“Bufale” e libertà di espressione, il grande inganno


Il ministro Orlando e il presidente dell’Antitrust Pitruzzella invocano la creazione di un’Authority per combattere la diffusione delle “bufale” sul web e Grillo protesta, parlando di censura e di attacco alla libertà di espressione. Che, però, non può essere confusa con la libertà di offendere e di diffondere notizie false

Tutti hanno diritto di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.  Inizia  così l’art. 21 della nostra Costituzione, quello che sancisce  che la libertà di pensiero e di espressione sono dei diritti costituzionalmente garantiti. Per la verità in teoria si tratta di diritti universalmente garantiti, visto che sono inseriti anche nella “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” , nella “Costituzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo” e in tutte le costituzioni degli stati democratici.  In un paese “normale” e “civile” non ci sarebbe certo il bisogno di specificare che l’insulto gratuito, la diffusione di falsità, di infamie, di bugie non possono certo in alcun modo essere considerate forme di libertà di espressione costituzionalmente garantite.

Ma nell’Italia di oggi dell’infinita guerra tra le fazioni opposte, dove la contrapposizione è così feroce e radicale al punto che non esiste più nessuna regola, nessun codice di comportamento (anche il più scontato e ragionevole) condiviso, è opportuno farlo. Perché tra la fine del vecchio anno e l’inizio del nuovo è esplosa violenta la polemica  su libertà di espressione, censura e guerra alle bufale sul web.  A dare il via a quello che è diventato uno degli argomenti di discussione del momento le dichiarazioni del ministro Orlando, quelle del presidente dell’Antitrust Pirtruzzella e la replica stizzita del leader del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo.

Prima di addentrarci nel merito, cerchiamo di mettere un paio di punti fermi (non dovrebbe essere necessario ma per il discorso di prima…). E’ ovvio e  scontato, ancora di più dovrebbe esserlo per chi ama questo mestiere, che nessuna forma di censura può essere accettabile, così come alcun tentativo di comprimere la libertà di pensiero e di espressione. Che sono e restano diritti sacrosanti, inviolabili e da non mettere neppure in discussione. Così come non si dovrebbe neppure discutere che anche le opinioni che possono sembrare più ridicole e bizzarre  hanno  pienamente diritto di essere espresse. Naturalmente, però, anche un diritto costituzionalmente garantito non può essere sottratto ad una regolamentazione, a dei limiti per evitare che vada a ledere altri diritti non meno fondamentali. Ed in questo caso i limiti sono quelli sanciti nei decenni scorsi dalla giurisprudenza e poi fissati dalla Cassazione.

Secondo cui non possono essere ammesse “espressioni di pensiero atte a determinare azioni pericolose per la pubblica sicurezza come l’istigazione, l’apologia dei delitti e la diffusione di notizie false o tendenziose. Inoltre il diritto di ognuno a manifestare il proprio pensiero non deve ledere la dignità altrui, sono quindi considerati delitti l’ingiuria e la diffamazione”. La “ratio” che ha spinto la Cassazione è semplice e dovrebbe essere facilmente comprensibile, esiste un’enorme differenza tra l’esprimere la propria opinione (quale che sia) e riportare un fatto, avanzare delle accuse. Che, se non sono reali, vere e verificabili, finiscono per configurare un reato.

Ed è sin troppo ovvio che in nessuna società civile potrebbe mai esistere la libertà di commettere un reato (quanto meno non senza pagarne le inevitabili conseguenze). Partendo da questi presupposti, che dovrebbero essere condivisi da tutti, cerchiamo di capire cosa sta accadendo in questi giorni. Non è certo una novità che  il problema della diffusione sempre più massiccia in rete di siti che pubblicano “bufale” di ogni tipo sia sempre più al centro dell’attenzione. A maggio era stato fatto un primo passo in questa direzione, con l’accordo siglato dall’Ue con Facebook, Microsoft, Google e Twitter per la rivisitazione o la rimozione entro 24 ore di contenuti che incitano all’odio o al terrorismo.

