In scena a Palazzo dei Capitani la “favola” gender


In pieno periodo carnevalesco il Comune ha organizzato un convegno per parlare di una teoria che non esiste. Con l’intervento del promotore del Family Day Gandolfini le cui tesi, però, sono in contrasto con quelle dell’Osservatorio Gender e dell’Opus Dei che nel 1995 ha avviato questa “grottesca” campagna contro un nemico che non c’è

Tra le tante trovate goliardiche del Carnevale 2017, quella più singolare l’ha sicuramente organizzata l’amministrazione comunale.  Parliamo del convegno “Gender: dalla scienza all’ideologia” che si è svolto a Palazzo dei Capitani nei giorni scorsi. Come ormai è ampiamente noto, l’ideologia gender non esiste (se non nella costruzione artificiosa e proditoria di alcuni gruppi oltranzisti cattolici) e quindi riesce difficile non pensare ad uno scherzo tipico di quel periodo di fronte ad un convegno, organizzato per giunta proprio il venerdì di Carnevale.  L’idea che tutto potesse essere uno scherzo si è rafforzata quando abbiamo ascoltato l’introduzione del sindaco che ha spiegato le ragioni per cui era stato organizzato.

Vogliamo dare le giuste informazioni sull’ideologia gender” ha detto il primo cittadino. Quindi, in teoria, solo pochi istanti, il tempo necessario per spiegare che, appunto, l’ideologia gender non esiste e poi tutti a casa. Invece no, il convegno è andato avanti,   con il lunghissimo intervento di Massimo Gandolfini, portavoce del Comitato promotore del Family Day. Che in teoria avrebbe dovuto spiegare cos’è l’ideologia gender. Allora, mettendo da parte l’ironia, entriamo nel dettagli di questa lunga “orazione”. Prima di addentrarci nello specifico degli argomenti trattati , sono doverose un paio di riflessioni di carattere generale su quel lungo intervento. Da giornalista, per certi versi maniaco della verifica puntuale delle fonti, ci ha particolarmente colpito il fatto che tutto l’intervento del promotore del Family Day si fondi  esclusivamente sulla fede. Non quella più alta di origine religiosa, ma quella che gli ascoltatori devono incondizionatamente avere nei suoi confronti.

Perché Gandolfini ha sviluppato tutto il suo lungo discorso, accompagnato da una serie di slides, citando fatti, autori, personaggi, libri che sarebbero le colonne portanti dell’ideologia gender, il tutto senza mostrare mai uno “straccio” di documento, di atto, di libro di testo riferito a quegli autori. “Esistono biblioteche piene di libri sulle teorie e l’ideologia gender” ha affermato nel corso del suo intervento per togliere ai presenti ogni dubbio sull’esistenza di quella teoria. Allora, con tutti quei libri a disposizione, perché non mostrarne qualcuno, magari anche solo la copertina? Così come quando, nel finire del suo intervento, ha parlato di uno scottante documento “di pochi giorni fa” del ministero  che prevede l’accreditamento di 29 associazioni Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transgender).

Ha sventolato un foglio, lasciando immaginare che fosse il documento incriminato, senza però mostrarlo realmente. Con stupore, però, abbiano poi scoperto che la vicenda di cui stava parlando risale ad alcuni anni fa (ed è decisamente differente da come è stata raccontata). In poche parole chi ascolta il promotore del Family Day deve credere in maniera fideistica alle sue tesi, non servono atti, documenti, testi, serve solo ed esclusivamente la fede. L’altro aspetto che ci ha colpito è l’abilità con la quale Gandolfini mischia argomenti vari che poco o nulla hanno a che fare gli uni con gli altri (se non per un generale senso di comportamento contrario a quella che dovrebbe essere la natura umana), che comunque finiscono per creare un senso di disgusto, un generale senso di fastidio in chi ascolta.

Così, prima di entrare nello specifico della presunta ideologia gender, eccolo parlare di prelievo di ovuli, di utero in affitto, di casi di persone morte in alcune di queste pratiche, della vendita su internet non solo di ovuli e uteri ma anche di bambini, di educazione affettiva e sessuale nelle scuole. Argomenti sui quali in parte condividiamo il giudizio negativo. Ma cosa c’entrano con la supposta ideologia gender? Ovviamente nulla, però è indiscutibile che a chi ascolta, se non ha una profonda conoscenza dell’argomento in questione, appare chiaro che tutto sia legato, che quelle pratiche siano in qualche modo legate a quell’ideologia che si vuole combattere.

