Cronache tragi-comiche dalla “terra dei cachi”


Da Andreotti a Berlusconi, da Scajola a Fini, passando per Emiliano, Rutelli, Malinconico, Alemanno, Poletti fino ad arrivare a Virginia Raggi. Da 40 anni a questa parte la storia del “a mia insaputa” è ormai diventata un classico della politica italiana. Con le solite reazioni “isteriche” e completamente contraddittorie delle opposte fazioni di ultras

Le cronache dei giornali di lunedì 6 febbraio sono tutte incentrate sul grande evento del giorno precedente e su quanto accadrà il giorno successivo in Parlamento. Domenica 5 febbraio, all’insaputa del parroco e degli stessi sposi, in una chiesa di Roma sono convolati a nozze la sindaca di Roma Virginia Raggi e l’ex ministro dell’interno Claudio Scajola. A dimostrazione dell’attendibilità del famoso proverbio “Chi si somiglia, si piglia”, l’amore tra i due è scoppiato travolgente, irrefrenabile e passionale dopo che la sindaca ha dichiarato ai magistrati, nel corso dell’interrogatorio dei giorni scorsi, di non sapere nulla delle polizze di assicurazione intestate a lei da Romeo. “Erano  anni che aspettavo l’anima gemella” ha dichiarato ai microfoni dei tanti cronisti presenti l’ex ministro.

Tra i tanti regali che i due sposi inconsapevoli hanno ricevuto spiccano una casa nei pressi del Colosseo ed un paio di polizza vita , con l’autore del regalo in entrambi i casi sconosciuto (ma i sospetti sono caduti su Anemone e Romeo). Tra i tantissimi invitati illustri presenti, l’attenzione dei media è stato monopolizzata dall’ex leader del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo, assente dai palcoscenici della politica italiana dall’estate del 2014 quando, coerentemente con quanto promesso prima delle elezioni europee, aveva deciso di abbandonare la politica dopo la sconfitta del suo Movimento. E, a proposito di leader politici di cui si erano perse le tracce, ai due sposi inconsapevoli è giunto il telegramma dell’ex presidente del Consiglio ed ex segretario del Pd Matteo Renzi che, anche lui coerentemente con quanto dichiarato prima del referendum sulla riforma costituzionale del 4 dicembre scorso, dopo quella “batosta” non solo aveva mollato la poltrona da premier ma aveva deciso di lasciare definitivamente la politica.

Un altro telegramma, particolarmente gradito allo sposo, è arrivato addirittura dall’Egitto. A firmarlo un altro ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, in questi giorni ospitato in vacanza dall’ex leader egiziano Mubarak e da sua nipote Karima El Mahraoug (meglio conosciuta in Italia come Ruby). Intanto il mondo politico è in fermento in vista dello storico appuntamento di martedì 7 febbraio quando il Parlamento, in seduta comune, si riunirà per approvare lo storico cambiamento dell’articolo 1 della nostra Costituzione che non reciterà più “L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro” ma “L’Italia è una repubblica fondata a mia insaputa”.

No, non vi preoccupate, non siamo improvvisamente impazziti. Semplicemente, con un pizzico di ironia e con una buona dose di fantasia, abbiamo raccontato un immaginario articolo di giornale che si potrebbe scrivere se davvero i nostri politici facessero quello che dicono e, soprattutto, se davvero dovessimo credere alle “storielle” che ci propinano  per giustificare l’ingiustificabile. Il guaio è che a turno chi magari prima si era scandalizzato per le “favolette” raccontate da un esponente politico della parte avversa, quando è la volta di qualcuno della propria parte a farlo, incredibilmente si scandalizza e si irrita perché c’è qualcuno che osa fare quello che lui stesso aveva fatto prima, cioè criticare e attaccare con decisione il proprio “beniamino”. E se allora si indignava contro chi invocava limiti e sanzioni ai giornalisti che riportavano determinate notizie, agitando lo spettro della censura, del tentativo di limitare la libertà espressione, oggi chiede quelle stesse misure restrittive in nome del buon senso.