Negli ultimi giorni del 2016, poi, gli interventi del ministro Orlando e del presidente dell’antitrust Pitruzzella hanno riaperto la discussione. Il ministro Orlando ha proposto “la responsabilizzazione dei social network nel contrasto alla propaganda d’odio”, chiedendo “la rimozione di quei contenuti che inneggiano a comportamenti violenti o a forme di discriminazione”. “Credo che sia impossibile bloccare tutte le bufale – ha aggiunto il ministro – vanno fermate quelle funzionali alla propaganda d’odio. Qui non ci può essere una verità di Stato ma lo Stato può aiutare i soggetti colpiti e discriminati per etnia, religione, orientamento sessuale a reagire costruendo gli anticorpo che agiscano in modo tempestivo sui social”.

Pochi giorni dopo Pitruzzella, in un’intervista al Financial Times, ha proposto la creazione di agenzie pubbliche dei Paesi Ue contro le “bufale” on line che fissino regole per evitare che la rete continui ad essere una sorta di Far West. “Io penso che questo ruolo di guardiano – afferma Pitruzzella – debba essere esercitato da un’Authority statale che offra garanzie di neutralità ma che sia in grado di intervenire con prontezza nei casi più gravi”.

Immediata e, per certi versi prevedibile, la replica di Beppe Grillo che attraverso il suo blog ha parlato di volontà di censura, di attacco alla libertà di espressione, definendo Orlando e Pitruzzella (ma anche Gentiloni e Renzi) “i nuovi inquisitori del web desiderosi di un tribunale per controllarlo e condannare chi li sputtana”. In quello e in altri interventi Grillo cita poi una proposta di risoluzione Ue che avrebbe l’obiettivo di combattere chi in rete “fa propaganda contro la Ue”, ribadendo che la rete non deve essere soggetta a controlli.

E’ fuori discussione che un’eventuale risoluzione Ue di quello stampo sarebbe assolutamente inaccettabile, rappresenterebbe un gravissimo abuso, un attacco senza precedenti alla libertà di espressione. Ma è altrettanto fuori discussione che non può essere accettabile l’idea che la rete sia una sorta di porto franco che non può e non deve essere soggetto a quei controlli e a quegli stessi limiti a cui sono sottoposti tutti i mezzi di informazione. Torniamo al discorso iniziale, il nocciolo di tutta la questione è proprio questo. In una società civile non può certo essere considerata libertà di espressione quella che ti permette di insultare una persona senza pagare dazio, quella che ti permette di diffondere notizie palesemente false (gravemente dannose e pericolose) e farla franca, quella che ti permette di offendere i propri avversari diffondendo falsità, infamie e bugie senza subirne le conseguenze.

Non è così per i mezzi di informazione “tradizionali” (stampa e tv), perché dovrebbe esserlo per il web? Lo sanno bene lo stesso Grillo e il Movimento 5 Stelle che non hanno certo esitato a denunciare giornalisti e mezzi di informazione (giornali e tv), chiedendo provvedimenti punitivi ed esemplari, quando hanno ritenuto di essere stati oggetto di diffamazione. In una di queste occasioni, l’annunciata querela di Di Maio contro giornali e giornalisti (con tanto di pesantissima richiesta danni nei confronti dei rispettivi editori) per il caso Marra, il vece presidente della Camera sosteneva che la sua querela era un atto necessario  per “tutelare la verità”.

Le frasi inventate e i retroscena inesistenti – affermava allora Di Maio – non possono certo essere considerate espressione della libertà di pensiero”. Giustissimo, siamo pienamente d’accordo . Ma, allora, perché tutto ciò non dovrebbe valere anche per il web? Dove, tra l’altro, la maggior parte dei siti che diffondono notizie false (fake news) si occupano solo marginalmente di politica e di propaganda politica. E dove spesso le cosiddette “bufale” sono decisamente più pericolose e rischiano di produrre effetti dirompenti. Come, ad esempio, tutti quei siti pseudo scientifici (che in realtà di scientifico non hanno proprio nulla) che diffondono false notizie, false illusioni su presunte cure anti cancro e che, sulla base di inesistenti tesi scientifiche, invitano ad evitare la chemioterapia.