Creato il clima giusto, Gandolfini poi è finalmente passato a parlare della cosiddetta ideologia gender, citando i presunti padri fondatori. Da Alfred Kinsey, il biologo e sessuologo americano, citato come  precursore dell’ideologia gender, passando per John Money, psicologo e sessuologo neozelandese al cui nome è legata la tragica vicenda dei gemelli canadesi Reimer. Secondo Gandolfini la nascita dell’ideologia gender risalirebbe addirittura al 1958, nell’Università di Los Angeles, con la “Gender Identity Research Project” (di cui, però, non si trova traccia da nessuna parte…). Alla fine degli anni ’60, poi, la presunta ideologia gender si sarebbe fusa con i movimenti femministi, grazie all’opera di Simone de Beauvoir (la compagna di Sartre) e di Monique Witting.

Fino ad arrivare, poi, ai giorni nostri alla fusione del gender con la queer theory grazie alla filosofa post strutturalista statunitense Judith Butler. Insomma un gran bel “minestrone” con tanti ingredienti che Gandolfini lega, con una buona dose di fantasia, tra loro ma che, in realtà, poco o nulla hanno a che fare l’uno con l’altro (se non marginalmente). E, soprattutto, che nulla o quasi hanno a che fare con la (sempre più presunta) ideologia gender. Il nome di Alfred Kinsey, ad esempio, è legato alla prima vasta inchiesta condotta nel campo del comportamento sessuale umano (nel 1948  sugli uomini, nel 1953 sulle donne). La sua figura ha addirittura ispirato un film (Liam Neeson ha interpretato il ruolo del sessuologo americano), le sue elaborazioni teoriche per alcuni versi sono discutibili e un tantino singolari.

Ma per legare il suo nome alla nascita del gender ci vuole una buona dose di fantasia (e, infatti, questo presunto legame non viene citato da nessun’altra parte). Per non parlare, poi, di Simone de Beauvoir e Monique Witting, simboli del movimento di liberazione della donna francese il cui accostamento al gender è del tutto fuorviante. Un minimo di attinenza in più potrebbe, semmai, trovarsi con il nome di Judith Butler che in effetti si è anche occupata della queer theory (dal punto di vista delle femministe) ma che è sicuramente più nota negli Stati Uniti per le sue posizioni radicali contro Israele. L’unica figura che davvero si può accostare alla presunta teoria gender è quella del sessuologo neozelandese John Money. Che  nel corso della sua attività si occupò a lungo di pazienti con “sintomi transessuali” e fu coinvolto nella drammatica vicenda dei gemelli Reimer, conclusasi con il suicidio di Bruce (avvenuto, per altro, dopo la morte per cancro del gemello) che fu oggetto di un doppio cambio di sesso (prima al femminile, poi al maschile), in una vicenda nata non da chissà quali folli esperimenti ma da un intervento chirurigico di fimosi sbagliato (con conseguente compromissione irrimediabile del pene) e dal conseguente corto circuito di cui fu vittima la famiglia di Bruce.

Al di là di questa vicenda, il racconto di Gandolfini appare piuttosto fumoso e privo di concreti fondamenti. Significativo, a tal proposito, il fatto che il principale portale di ispirazione cattolica sul tema gender (“Osservatorio Gender”, un progetto dell’associazione “Famiglia Domani”), racconti una storia completamente differente rispetto alla nascita della presunta ideologia. Che, secondo quel portale, trarrebbe le proprie origini dal pensiero marxista e psicanalista degli anni ’50-’70, facendo risalire la sua prima e fondamentale teorizzazione nel 1995 in occasione della “Quarta conferenza internazionale sulle donne” dell’Onu che si svolse a Pechino. Secondo “Osservatorio Gender”, poi, i padri fondatori della teoria sarebbero addirittura Marx ed Engels, con poi contributi importanti dalla psicoanalisi e dal max-freudismo (con citazioni particolari ovviamente per Sigmund Freud e per lo psicanalista austriaco Wilhelm Reich).