La cosa più triste, però, è che in realtà non è nulla di nuovo, queste cose purtroppo accadano nel nostro paese da sempre, si ripetono con imbarazzante e sconcertante periodicità. Segno inequivocabile che possiamo sbizzarrirci quanto vogliamo a parlare di Prima, Seconda, Terza Repubblica, di panorama politico mutato nel corso dei decenni, di svolta, prima dopo “Mani Pulite”, poi con la prepotente ascesa di Renzi “il rottamatore” e del Movimento 5 Stelle. La realtà dei fatti dimostra che il mondo politico italiano sostanzialmente è sempre lo stesso, con gli stessi limiti, le stesse distorsioni, gli stessi gravissimi difetti che non ci permettono di crescere, di diventare un paese civile.

E, allora, forse una seria riflessione dovremmo farla, insieme ad una seria autocritica, ammettendo quello che per molto osservatori è già da un pezzo evidente. Cioè che abbiamo i politici che ci meritiamo, che i “bistrattati” esponenti politici e i partiti di questi ultimi 30-40 anni non sono altro che il frutto di quello che siamo noi italiani, tutti indistintamente, senza differenza di appartenenza politica. Dovremmo guardarci dentro e ammettere che quanto avviene nel giustamente bistrattato mondo politico  non è altro che la riproduzione di quella che è la nostra vita di tutti giorni, nella quale siamo sempre pronti , appena ce se ne presenta l’occasione, a “fregare” il prossimo per ottenere anche piccoli vantaggi e benefici che magari altri meriterebbero molto più di noi. Che siamo sempre pronti a giustificare ogni nostro comportamento non propriamente corretto, appellandoci anche a scuse improponibili, proprio come fanno i nostri politici quando vengono presi “con le mani nella marmellata”.

E che quando urliamo e sbraitiamo contro le “malafatte” di questo o di quell’altro politico in realtà (nella maggior parte dei casi), non lo facciamo in nome di un vero senso di giustizia, in virtù di un codice morale che non ammette deroghe. Perché poi se nello stesso “errore” cade un rappresentante della nostra parte, il nostro profondo senso di giustizia viene improvvisamente meno, le maglie del nostro inflessibile codice morale improvvisamente si allargano a dismisura. E siamo pronti ad indignarci se altri non si “bevono” le improbabili giustificazioni, che neppure ci sogniamo di mettere in discussione solo perché vengono dalla nostra parte politica, a cui non avremmo mai potuto credere in altre situazioni.

E’ una storia che si ripete da decenni, semplicemente cambiano solamente i protagonisti e cambia la posizione dei vari schieramenti.  D’altra parte la storia del “a mia saputa” è vecchia di quasi 40 anni. Così si difendeva negli  anni ’80 l’allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti di fronte all’accusa di aver frequentato esponenti  legati alla mafia (come i cugini Salvo). Così si sono difesi tanti altri politici prima e dopo il più noto caso di “a mia insaputa” (quello dell’ex ministro dell’Interno Scajola) che, però, ora rischia di essere soppiantato da quello della Raggi e delle polizze a lei intestate da Romeo (poi nominato dalla Raggi stessa capo del suo gabinetto, con tanto di stipendio triplicato).

Se nelle mie residenze c’erano delle prostitute vuole dire che qualcuno le ha intrufolate a mia insaputa” dichiarava a primavera-estate del 2009 Berlusconi per difendersi dalle accuse sulle serate a “luci rosse” che si svolgevano  nella sua residenza di Arcore. Lo stesso ex presidente del Consiglio, poi, per giustificare la sua telefonata in Questura in soccorso di Ruby spiegherà che lui era certo che  fosse la nipote dell’ex leader egiziano Mubarak. Allora i “fedelissimi” di Forza Italia non avevano dubbi sul fatto che il loro leader stesse davvero raccontando la verità, che fosse stato solamente un ingenuo sprovveduto. Tesi che inevitabilmente veniva irrisa e sbeffeggiata da chi riteneva improponibili (e come dargli torto…) simili giustificazioni.

