle donne, la depenalizzazione dello stalking, la narrativa con cui stupri e omicidi diventano processo alle vittime. “Il linguaggio utilizzato dai media – si legge in una nota della Cgil – e il giudizio su chi subisce violenza, su come si veste o si diverte rappresenta l’ennesima aggressione alle donne. Così come ricondurre questi drammi a questioni etniche, religiose o a numeri statistici toglie senso alla tragedia e al silenzio di chi l’ha vissuta. Reagiamo con la forza della nostra libertà all’insopportabile oppressione del giudizio su come ci vestiamo o ci divertiamo.

Ci vogliamo riprendere il giorno e la notte perché non c’è un mostro o un malato in agguato ma solo chi vuole il possesso del nostro corpo, della nostra mente, della nostra libertà. Non ci sono mostro o malati ma solo il rifiuto di interrogarsi, il chiamarsi fuori che alla fine motiva e perpetua la violenza”. Quello sull’abbigliamento femminile in relazione alle violenze è in realtà un tema da tempo al centro della discussione.

In questi giorni, ad esempio, una suggestiva mostra d’arte è in corso presso l’Università del Kansas. “Cosa indossavi” è il titolo dell’esposizione che illustra 18 storie di violenza sessuale attraverso i vestiti che le vittime portavano al momento dell’aggressione sessuale con il chiaro intento di sconfiggere questa leggenda. Il progetto d’arte è partito nel 2013 per opera del Centro per la prevenzione e formazione sessuale di Kansas, Jen Brockman, e dalla sovrintendente del centro di educazione contro gli stupri dell’Università dell’Arkansas, dott.ssa Mary A. Wyandt Hielbert.

Alcuni giorni fa, poi, anche la presidente della Camera Laura Boldrini ne aveva parlato, nell’ambito di un intervento più ad ampio raggio sul problema delle violenze sessuali. “In questa legislatura ci siamo occupati, e anche molto, di questo tema – sosteneva la Boldrini – ma evidentemente c’è ancora tanto da fare, su tutti i fronti. Per questo rivolgo un appello alle forze politiche perché in questa legislatura si approvi un provvedimento che aumenti la protezione e le tutele per le vittime e migliori l’efficacia delle misure interdittive contro i violenti. Troppo spesso, infatti, le donne hanno denunciato e nulla è accaduto. Oltre alle leggi, però, serve lavorare sulla dimensione culturale e sociale.

Credo che bisogna aiutare i giovani a rispettarsi reciprocamente e che l’educazione di genere debba iniziare dalle scuole e in famiglia. E trovo assurdo sentire argomentazioni come: “Se una donna si veste in un certo modo provoca”. Dovremmo invocare l’uso del burqa? Le ragazze devono essere libere di abbigliarsi come vogliono. Non è accettabile che la responsabilità delle violenze ricada sulle vittime per il loro modo di vestire”.

Tornando alla manifestazione promossa dalla Cgil, l’evento coinvolgere ben 81 piazze italiane. Ad Ascoli l’appuntamento è in piazza Ventidio Basso alle 18. Oltre Ascoli Piceno l’iniziativa interesserà altre 4 piazze delle Marche: piazzale Lazzarini Pesaro (ore 18), Corso Matteotti Jesi (ore 17:30) piazza XX Settembre e corso Matteotti Civitanova (flash mob ore 18) e piazza del Popolo Fermo (ore 17:30).

Le parole sono armi, sono pesanti lascino tracce profonde e indelebili – conclude il documento della Cgil – determinano l’humus in cui si coltiva la legittimità della violenza, la giustificazione dell’inversione da vittima a colpevole. Chiediamo a tutti, pesate le parole. Sappiate che non si può cancellare la nostra libertà

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