Ovviamente quelle cure miracolose non hanno nulla di vagamente scientifico (spacciarle come tali è forse libertà di espressione?) e, anzi, sono delle clamorose bufale che rischiano di produrre effetti devastanti. Ce lo racconta la cronaca dei mesi scorsi, con i casi di Eleonora e Alessandra, entrambe convinte dalle bugie di alcuni siti ad abbandonare la chemioterapia per curarsi con il “miracoloso” metodo Hamer (a base di cortisone e vitamina C).

Eleonora aveva 18 anni e la sua scelta è stata sostenuta dalla famiglia che ha anche scritto una lettera al tribunale per spiegare le ragioni della decisione. Aveva la leucemia e i medici erano quasi certi che con la chemioterapia si sarebbe salvata. Colpita (lei e la sua famiglia) da quanto riportato da quei siti ha, invece, deciso di seguire quel metodo ma a settembre è deceduta. Stessa tragica fine per la 34enne Alessandra, il cui cancro al seno per i medici sarebbe stato tranquillamente curabile con la chemioterapia.

Che quelle notizie, che quelle promesse di guarigione siano della clamorose falsità è scientificamente provato, è giusto fare finta di nulla e non intervenire in alcun modo? E vogliano parlare di tutti quei siti anti vaccini che continuano a riproporre, per giustificare il proprio ostracismo nei confronti dei vaccini stessi, il famoso studio di Andrew Wakerfield (che sosteneva la correlazione tra vaccini e casi di autismo) che, poi, è stato inequivocabilmente dimostrato che si trattava di un clamoroso falso, basato su dati falsificati, al punto che lo stesso Wakerfield fu poi radiato dall’Ordine dei medici e condannato a 2 anni e mezzo di reclusione.

La cronaca di questi giorni, ma anche i dati forniti dall’Istituto Superiore della Sanità nei mesi scorsi, dimostrano quali “nefaste” conseguenze producono simili informazioni false. C’è, poi, tutto il filone dei siti internet che inventano bufale di ogni tipo sugli extracomunitari che contribuiscono ad esacerbare gli animi e che, in qualche caso, hanno provocato reazioni violente da parte di qualche esagitato. E non stiamo certo parlando della “favoletta” dei 35 euro al giorno o degli hotel a 5 stelle, parliamo di notizie tipo quelle pubblicate da “Senza Censura” e “Tutti i crimini degli extracomunitari” (“Roma: extracomunitario tenta di stuprare bambina. Interviene un passante e lo demolisce”, “Catania, 15enne bruciato vivo. Massacrato perché cristiano”, “Quattro tunisini stuprano la moglie e poi uccidono il marito a sprangate”), ovviamente false e completamente inventate, che hanno provocato reazioni di vario tipo (compresi alcuni episodi violenti…) ma, soprattutto, hanno consentito ai gestori dei siti di incassare migliaia e migliaia di euro per ogni “bufala” (il famoso clickbait).

Lo ha confermato uno di loro, un ventenne siciliano che prima ha aperto un blog, poi, quando ha capito come funzionavano le cose, l’ha trasformato in un quotidiano on line (“Senza Censura”) che, ovviamente a fianco di notizie vere, pubblicava in continuazione notizie inventate di sana pianta con al centro sempre immigrati e le loro presunte “nefandezze” (“non sono mai stato razzista o xenofobo ma ho subito visto che l’argomento era seguitissimo, portava migliaia e migliaia di cliccate e, quindi, era economicamente vantaggioso” ha poi dichiarato in un’intervista). E più la sparava grossa, più soffiava sul fuoco della xenofobia più aumentava il volume di visualizzazioni, con la conseguenza che arrivavano soldi a palate grazie alla pubblicità di Google Adsense e similari.

