L’elogio della disumanità e dell’ipocrisia


Polemiche per la posizione dell’Anpi contrario alla targa ricordo per Giuseppina Ghersi, la ragazzina di 13 anni di Noli uccisa da un gruppo di partigiani, Peccato, però, che molti di coloro che invocano umanità per la 13enne inneggino, poi, ai forni crematori per il padre di Fiano

Giuseppina Ghersi era una ragazzina di 13 anni  quando, sul finire della seconda guerra mondiale, è stata barbaramente uccisa, probabilmente dopo essere stata anche violentata, da un gruppo di partigiani. Intorno alla sua vicenda, in realtà, c’è molta incertezza ma un paio di certezze sono comunque indiscutibili: che aveva 13 anni e che la brutalità con la quale le è stata tolta la vita non ha alcuna giustificazione. Nedo Fiano, invece, è un “sopravvissuto” di quella guerra ed ora ha 90 anni.

Ha vissuto l’orrore del campo di concentramento,  quello di Auschwitz, dove è finito, insieme a tutta la sua famiglia (12 persona) dopo essersi a lungo nascosto. Lui e i suoi familiari avevano la “grave colpa” di essere ebrei. Fu scovato e arrestato da alcune pattuglie fasciste che, poi, lo consegnarono insieme ai suoi familiari ai nazisti che li portarono ad Auschwitzi. Per una serie di circostanze fortuite è riuscito a salvarsi ma della sua famiglia è stato l’unico a tornare vivo dal campo di concentramento.

A 70 anni di distanza le loro storie sono tornate di attualità, purtroppo nel modo peggiore, divenendo oggetto della brutalità, della vergognosa disumanità di chi ormai ha perso il senso della ragione. Al punto che sono diventate la più emblematica e sconcertante dimostrazione di come la spirale di odio in cui è sprofondato questo paese stia travolgendo tutto e tutti,  di come stiano cadendo anche gli ultimi baluardi di quella che può essere definita una convivenza civile. E, in più, di come ormai certi valori non siano più considerati comuni ma siano validi e reclamabili solo ed esclusivamente per la propria parte, per la propria fazione, mai per i cosiddetti avversari.

Per questo, pur con tutto il rispetto che si deve a chi allora ha combattuto per  liberare il nostro paese e con tutta la sincera ammirazione che merita chi ha fatto la scelta giusta (perché, bando alle ciance e ai patetici tentativi di revisionismo postumo di chi non conosce o finge di non conoscere la storia, non ci possono essere dubbi su quale fosse allora la parte giusta e la parte sbagliata), sinceramente non riusciamo a comprendere la posizione dell’Anpi (l’associazione nazionale partigiani) che ha manifestato con veemenza la propria contrarietà all’ipotesi di dedicare a Giuseppina una targa nel suo paese di origine (Noli, in provincia di Savona).

Parole veementi e del tutto fuori luogo quelle pronunciate dall’Anpi, prive di umanità nei confronti di chi, per la sua giovanissima età, non può certo essere messa alla stregua di adulti consapevoli che, in piena coscienza, hanno fatto la “scelta sbagliata”. Saremo dei poveri illusi, ma  invece  di questa dura reazione ci saremmo aspettati una diversa considerazione per l’atroce fine riservata a quella ragazzina, che non può in alcun modo essere giustificata dal clima avvelenato che c’era nella parte finale della seconda guerra mondiale, nel periodo in cui Noli è stato liberato dal terrore nazi-fascista.

Erano, appunto, i giorni della liberazione quando si è compiuta la tragedia di Giuseppina Ghersi. Erano giorni di gioia per la fine della guerra e dell’occupazione, ma erano anche giorni di rabbia cieca, caratterizzati dal desiderio di vendetta. Nella provincia di Savona, in particolare, lo scontro era stato durissimo, la rappresaglia nazi-fascista era stata particolarmente sanguinaria. Tantissimi i ragazzi, i giovani partigiani del luogo caduti nei combattimenti, si  calcola che siano stati circa 500. Altrettanti, però, i giovani uccisi per rappresaglia, barbaramente giustiziati dai  nazisti e dai fascisti della repubblica di Salò. Rappresaglie favorite e aiutate dalle famiglie fasciste del luogo che non si sono fatte scrupolo di aiutare e consegnare ai nazisti il proprio vicino, ragazzi che magari erano cresciuti insieme ai loro figli.