Tra loro c’era anche Gianfranco Fini che, però, pochi mesi dopo entrerà a sua volta a far parte della schiera dei “a mia insaputa”. “Non sapevo che la casa di Montecarlo fosse stata ristrutturata e affidata a mio cognato” (in questo caso, però, i sostenitori che difendono l’ex presidente di An si contano davvero sulla punta delle dita…). Pochi mesi dopo scoppia il caso di Scajola e la casa in parte pagata, a sua insaputa, da Anemone e da allora quella giustificazione diventa una moda. Nell’aprile del 2012 è la volta di Umberto Bossi che respinge ogni accusa nella vicenda del tesoriera della Lega Belsito, accusato di appropriazione indebita, con alcuni di quei fondi che sarebbero stati usati per la casa del leader del Carroccio. “Denuncerò chi ha usato i fondi della Lega per sistemare a mia insaputa la mia casa” dichiarerà Bossi, trovando incredibilmente alcuni ultras leghisti disposti a credergli e a difenderlo.

Pochi  dopo toccherà al popolo di centrosinistra, che ovviamente aveva sbeffeggiato e contestato in ogni modo prima Scajola, poi Bossi, svestire i panni dei censori per indossare quelli dei “creduloni” per difendere prima il sindaco di Bari (e ora governatore della Puglia) Michele Emiliano, che si nasconde dietro il classico “non ne sapevo nulla”, dall’accusa di aver intrattenuto rapporti con i fratelli Degennaro, accusati (e successivamente arrestati) per corruzione, frode e numerosissimi falsi, poi l’ex sinadco Rutelli, ovviamente ignaro di quanto combinato dal tesoriere del suo partito Luigi Lusi (che aveva sottratto i soldi alla Margherita).

A dar retta a loro i nostri politici sono davvero un gruppo di poveri “ingenuotti”, addirittura all’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio (governo Monti) Carlo Malinconico capita di soggiornare per giorni in un hotel senza poter sapere chi mai gli sta pagando il conto. Che poi si scoprirà essere l’imprenditore Francesco De Vito Piscitelli, coinvolto nell’inchiesta sulla “cricca” che otteneva appalti e vantaggi da alcuni dirigenti pubblici in cambio di favori e regali. Ma l’episodio che meglio di ogni altro  fotografa quanto stiamo sostenendo è sicuramente quello che è accaduto nel 2013, in piena campagna elettorale per l’elezione del nuovo sindaco di Roma (che poi vide vittorioso Marino).

Pochi giorni prima delle elezioni, alcuni esponenti del Pd pubblicano una foto che ritrae il sindaco in carica Alemanno in una cena alla quale è presente anche il pluripregiudicato Luciano Casamonica. Apriti cielo, immediata sul web si scatena l’ira del popolo della sinistra contro il sindaco. Che, però, pochi giorni dopo passa alla controffensiva, pubblicando un’altra foto che dimostra che a quella cena parteciparono anche due esponenti importanti del Pd romano, Daniele Ozzimo e Angiolo Marroni. Fortunatamente qualcuno di quelli che aveva duramente attaccato Alemanno per la prima foto ha la decenza di prendersela anche con i due esponenti del Pd. Ma la maggior parte di loro incredibilmente riesce a trovare comprensibili le spiegazioni dei due democrat, riuscendo addirittura a difenderli, continuando al tempo stesso ad accusare Alemanno. Non basta,  poco tempo dopo si scoprirà che ci sono foto che dimostrano che a quella cena era presente anche Poletti (l’attuale ministro del lavoro) che, ovviamente, dichiarerà che ignorava chi fosse Casamonica.

In questo caso i più scatenati contro il ministro saranno proprio gli esponenti e i simpatizzanti del Movimento 5 Stelle che irridono tutti coloro che credono alla solita storiella del politico ingenuo. Ironia della sorte, però, a quella cena “incriminata” partecipa anche Franco Panzironi, ex manager di Alemanno e ora tra i principali imputati di Mafia Capitale, il cui nome è legato ad uno dei primi “scandali” che ha coinvolto Virginia Raggi. Che, nel suo curriculum da candidata sindaco, guarda il caso omette di inserire il fatto che per un periodo è stata presidente di una società legata proprio a Panzironi. E che, quando l’inghippo verrà fuori, naturalmente si trincererà dietro a solito “a mia insaputa”, trovando l’incondizionato appoggio di quelli che pochi mesi prima, per molto meno (una cena con tantissime altre persone presenti è sicuramente meno significativa dell’essere presidente di una società dei soggetti in questione…) avevano fatto “fuoco e fiamme” (sicuramente a ragione) contro il ministro Poletti, chiedendone le dimissioni.