Di tutti i personaggi citati da Gandolfini nessuna traccia. E questo qualcosa dovrà pur significare… Tornando al promotore del Family Day, nella parte conclusiva del suo intervento, al di là della solita segnalazioni di presunti libri “blasfemi” (che, poi, in realtà così blasfemi non sono…), due cose ci hanno particolarmente colpito. La prima è l’affermazione, a mio avviso di estrema gravità, secondo cui l’ideologia gender verrebbe veicolata, sin dall’asilo e dalla scuola elementare, in maniera subdola con l’alibi di parlare di “grandi valori” come la lotta al bullismo, all’omofobia, al rispetto delle donne, alla violenza contro le donne. Che, il promotore del Family day dovrebbe saperlo bene, sono problemi reali della nostra società. Ed è grave mettere in discussione la necessaria opera di sensibilizzazione, che giustamente deve partire dalla scuola, in nome di un ipotetico e improbabile disegno segreto relativo al gender.

L’altra considerazione che merita attenzione è quella, certamente non nuova, che vorrebbe addirittura il governo stesso, attraverso la riforma sulla scuola (la buona scuola), promotore dell’insegnamento gender nelle nostre scuole. Lo ha ribadito ad Ascoli Gandolfini, lo scrive anche il portale “Osservatorio Gender”, entrambi facendo ancora riferimento al famoso comma 16 dell’art. 1. Sottolineamo “ancora” perché già nel 2015, con circolare del 15 settembre 2015, il ministero intervenne per fugare ogni dubbio riaffermando che  “la finalità del suddetto articolo non è, dunque, quello di promuovere pensieri o azioni ispirate ad ideologie di qualsivoglia natura bensì quella di trasmettere la conoscenza e la consapevolezza riguardo i diritti e i doveri della persona costituzionalmente garantiti”. In realtà non sarebbe stato neppure necessario, bastava leggere il comma 16 dell’art. 1 che recita testualmente “ il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunita’ promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parita’ tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall’articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119”.

Bisogna avere una sconfinata dose di fantasia per vederci l’intento di promuovere  il gender nelle scuole… Ma la più grande singolarità di tutto l’intervento di Gandolfini deriva non dalle sue tante enunciazioni ,quanto da ciò che non ha detto. Abbiamo atteso invano per tutto l’intervento ma non abbiamo sentito quasi nulla riguardo all’aspetto che, invece, dovrebbe essere più importante. Cioè che cosa mai sarebbe questa ipotetica teoria e ideologia gender e, soprattutto, chi starebbe provando a veicolarla nelle nostre scuole, nella nostra società. Su questi, che pure dovrebbero essere aspetti fondamentali della discussione, non sono arrivate spiegazioni concrete da parte di Gandolfini che, quanto ai supposti promotori, si è limitato a fare riferimenti a fantomatici poteri economici legati all’universo Lgbt. Insomma, la versione gay dei poteri forti buoni per qualsiasi forma di complotto…

Qualche spiegazione in più ci arriva ancora una volta dal portale “Osservatorio Gender” secondo cui i sostenitori della teoria gender distinguono tra sesso e genere, il primo è quello con il quale nasciamo, il secondo quello che diventiamo. Secondo tale tesi, l’ideologia gender nega l’esistenza per natura dell’essere maschio e femmina, che non sarebbe un dato oggettivo e reale ma solo un prodotto della cultura. Ne consegue che non esistono maschi e femmine ma ci sono semplicemente uomini liberi di assegnarsi il genere che percepiscono, al di là del loro sesso naturale. Sempre secondo “Osservatorio Gender”, a promuovere questa teoria sarebbe una potente governance mondiale in cui giocherebbero un ruolo fondamentale potenti Ong (organizzazioni umanitarie) come Amnesty International, Planned Parenthood e Greenpeace che si sarebbero infiltrate nei maggiori centri di potere internazionale.

