Tutta colpa dei genitori


Da mesi è in atto un vero e proprio “tiro al bersaglio” da parte delle altre agenzie educative (scuole, associazioni sportive, istituzioni religiose) secondo cui la maggior parte dei problemi dei più giovani sono causati dai genitori. Che sicuramente hanno le loro colpe ma di certo non sono gli unici da rimproverare…

Chiedete ad un insegnante. Vi dirà che il vero nemico quotidiano del suo lavoro non sono gli studenti indomiti, i tagli di un nuovo ministro o il cattivo stato delle strutture scolastiche. Ma i genitori. E’ tutta colpa loro se, oggi più di ieri, i ragazzi studiano poco, studiano male, non studiano affatto. Se è impossibile parlare con loro, farsi ascoltare, stabilire le regole e farle osservare. E’ colpa loro se il ruolo e l’identità degli insegnanti sono stati degradati, la loro autorità delegittimata, la loro professionalità vilipesa”. Così Antonella Landi, la “prof con gli anfibi”, presentava qualche anno fa “Tutta colpa dei genitori. La versione della Profe”.

Un libro che fu accolto dalla critica molto favorevolmente ( “E’ un libro da consigliare a tutti. Il vero riformismo è quello di riformare i genitori” scriveva allora il Corriere della Sera), a dimostrazione di come già allora stesse covando un sentimento di avversione “a prescindere” nei confronti dei genitori. Succede sempre così in Italia, mai una volta che assistiamo ad una seria assunzione di responsabilità, le colpe se qualcosa non funziona sono sempre di altri. E cosa c’è di meglio in queste circostanze che prendersela con i genitori?

Magari, con un’ulteriore buona dose di qualunquismo, aggiungendo il refrain, tipico di chi ha dimenticato che un tempo è stato anche lui giovane, che “i giovani di oggi sono quanto di peggio ci possa essere”, naturalmente “per colpa dei genitori che non sono più capaci di svolgere il proprio ruolo”. Sono i soliti atteggiamenti di comodo tipicamente italiani, utili per scaricare su altri responsabilità che sono anche e soprattutto proprie, ma che poi fanno si che non si affrontino mai (e quindi non si risolvano) concretamente i problemi. In questo caso, però, la cosa è decisamente più grave perché questo atteggiamento qualunquistico arriva dalle altre agenzie educative (scuola, associazioni sportive, istituzioni religiose) che così cercano di nascondere ma, soprattutto, evitano di interrogarsi seriamente sulle proprie debolezze, sui propri errori, sulle proprie carenze.

Si erige un muro, ci si trincera dietro una comoda e aprioristica difesa della propria categoria (come avviene sempre per ogni categoria, dai giornalisti agli avvocati, dai medici ai magistrati, ecc.) scaricando tutto sulla parte più debole, quella che ha meno possibilità di difendersi. In realtà le critiche ai genitori da certi ambienti non sono certo una novità, spesso gli si rimprovera tutto e il contrario di tutto “troppo permissivi”, “troppo autoritari”, “troppo assenti”, “troppo asfissianti” ecc. Nulla di strano, è la norma, già Freud sosteneva che quello dei genitori è uno dei due mestieri fallimentari (provate ad immaginare quale possa essere l’altro…). Ma da alcuni  mesi si assiste quasi quotidianamente ad una sorta di “tiro al bersaglio”, più vengono alla luce le varie problematiche delle generazioni più giovani e più si alza il tiro contro i genitori, unici responsabili di tutto ciòche non funziona.

Negli ultimi mesi su giornali, tv, sul web, sui social abbiamo assistito ad un vero e proprio attacco concentrico, con docenti, dirigenti scolastici, letterati, pseudo esperti del settore ma anche giornalisti, opinionisti, dirigenti di società sportive, allenatori e, addirittura, anche vescovi e sacerdoti che finalmente hanno trovato su chi scaricare la responsabilità di tutto. La scuola non funziona e i nostri studenti sono tra i meno preparati nel panorama europeo? I ragazzi studiano poco e male e gli insegnanti faticano a farsi ascoltare e rispettare? La colpa è di chi li ha messi al mondo e li ha cresciuti, padri e madri. Nelle scuole italiane la bocciatura di fatto è bandita e la mediocrità dilaga? Naturalmente la colpa è dei genitori che giudicano  l’operato degli insegnanti e “entrano a gamba tesa alle riunioni o al ricevimento insegnanti”.