Con alcune di quelle notizie false ho fatto anche 4-5 mila euro al giorno” ha confessato dopo che la Polizia postale l’aveva denunciato per istigazione all’odio razziale. Davvero qualcuno può pensare che sia giusto permettere tutto ciò senza far nulla, lasciare che il web (a differenza di quanto avviene per gli altri organi di informazione a cui, a ragione, mai sarebbe permesso di fare simili cose) si trasformi in una gogna mediatica permanente nella quale ognuno può dire e scrivere ciò che vuole senza assumersene mai la responsabilità? E cosa c’entra tutto ciò, la fabbricazione di notizie false per meri scopi economici, con la libertà di espressione?

Lo sa benissimo anche Grillo che non c’entra nulla, che libertà di espressione e fabbricazione di notizie false sono due cose completamente differenti, per certi versi agli antipodi. E allora perché quella reazione, quella sua posizione estrema? Sicuramente convenienze e propaganda politica, è evidente che far passare Orlando, Pitruzzella (e dietro loro Gentiloni, Renzi, Mattarella) come nuovi inquisitori, gridare alla censura fa gioco alla sua parte politica. Ma secondo molti c’è dell’altro.

Un’inchiesta del mese scorso di BuzzFeedNews (sito web d’informazione statunitense tra i più famosi al mondo)  ha evidenziato come alcuni dei siti considerati tra i maggiori produttori di bufale (“Tze Tze”, “La Cosa”, “La Fucina”) hanno gli stessi codici AdSense (quindi gli stessi account) usati dal blog di Beppe Grillo e dai due siti della Casaleggio Associati. L’indagine del sito americano ha anche analizzato le particolari modalità di raccolta pubblicitaria sui siti di Casaleggio e su quei siti, concludendo che i dati dimostrano un particolare incrocio di interessi tra loro. D’altra parte lo stesso Beppe Grillo, un paio di anni fa, sul suo blog aveva incensato uno di quei siti (“Tse Tse”), definendolo un “portale straordinario e interessante”, al punto da dedicargli un lungo post per descriverlo a fondo (“è un palinsesto dinamico, che seleziona da siti rigorosamente solo on line, che non hanno quindi una derivazione cartacea o televisiva”), invitando i lettori del suo blog   a collegarsi su “Tze Tse”.

Che, è giusto sottolinearlo, tra le varie “bufale” condivise e pubblicate in questi anni, solo in rari casi ha preso di mira la politica nazionale (le presunte frasi di Battiato pro Grillo, la famosa ma inesistente cugina di Renzi, l’altrettanto inesistente volantino di Fincantieri per far applaudire Renzi), occupandosi, invece, di vari argomenti, sempre in grado di attirare l’attenzione di tantissimi potenziali lettori (e quindi ottenere tantissime cliccate e, di conseguenza, grossi guadagni pubblicitari). Come quello inerente la presunta pericolosità del salmone d’allevamento, sulla base di uno studio effettuato dallo statunitense Davide Carpenter (“Evitatelo come la peste” avrebbe affermato il ricercatore americano secondo un articolo di “Tse Tse” del settembre 2016) ) pubblicato anche sul sito del dipartimento della salute americano. Che, però, guarda il caso sosteneva l’esatto contrario (“il salmone di allevamento e il salmone selvatico sono alimenti sicuri, assolutamente consigliati ad alcune categorie di persone” scrive Carpenter in quello studio).

O come quelle sulla trappola che si nasconderebbe dietro al prelevamento al bancomat, sulla scoperta shock sulla presenza di batteri fecali sugli spazzolini da denti, sul lavoro particolare fatto prima di entrare in Parlamento da una deputata di Ncd (medico ma su quel sito fatta passare per ben altro…), sul presidente dell’Islanda che paga il mutuo ai suoi cittadini, ecc. Tutte “bufale”, verificabili da chiunque, che per la loro particolarità e il loro indiscusso interesse hanno portato a milioni e milioni di cliccate (con la conseguente impennata degli introiti pubblicitari).

Stesso discorso per gli altri due siti legati alla Casaleggio Associati, “La Cosa” e “La Fucina”, con quest’ultimo che si occupa quasi esclusivamente di argomenti inerenti la salute. Con la pubblicazione di decine e decine di notizie sulle “miracolose” cure anti cancro come la dieta vegana, la dieta macrobiotica, la terapia Gerson, la terapia a base di dieta vegetariana e clisteri di caffè, tutte ampiamente smascherate come evidenti “patacche” che invece quel sito continua a riproporre come cure alternative (ed efficaci) alla chemioterapia.