Non solo, istituzioni come l’Onu, il Consiglio  e Parlamento europeo, l’Unesco, l’Unicef e l’Organizzazione Mondiale della Sanità sarebbero tutte schierate per la promozione del cosiddetto “gender diktat”. Insomma un mega complotto internazionale che farebbe impallidire qualsiasi altro mega complotto, compreso quello per il famoso “Nuovo Ordine Mondiale”. La realtà, fortunatamente, è ben differente. Sappiamo, infatti, che la campagna, del tutto arbitraria, contro un presunto progetto fondato sul gender (mirante alla distruzione della famiglia e della società fondata su un presunto ordine mondiale) fu lanciata nel 1995 da Dale O’Leary, attivista cattolico dell’Opus Dei.

Il quale, per altro, attribuiva la nascita dell’ideologia gender (e del progetto di cui si sarebbe fatta portatore) ad uno studio che la biologa Anna Fausto Sterling aveva pubblicato sulla rivista “The Sciences” (quindi un versione ancora differente sull’origine della teoria…) in merito al delicatissimo problema delle persone intersessuali, cioè quei neonati che nascono con caratteristiche sessuali miste. La Sterling provocatoriamente aveva proposto di aggiungere ai due tradizionali (maschio e femmina) altri tre sessi: lo herm (l’ermafraudita, cioè i neonati che nascono con un testicolo e un ovaio), il merm (lo pseudoemrafrodita maschio, cioè i neonati che nascono con i testicoli, con qualche caratteristica sessuale femminile e nessuna ovaia) e la ferm (la pseudoermafrodita femmina, cioè i neonati che nascono con le ovaie, qualche caratteristica sessuale maschile ma nessun testicolo).

Il suo intento non era certo quello di creare nuove categorie sessuali ma, semplicemente, di mettere in discussione la prassi di allora del mondo clinico che all’epoca tendeva ad operare alla nascita i neonati con queste malformazioni genitali, assegnando loro arbitrariamente un sesso prima ancora che essi potessero sviluppare una propria identità di genere. Da questa evidente e clamorosa forzatura e dall’arbitraria fusione delle definizioni gender studies (studi di genere) e queer theory (studi sugli orientamenti sessuali) è stata coniata la dicitura “teoria del gender”. E’ fondamentale sottolineare, però, che “theory” non significa certo “teoria”, come si cerca di voler far credere, ma molto più semplicemente con quel termine si fa riferimento “all’insieme di studi teorici”.

Tra l’altro, a differenza di quanto si cerca di far credere, gli studi di genere non negano l’esistenza di un sesso biologico assegnato alla nascita, né che, in quanto tale, influenzi gran parte della nostra vita. Sottolineano, però, che il sesso da solo non basta a definire quello che siamo, che la nostra identità è una realtà complessa e dinamica, un mosaico composto dalle categorie di sesso, genere, orientamento sessuale e ruolo di genere. Secondo gli studi di genere, quindi, il sesso è congenito e fisso (quindi nessuna negazione), il genere si definisce e si forma nel corso dello sviluppo della persona e all’interno di differenti culture e società. Gandolfini o l’Osservatorio Gender possono negare o non essere d’accordo con un simile concetto?

La teoria gender non esiste e men meno l’ideologia – afferma la prof.ssa Laura Scarmoncin, accademica della South Florida University – è un’arma retorica per strumentalizzare i gender studies che affondano le radici nella cultura femminista”.  “L’Aip ritiene opportuno intervenire per chiarire l’inconsistenza scientifica del concetto di “ideologia gender. Esistono, al contrario, studi scientifici di genere meglio noti come Gender Studies che, insieme ai Gay and Lesbian Studies, hanno contribuito  in modo significativo alla conoscenza di tematiche di grande rilievo per molti campi disciplinari e alla riduzione, a livello individuale e sociale, dei pregiudizi e delle discriminazioni basati sul genere e sull’orientamento sessuale” si legge in un documento dell’Associazione Psicologi Italiani del marzo 2015.

Posizione che, successivamente, è stata condivisa anche dall’Ordine nazionale degli Psicologi, da diversi ordini professionali e associazioni accademiche, compresa l’Associazione dei docenti universitari. Che, in un documento del 2016,  ha ribadito come “non esiste alcuna teoria gender” ma che, di contro, il genere “è piuttosto uno strumento concettuale per poter pensare e analizzare le realtà storico-sociali delle relazioni tra i sessi in tutta la loro complessità e articolazione”. Più chiaro di così…

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