La pratica sportiva non riesce più ad essere educativa e formativa, non solo da un punto di vista tecnico? E di chi altri potrebbe essere la colpa se non dei genitori che interferiscono e non accettano le decisioni degli allenatori. E vogliamo, poi, parlare degli oratori, delle chiese, delle associazioni religiose che sono sempre meno frequentate dai ragazzi? Non c’è certo bisogno neppure di riflettere, sappiamo tutti chi è responsabile! In questa incredibile “caccia alle streghe” spesso si sconfina nel paradosso, nel ridicolo,con tesi accusatorie che rasentano la follia. Come quella sostenuta da qualche “illuminato” giornalista in piena emergenza terremoto secondo cui, se le nostro scuole sono in questo stato pietoso, in fondo la responsabilità è anche dei genitori che negli anni passati non si sono preoccupati del problema.

Per non parlare delle discussioni che si sono scatenate in questi giorni sul “Blue Whale”, tra tesi contrastanti (tra chi sostiene che è una “bufala” e chi, invece, una vera emergenza) che, però, alla fine trovano tutti d’accordo quando bisogna sottolineare le gravi responsabilità di “questi genitori che non sono neppure in grado di prestare attenzione ai propri figli”. L’apice (o forse sarebbe più giusto dire il punto più basso) l’ha, però, toccato l’arcivescovo di Ferrara, monsignor Luigi Negri, nel suo sconcertante intervento dopo l’attentato alla Manchester Arena. In teoria si starebbe parlando di terrorismo, ma monsignor Negri è interessato ad altro, a demolire e stigmatizzare i genitori che, a suo dire, spesso hanno messo al mondo figli “neanche desiderati” e ai quali non hanno dato “ragioni adeguate per vivere”. “Siete cresciuti così – ha aggiunto – ritenendo ovvio che aveste tutto. E quando avevate qualche problema esistenziale e lo comunicavate ai vostri genitori era già pronta la seduta psicanalitica per risolvere questo problema”.

Siamo davvero al limite della follia, è un eufemismo dire che si sta decisamente esagerando. Proviamo ad analizzare meglio le cose, partendo da un paio di doverose precisazioni. E’, infatti, opportuno sottolineare come non è certo una novità quella di denigrare le nuove generazioni. E’ accaduto ai nostri padri con i nostri nonni, è accaduto a noi con i nostri padri, accade ora ai nostri figli con la nostra generazione. E’ un atteggiamento tipico caratterizzato da un misto tra nostalgia e invidia, determinato dal fatto che facciamo presto a dimenticare di essere stati anche noi giovani, con tutte le contraddizioni, i limiti, gli errori che si commettono in quell’età, che tendiamo sempre ad idealizzare il nostro passato, dimenticando in fretta cosa abbiamo realmente fatto in quegli anni e illudendoci che all’epoca noi eravamo molto più maturi e responsabili rispetto ai giovani di oggi.

Che invece, naturalmente con le inevitabili differenze determinate dall’evoluzione dei tempi, sono come i giovani di allora e di prima ancora, con gli stessi slanci, gli stessi entusiasmi, la stessa esuberanza ma anche con gli stessi limiti, gli stessi difetti tipici dell’età. Non sono peggiori di noi e comunque non possiamo certo dimenticare che se sono in questo modo è anche e soprattutto frutto della società che noi abbiamo costruito. C’è, poi, da sottolineare come sia assolutamente banale e superficiale continuare a generalizzare, continuare a giudicare e attribuire etichette “per categoria”.

E’ ridicolo ostinarsi a formulare giudizi perentori e generalizzati sui genitori, così come lo è per qualsiasi categoria. Esistono genitori inadeguati e genitori assolutamente seri e scrupolosi, esistono genitori incapaci, invadenti, deleteri per i propri figli ma esistono ugualmente genitori in gamba, rispettosi dei ruoli, capaci di crescere in maniera adeguata i propri figli. Così come esistono insegnanti incapaci e superficiali e insegnanti validi, attenti e scrupolosi. E’ banale e superficiale generalizzare e dare giudizi per “categorie”. A tal proposito il vero e proprio trionfo della banalità e della superficialità è a mio avviso il lungo post che, come è di moda dire ora, è subito diventato “virale” e da mesi impazza sui social. Una specie di motto,  di manifesto contro i giovani di oggi e i loro genitori, condiviso con entusiasmo da schiere di insegnanti, dirigenti scolastici, allenatori, dirigenti di società.