Per non parlare della battaglia anti vaccini basata sulle “farneticanti” tesi di Joseph Mercola, un osteopata che commercializza integratori alimentari e dispositivi medici, più volte finito nel mirino della Food and Drug Administration (l’autorità del governo americano che vigila sulla commercializzazione e il marketing dei prodotti commerciali) per le sue pratiche di marketing considerate “intimidatorie” (il mondo medico-scientifico lo ha bollato quasi alla stregua di uno stregone…). Anche in questo caso quelle “bufale” hanno contribuito e contribuiscono ad aumentare i click e ad alimentare le entrate pubblicitarie, rischiando però di provocare effetti devastanti.

Ma allora, tornando alla diatriba da cui siamo partiti, Beppe Grillo sta difendendo la libertà espressione  o, come insinua maliziosamente qualcuno dei suoi avversari, si preoccupa solamente di salvaguardare gli interessi della Casaleggio Associati? Perché nel primo caso allora dovrebbe spostare il tiro e non certo chiedere che il web resti senza controllo.

Avrebbe e ha tutte le ragioni del mondo (e, per quanto conta, anche il nostro incondizionato appoggio) a protestare ferocemente contro la (presunta) risoluzione della Ue (quella per difendersi dalla propaganda avversa) che davvero rappresenterebbe una forma di inaccettabile censura. Avrebbe molte ragioni nel sollevare dubbi sulla reale possibilità, soprattutto nel nostro paese, di istituire  “un’Authority statale che offra garanzie di neutralità”(esistono in Italia organismi di controllo davvero neutrali?). Non solo, dovrebbe vigilare (e naturalmente con lui tutta l’opinione pubblica) affinchè vengano posti dei paletti ben precisi che distinguano in maniera netta e inequivocabile (non è certo difficile farlo) i confini tra la pubblicazione di notizie false e l’espressione di un’opinione.

E, soprattutto, dovrebbe essere lui per primo ad auspicare una seria lotta contro le cosiddette fake news (naturalmente nei limiti che il particolare mondo del web potrebbe consentire), in nome proprio di quella libertà di espressione che non trova certo compimento, anzi è esattamente agli antipodi, nella diffusione di notizie false. Il tutto senza cercare di trovare appiglio in tutte quelle pseudo giustificazioni che i soliti sciocchi “cortigiani” sono pronti a fornirgli, come l’impossibilità spesso di distinguere tra notizia e opinione o quella che tanto la disinformazione non viene solo dal web. Stupidaggini e pretesti utilizzabili solo da chi vuole tutelare ben altri interessi che non siano certo quelli più “nobili” della libertà di pensiero e espressione, del no convinto ad ogni forma di censura.

Perché la differenza tra notizia e opinione è sin troppo chiara ed evidente (per chi la vuole vedere) così come il fatto che la disinformazione in effetti può arrivare anche dagli altri mezzi di informazione (nessuno dei quali, però, ha il grandissimo stimolo a produrre “bufale” che è rappresentato dal clickbaiting) non può certo essere una valida ragione per accettare ogni tipo di schifezza proveniente dal web.

Naturalmente il discorso fatto nei confronti di Grillo vale allo stesso modo per il ministro Orlando, per il presidente dell’Antitrust Pitruzzella e per quanti chiedono una qualche forma controllo nei confronti del web. Assolutamente da sottoscrivere e da promuovere se il vero ed unico intento sia quello di punire e di cercare di stroncare chi, per le più svariate ragioni, inonda il web di ogni genere di schifezza (sotto forma di false notizie e insulti infamanti di ogni genere).

Altrettanto assolutamente da contrastare e combattere se, dietro quello che un giusto e condivisibile obiettivo, si nasconda la volontà in qualche modo di limitare, sia pure in minima parte, la libertà di ognuno di esprimere le proprie opinioni

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