Nei giorni della liberazione, in chi è sopravvissuto covava forte il desiderio di vendetta, si moltiplicavano le esecuzioni nei confronti dei concittadini fascisti, accusati o anche solo sospettati di aver collaborato e preso parte alle rappresaglie naziste. Purtroppo sono le conseguenze di una dura e lunga guerra, per quanto tutto ciò visto ora in tempi di pace possa sembrare brutale e anche raccapricciante, ci rendiamo conto che fosse quasi inevitabile che accadesse. “Eravamo alla fine della guerra, è ovvio che ci fossero condizioni che oggi possono sembrare incomprensibili” sostiene Samuele Rago presidente provinciale dell’Anpi.

Affermazione che in assoluto si può anche comprendere ma che suona terrificante nel momento in cui viene utilizzata anche per spiegare e giustificare ciò che, quali che fossero le condizioni di fine guerra, non può in alcun modo essere compreso e giustificato: la brutale uccisione di Giuseppina Ghersi. Che aveva 13 anni e solamente la “grave colpa” di essere figlia di una famiglia profondamente fascista, che probabilmente si era macchiata di indegnità, aiutando i nazisti nelle rappresaglie.

Ma Giuseppina era una bambina, viveva qualcosa più grande di lei e nulla al mondo può giustificare un simile atto barbaro, brutale, disumano. E non ha alcun senso neppure discutere, come sta accadendo in questo giorni, se sia vero o no che era un’affiliata alle Brigate nere (si dice come mascotte), se davvero nel gennaio 1945 avesse scritto una lettera inneggiante a Mussolini, ricevendo un messaggio di plauso dalla segreteria del duce. Qualunque cosa avesse fatto Giuseppina aveva 13 anni e i suoi carnefici sono state delle bestie indegne di essere considerati degli uomini. E, ci spiace davvero dirlo, indegne sono anche le parole pronunciate in questi giorni dall’Anpi di Savona contro l’iniziativa che, è giusto ricordarlo, è stata promossa da un consigliere comunale del centrodestra figlio di un partigiano e da un sindaco medaglia d’oro per la resistenza.

La pietà per una vita violata e stroncata – ha scritto l’Anpi di Savona – non allontana la sua responsabilità per la scelta di schierarsi ed operare con accanimento a fianco degli aguzzini fascisti e nazisti che tante sofferenze e tanti lutti hanno portato anche nella città di Savona e nella provincia”. Sono parole che pesano come macigni, che colpiscono per la totale assenza anche di un briciolo di umanità, che evidenziano come 70 anni dopo ancora il sentimento di odio è così forte da offuscare la mente, tanto da non rendersi conto che certe parole, certi termini non hanno senso se rivolti ad una ragazzina di 13 anni.

Il fascismo è il male peggiore che il nostro Paese ha subito” conclude il comunicato dell’Anpi che, da questo punto di vista, ci sentiamo pienamente di sottoscrivere. In un paese normale non ci sarebbe neppure il bisogno di ricordarlo, nell’Italia dove la memoria storica è un optional e nella quale la distorsione delle vicende storiche è all’ordine del giorno è più che opportuno ricordarlo con una certa frequenza. Ma di certo neppure questa indiscutibile verità può in alcun modo giustificare e rendere meno terrificante e disumano il crimine (perché tale è da considerare) commesso dai partigiani comunisti nei confronti di quella bambina 13enne.

Una macchia indelebile che un diverso atteggiamento ora certamente non avrebbe cancellato ma che almeno avrebbe restituito un briciolo di umanità ad una storia terribile. Che dopo 70 anni, per giunta, doveva e poteva rappresentare un passo importante non per revisionare nulla ma per provare a riaffermare la condivisione di certi valori di umanità che dovrebbero essere patrimonio di tutti. E anche un valido esempio da opporre a coloro che invocano in questa vicenda quell’umanità che loro stessi non conoscono, che neppure sanno cosa vuol dire.

Parliamo, in particolare di quella larga fetta di chi, mentre accusa di disumanità l’Anpi, al tempo stesso non si fa scrupolo di riservare il peggior trattamento disumano possibile ad Emanuele Fiano (il deputato del Pd che ha presentato la legge sull’apologia del fascismo) e suo padre Nedo, scampato per miracolo dal campo di concentramento di Auschwitz. “E’ stato uno sbaglio non mettere il padre nel forno”, “E’ un peccato che una delle 12 canaglie giudaiche sia tornata viva da Auschwitz e abbia anche procreato un altro verme giudaico”. Questi sono solo alcuni dei commenti che si possono leggere in una pagina facebook che solo poche ore prima invocava rispetto per Giuseppina.

Non è questa la sede e non è certo opportuno discutere in questo contesto della proposta di legge presentata da Fiano. Ci preme solo evidenziare che chi si rende protagonista di simili nefandezze non è poi neppure degno di invocare umanità e rispetto. Termini il cui significato purtroppo sfugge ad un sempre maggior numero di persone nel nostro derelitto paese…

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