Un applauso a noi – c’è scritto – che da piccoli facevamo tutti i compiti, che se prendevamo una nota ci davano il resto a casa e poi forse ci lasciavano spiegare. Che se un educatore  (maestra, coach, catechista, non importa) si incazzava con noi, era comunque colpa nostra, poi al massimo si vedeva. Che nessuno si preoccupava di mandarci dal neuropsichiatra infantile per una pagina di storia da studiare, o perché l’allenatore di calcetto ci metteva sempre in panchina. Perché ci dicevano, semplicemente, che in panchina ci stavamo perché eravamo pippe e il due a scuola l’avevamo preso perché eravamo ciucci. E non c’è niente di male ad essere pippe e ciucci. È un punto di partenza. Da cui si può sempre andare avanti, tra l’altro. Ma crescere i figli nelle campane di vetro, prendersela con gli insegnanti, la scuola, gli alieni, le scie chimiche, Superman che è diventato cattivo, di certo è molto, ma molto peggio. Stiamo creando adulti che non sanno accettare le sconfitte e non sanno cavarsela da soli”.

Sarebbe sin troppo semplice liquidare ogni discorso sottolineando come i giovani che sono cresciuti con quei metodi educativi sono ora diventati quegli adulti e quei genitori che tanto sono stigmatizzati in quel post. In altre parole si esalta un metodo educativo che avrebbe creato dei “mostri”, non bisogna essere dei geni per constatare che c’è qualcosa che non quadra. Ma, al di là di questa scontata considerazione, è assolutamente anacronistico rimpiangere un modello educativo vecchio e, dal punto di vista pedagogico, assolutamente inadeguato. E che, oltretutto, basava le sue fondamenta esclusivamente sul concetto di autorità e non certo su quello di autorevolezza.

Chi sostiene di preferire quei tempi, dimentica o finge di dimenticare che quella che si rimpiange è, ad esempio, una scuola nella quale erano ancora fortemente presenti discriminazioni sociali (che, secondo un’indagine realizzata da “Almadiploma” non sono state ancora completamente superate, visto che tuttora quasi il 50% di chi si diploma al liceo proviene da famiglie di classe sociale considerata elevata), in cui non a tutti i ragazzi erano date in partenza le stesse possibilità e non tutti i ragazzi erano trattati allo stesso modo. Non solo, quella era una scuola che ignorava completamente l’incidenza che potevano avere sui ragazzi alcune problematiche allora praticamente sconosciute (come tutti i disturbi legati alle Dsa), che se ne fregava di cercare di coinvolgere e invogliare anche quei ragazzi, quegli alunni che potevano sembrare meno interessati, meno propensi allo studio e meno portati ad apprendere. E che,quindi, trovava molto più semplice catalogarli sbrigativamente come “ciucci”.

Era una scuola dove il comportamento dell’insegnante (che è altra e ben distinta cosa dal metodo di insegnamento) era sempre e comunque insindacabile, qualunque cosa accadesse, anche di fronte a palesi abusi e ingiustizie. Davvero si può aver nostalgia o rimpiangere un simile sistema educativo? Non solo, anche il tessuto sociale con il quale la scuola si confrontava era completamente differente. La cultura media dei genitori degli alunni di allora era sensibilmente più bassa, oggi è molto più elevata la percentuale di mamme e papà non solo diplomati ma anche laureati. Per non parlare, poi, di quanto più approfondita sia oggi tra i genitori stessi la conoscenza di determinate tematiche fondamentali nell’ambito del sistema educativo connesso al mondo della scuola.

Questo, naturalmente, non vuole in alcun modo dire che allora i genitori sono autorizzati ad intervenire sempre e comunque, ad interferire su ogni aspetto didattico, su tutto quanto accade in ambito scolastico. E’ giusto e assolutamente necessario che ognuno svolga autonomamente e senza interferenze il proprio ruolo. Ma se oggi si accetta e si ammette che lo Stato ha il diritto, anzi il dovere, di valutare  le capacità genitoriali dei genitori stessi e, laddove se ne ravveda la necessità, addirittura di intervenire anche con decisioni drastiche (compreso l’allontanamento dei minori dalla propria famiglia), come si può pensare che, invece, il comportamento delle altre agenzie educative sia insindacabile?

E’ chiaro che è necessario trovare il giusto equilibrio, nel pieno rispetto dei ruoli. Ma la cronaca di questi anni ci ha raccontato di frequente episodi e comportamenti “censurabili” da parte di insegnanti, allenatori, catechisti, molti dei quali non sarebbero mai venuti alla luce senza l’intervento e l’interessamento dei genitori stessi. Allo stesso modo è giusto e fondamentale che ognuno si assuma le proprie responsabilità nel percorso educativo che devono compiere i ragazzi, è troppo facile e troppo semplicistico scaricare tutte le colpe sempre e comunque sui genitori. E’ un atteggiamento di comodo, purtroppo sempre più ricorrente tra gli educatori (siano essi insegnanti che allenatori), un paravento dietro il quale nascondersi per evitare di assumersi le responsabilità per le proprie carenze , per le proprie manchevolezze.