Come detto il profondo senso di giustizia, l’inflessibile codice morale che pretendiamo di far valere per i nostri avversari , d’incanto si sbriciola di fronte a comportamenti simili di chi invece sosteniamo, tanto da non  esitare a passare dalla richiesta di dimissioni “senza se e senza ma” per i primi alla strenua difesa dei secondi, accreditando subito quella tesi di complotto che solo pochi mesi prima irridevano. Esattamente quello che sta accadendo ora tra gli ultras più irriducibili del Movimento 5 Stelle con la vicenda della Raggi e delle polizze di assicurazione.

Quelli stessi che hanno furiosamente urlato contro chi osava, nelle vicende che riguardavano Scajola, Berlusconi, Poletti, ecc.,  anche solo farsi venire il dubbio se quel “a mia insaputa” potesse essere vero, oggi si scagliano con altrettanta furia contro chi si comporta esattamente come hanno fatto loro. Infuriandosi ancora di più contro chi osa azzardare un paragone tra questa e la vicenda di Scajola. Che, in effetti, per certi versi hanno delle differenze sostanziali. Innanzitutto per il fatto che Scajola, comunque, dopo poco ha deciso di dimettersi. E, soprattutto, perché poi in tribunale in qualche modo è stato parzialmente riabilitato, visto che è stato assolto da ogni accusa perché non c’era alcuna prova che potesse confermare, senza tema di smentita, che in effetti sapesse davvero.

Sfumature (comunque non di poco conto) a parte, quello che ci preme sottolineare è che, purtroppo, al di là delle parole, al di là dei proclami più meno accattivanti, in concreto nel mondo politico del nostro paese resta sostanzialmente sempre tutto uguale. Identici sono i comportamenti dei vari partiti e movimenti che, di volta in volta, hanno cercato di accreditarsi come qualcosa di nuovo, di totalmente differente dalla politica tradizionale. E identici sono i comportamenti dei loro sostenitori, sempre inflessibili con gli avversari e smisuratamente accondiscendi, pronti a giustificare anche ciò che è palesemente ingiustificabile, nei confronti dei propri esponenti.

Ad ulteriore conferma di ciò basterebbe, ad esempio, ricordare il teatrino messo in scena da Grillo prima e da Renzi poi sul possibile addio alla politica. Il leader del Movimento 5 Stelle lo aveva promesso nel caso avesse perso le europee del 2014, l’ex presidente del Consiglio in caso di sconfitta al referendum del 4 dicembre scorso. Ed in effetti entrambi hanno perso, anche piuttosto nettamente, ma nessuno dei due ha concretamente dato seguito a quella promessa. Nulla di strano, in realtà, è tipico dei politici italiani comportarsi in questo modo, promettere anche cose così drastiche, ben consapevoli che tanto poi non lo faranno mai.

Quello che invece è davvero imbarazzante è il modo con il quale i sostenitori dell’uno e dell’altro, nella stessa identica misura, rinfacciano al rivale il mancato rispetto di quella promessa, senza minimamente avere la decenza di ammettere che sono sulla stessa identica barca. Il tutto con giustificazioni ridicole, che sono un’offesa alla loro stessa intelligenza. I fans del Movimento 5 Stelle sostengono, infatti, che Grillo non fa politica quindi non deve abbandonare nulla (chissà chi avrà mai preso tutte le decisioni importanti del Movimento, chi ha dettato la linea politica, chi è il leader assoluto e unanimemente riconosciuto del Movimento stesso…).

Quelli di Renzi, invece, cercano di far passare l’improbabile tesi che in realtà l’ex presidente del Consiglio voleva dire solo che si dimetteva dalla guida del governo (cosa che in effetti ha fatto) e non altro (fingendo di ignorare che le dichiarazioni in proposito di Renzi sono agli atti, verificabili anche in diversi video, e non lasciano certo spazio a dubbi su cosa davvero volesse intendere il leader del Pd). Dall’una e dall’altra parte, purtroppo, l’autocritica è un concetto assolutamente sconosciuto…

 

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