Oggi è difficile insegnare i veri valori dello sport ai ragazzi, troppi genitori che si intromettono e che vogliono interferire nelle nostre scelte” scriveva qualche mese fa l’allenatore di una squadra giovanile di calcio lombarda in una lunga lettera pubblicata dal Corriere della Sera. Abbiamo calcato a lungo (in varie discipline) i campi dove si pratica lo sport giovanile. Abbiamo trovato molti allenatori e dirigenti di società assolutamente competenti, preparati, che si preoccupano principalmente della crescita non solo tecnica dei ragazzi, che mettono al primo posto non il risultato “a tutti i costi” ma l’insegnamento di quelli che dovrebbero essere i veri valori dello sport. Ma è innegabile che ne abbiamo incontrati altrettanti che non hanno la più pallida idea di cosa significhi educare e far crescere, sotto ogni punto di vista, i ragazzi.

Ne abbiamo visti di allenatori, anche con ragazzini di 7-8 anni, che pur di vincere venderebbero l’anima al diavolo, che se ne infischiano dei valori dello sport, che già a quell’età insegnano tutti i trucchi, leciti e meno leciti, per vincere. Così come abbiamo visto diversi allenatori che, con ragazzi considerati delle “pippe”, non si preoccupano assolutamente di continuare ad allenarli, di cercare comunque di farli crescere, pur nei limiti che hanno. E, per decenza, sorvoliamo su altri aspetti, su episodi e comportamenti da codice penale. Davvero è pensabile che tutti questi aspetti deteriori che in parte esistono nel mondo dello sport giovanile siano imputabili solamente ai genitori? A cui è giusto rimproverare le indebite ingerenze nei confronti delle scelte tecniche dell’allenatore, l’incapacità spesso di accettare che il proprio figlio non sia il campione che speravano , che ci siano ragazzi più bravi di lui che hanno più spazio in campo.

Ma è ridicolo pensare che i problemi dello sport giovanile si riducano e possano essere tutti ricondotti alle indebite intromissioni dei genitori. Solo un cieco o chi è altamente prevenuto non vede come sempre più di frequente l’ossessione del risultato sia diventato, anche e soprattutto a partire dai più piccoli, l’unico obiettivo da perseguire a qualunque costo. Così come dovrebbe essere chiaro che, vista l’enorme crescita negli ultimi decenni dei giovani e dei più piccoli che praticano sport a livello agonistico, è cresciuta a dismisura la richiesta di nuovi allenatori, di nuovi tecnici. Molti dei quali, però, non hanno le capacità e la preparazione adeguata per relazionarsi con il complesso mondo dei più piccoli.

Se i ragazzi di oggi non sono preparati, se sono maleducati e non rispettano le regole la colpa non è certo della scuola, degli insegnanti. La responsabilità è solo di chi ha li ha messi al mondo e non li ha saputi crescere” scriveva ad inizio aprile un preside siciliano in una lunga lettera pubblicata su “Repubblica”.  “Il vero problema della scuola sono i genitori degli studenti che spesso non solo sono troppo iperprotettivi ma, soprattutto, non sono per nulla interessati ad una vera educazione per i propri figli ma si preoccupano solo della promozione”gli  rispondeva il filosofo e docente universitario Umberto Galimberti  .

Basta con questi genitori che vedono i compiti a casa o la bocciatura come una punizione che i docenti infliggono al figlio – scriveva nelle settimane scorse Ernesto Galli della Loggia sul Corriere.it in risposta ad una lettera di un dirigente scolastico pugliese – basta con queste continue intromissioni dei genitori nella vita scolastica. Si prenda esempio dalla Finlandia (il cui modello scolastico è considerato il migliore) dove i genitori non interferiscono in alcun modo”. Nessuno può negare che esistono genitori che, pur di difendere “a prescindere” i propri figli, si intromettono e mettono in discussione l’operato e le scelte didattiche degli insegnanti.

Ma, inopportune generalizzazioni a parte, davvero si può credere che le difficoltà della scuola oggi dipendano esclusivamente dai genitori? Davvero si può pensare che se i ragazzi arrivano alle superiori impreparati, se non sanno neppure studiare, la colpa è solo di chi li ha messi al mondo? E davvero si può credere che le promozioni generalizzate, le sempre più rare bocciature sono esclusivamente colpa del comportamento dei genitori? In questi anni abbiamo avuto l’opportunità di osservare diverse scuole, di incontrare svariati professori. Come per lo sport, ne abbiamo incontrati tanti assolutamente preparati e capaci, intransigenti e severi ma anche assolutamente imparziali e sempre attenti alla crescita di tutti gli alunni, anche di chi era più indietro.

Ma ne abbiamo incontrati altri assolutamente impreparati, incapaci di insegnare qualcosa, di catturare l’attenzione dei ragazzi, di appassionarli e invogliarli allo studio. Abbiamo visto intere classi, in alcune materie, completamente “rovinate” da qualche docente che piuttosto che insegnare pensava ad altro, abbiamo visto ragazzi che per anni si sono portati dietro le gravi lacune causate da insegnanti incapaci. Molti di loro hanno avuto la fortuna di incontrare poi docenti scrupolosi e attenti che hanno posto rimedio alle lacune dei loro colleghi. Ma tanti altri hanno dovuto fare i conti con insegnanti che, invece, se ne sono altamente fregati di porre rimedio a quelle carenze.

Quanto al problema delle sempre più rare bocciature, non è certo un mistero che da tempo molti dirigenti scolastici sono particolarmente attenti alla percentuale di bocciati della propria scuola, con il timore che un numero elevato possa finire per sconsigliare ragazzi e famiglie dal frequentare quella scuola. Prima di accusare in maniera generica e aprioristica i genitori, che sicuramente hanno delle colpe e delle responsabilità, il mondo della scuola dovrebbe, quindi, interrogarsi su questi aspetti, invece di trincerarsi sempre e comunque, anche di fronte ai casi più gravi, dietro alla incondizionata difesa di categoria. Ma quanto pretestuose e spesso infondate siano certe posizioni è dimostrato proprio da quel riferimento che Ernesto Galli della Loggia fa alla scuola finlandese, da prendere come esempio di “buona scuola”.

Siamo perfettamente d’accordo con lui, il problema è che quel modello di scuola è esattamente agli antipodi di quel tipo di modello educativo, di quel tipo di scuola che ci sono in Italia e che si vorrebbero propinare. A partire dal fatto che non è affatto vero che i genitori non interferiscono in alcun modo. Sono, infatti, presenti nel comitato di gestione che, tra le altre funzioni, ha quella di selezionare i docenti, di verificare i loro curriculum, di assumerli dopo i necessari colloqui, tutti passaggi ai quali partecipano attivamente i genitori (altro che i nostri consigli di classe e di istituto che sono diventati una vera e propria caricatura).

E’, invece, vero che in Finlandia i professori hanno una considerazione sociale (e una conseguente remunerazione) ben differente rispetto all’Italia. Però per arrivare ad insegnare bisogna innanzitutto conseguire una laurea (quanti sono i maestri e le maestre che, nel nostro paese, insegnano alle elementari pur non avendo alcuna laurea?) e, comunque, c’è una fortissima selezione. Tanto che appena il 10% di chi ha i requisiti e fa richiesta riesce poi concretamente ad insegnare. Gli insegnanti, inoltre, hanno l’obbligo di formazione continua e devono sottoporsi a continue verifiche (anche da parte di quel comitato di cui fanno parte i genitori). Soprattutto, però, quel modello di scuola finlandese è completamente all’opposto di quello tutto compiti a casa e voti inflessibili e rigidi (neanche fossimo ad un quiz, ad un gioco a premi…) che agognano coloro che accusano ripetutamente i genitori. Forse molti dei nostri docenti e dirigenti scolastici saranno sorpresi dall’apprendere che nella scuola finlandese fino a 13 anni non ci sono voti, non ci sono valutazioni. E, ancora di più, che i compiti a casa sono quasi banditi o, al massimo, ridotti al minimo.

Anche dopo i 13 anni si tende ad evitare valutazioni negative, i voti vengono assegnati non in base a rigide griglie ma valutando l’evoluzione della condizione di partenza e la situazione personale di ogni alunno. Soprattutto, però, nella scuola finlandese il primo e principale intento è quello di non lasciare nessun studente indietro, se esistono casi particolari e problematici si arriva anche a riunire il corpo docente e ad individuare un percorso per aiutare il ragazzo in difficoltà.

A ben guardare, quindi, ci viene più di un sospetto che, in realtà, una scuola sul modello finlandese non la vorrebbero proprio quelli come i tanti dirigenti scolastici che oggi si riempiono la bocca con certi proclami. Anche perché, con un simile sistema scolastico, non ci sarebbero più alibi e non si potrebbe più scaricare la responsabilità sempre e comunque su altri, come accade ora.

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