Silenzio e desolazione dopo “l’urlo del diavolo”: il triste Natale di Forca Canapine


A 4 mesi dalla drammatica notte del 24 agosto e alla vigilia di Natale il pensiero torna a quello splendido luogo, ora in desolante abbandono, e a tutte quelle persone che, a causa delle scosse, hanno perso quasi tutto

Chi era nelle zone limitrofe all’epicentro del terremoto (e ha avuto la fortuna di scamparla) non potrà mai dimenticare quella notte del 24 agosto. A noi che eravamo a Forca Canapine, a pochi passi dalla faglia che ha provocato la violenta scossa, resterà per sempre il ricordo di quell’agghiacciante e terrificante boato, che sembrava preannunciare la fine del mondo, così come quella sensazione (per fortuna poi rivelatasi errata) che il rifugio in cui eravamo stesse per crollarci addosso. E poi ancora quel senso di smarrimento e terrore che resta anche quando l’interminabile scossa è terminata e ti rendi conto che sei stato fortunato, che quella struttura ha miracolosamente retto.

E quella folle corsa nella notte per tornare a casa, fermandosi praticamente ogni 100 metri per scansare i massi che avevano invaso la strada, il passaggio nel buio della notte nel viadotto sopra Pescara del Tronto, troppo preoccupati di passare indenni in una strada che in diversi punti aveva l’asfalto sollevato, per rendersi conto dell’immane tragedia che si stava consumando in quei luoghi.

Pochi giorni dopo quel terremoto, in uno splendido articolo pubblicato su “Il Foglio” (“Il terremoto e il diavolo della Forca Canapine che spaventò Gino Bartali”), Giovanni Battistuzzi raccontò la storia di Aldo Bini, gregario di Bartali, che durante un allenamento solitario su quelle strade “sentì un boato tale da fargli tremare le budella” e decise di non tornarci più, convincendo anche il capitano a non andarci. “Su quella salita (la Forca Canapine) – raccontava Bini – sentii il Diavolo. La stavo scalando, forte, quando un boato mi fece tremare le budella. Tutto tremò e mi presi una fifa tale che mandai a quel paese tutti e me ne tornai a casa”. Esattamente come Bini quella notte anche noi abbiamo sentito il Diavolo, il suo terrificante urlo.

Ma, a differenza del gregario di Bartali, chi come noi è affettivamente legato ai quei posti, non può che desiderare di poterci prima o poi tornare, non può certo accettare che l’ultimo ricordo  di quella suggestiva zona sia legato a quella terrificante notte. Sono passati 4 mesi da allora e alla vigilia di Natale abbiamo pensato di dedicare un pensiero innanzitutto a quelle zone, spesso dimenticate e poco considerate nei racconti che da allora si susseguono sul post terremoto, ma anche e soprattutto a chi, nelle varie zone colpite da quel sisma e da quelli di ottobre, con il terremoto ha perso tutto o quasi tutto, un familiare, un amico, la casa, il lavoro.

casetta-impiantiDi solito in questo periodo dell’anno Forca Canapine si animava, le sue piste da sci si riempivano di appassionati, le strutture della zone brulicavano di gente. I rifugi della zona erano una delle mete più richieste e ambite per la cena e per il periodo di Capodanno.  Oggi  su quelle piste regna solo la desolazione, le strutture e i rifugi intorno sono gravemente lesionate (se non distrutte). L’immagine della casetta degli impianti (foto a sinistra), in buona parte crollata, è l’emblema della situazione in cui si trova quella zona, quasi mai citata quando si parla del terremoto. Per carità, non è una notazione polemica, non potrebbe esserla perché non sarebbe nello spirito di questo pezzo.

E’ una semplice constatazione che trova la sua giustificazione nel fatto ci sono altri luoghi e altre zone più  popolate, che hanno subito gravi danni ed hanno anche pagato un alto prezzo in termini di vite umane. Però è innegabile che, mentre in quei centri, in quelle zone, sia pure molto a fatica si sta disperatamente cercando di ripartire (per quanto possibile), qui è tutto fermo a quella dannata notte del 24 agosto. O forse sarebbe meglio dire a quel 31 ottobre quando, dopo le forti scosse di qualche giorno prima, la mattina poco prima delle 8 è arrivato il terremoto 6.5 che ha dato il “colpo di grazia”. Quando, subito dopo la violenta scossa delle 3.36 del 24 agosto, siamo fuggiti, la situazione delle strutture non sembrava così disastrosa.

rifugio-perugiaIl rifugio Arca presentava qualche crepa ma tutto sommato neppure troppo grande, stessa situazione il Rifugio Colle le Cese, mentre peggio era andata al Rifugio Genziana e più in là, verso il Castelluccio, al Rifugio Perugia (foto a destra). Anche la strada stessa che da Forca Canapine scende verso il viadotto per Norcia , pur se invasa da massi e resa pericolosa da piccole frane, non aveva subito grandissimi danni. Dopo quelle scosse di ottobre la situazione è decisamente precipitata, le foto scattate e pubblicate su facebook dal gruppo “Escursioni in Montagna – Hiking Marche-Abruzzo” sono  sconfortanti.

strada-forca-canapine-1Il Rifugio Colle le Cese è gravemente danneggiato, non ci sono foto del Rifugio Arca ma le notizie che ci hanno riferito parlano di situazione praticamente simile. Ovviamente peggiorata anche la situazione del Rifugio Perugia, a dir poco in condizione disastrosa la strada che collega Forca Canapine al viadotto e alla galleria per Norcia (anch’essa chiusa perché gravemente lesionata). Interi tratti di strada franata, guard rail divelti, lunghi solchi e asfalto danneggiato (foto a sinistra). Alcuni giorni fa, esattamente il 12 dicembre, l’ente del Parco Nazionale dei Monti Sibillini in un lungo comunicato stampa ha fatto il punto della situazione, non solo delle strade ma anche dei sentieri la cui situazione è definita “molto complessa  e servirà tempo per verificare sul campo lo stato di ogni sentiero”.

Per quanto riguarda la viabilità, ribadito che tutte le strade che raggiungono Castelluccio (da Norcia, Castelsantangelo sul Nera e Arquata del Tronto) sono ancora chiuse, si ribadisce che sono chiuse “anche le strade per Foce di Montemonaco, per Forca Canapine (da Norcia e da Arquata del Tronto) e la galleria di S. Pellegrino”. In altre parole Forca Canapine è praticamente isolata e quasi irraggiungibile, anche perché non è certo migliore la situazione passando da Forca di Presta. E’ giusto preoccuparsi principalmente e in maniera prioritaria di quei centri più popolati dove la gente è dovuta “emigrare” o è costretta a vivere in alloggi di fortuna, in attesa di quella che sarà una lunga e faticosa ricostruzione.

Ma è chiaro che Forca Canapine e tutta quella zona rischiano seriamente di restare in questo stato per lungo tempo. E per chi affettivamente è legato a quei luoghi, per chi per anni ha vissuto in quelle piste, in quei prati, in quelle strutture momenti importanti ed indimenticabili della propria vita, pensare di non poter tornare più, che quella affrettata fuga notturna resterà l’ultimo ricordo di quel posto, fa male. E fa scendere un velo di tristezza, di malinconia anche sulle festività natalizie che ci accingiamo a vivere.

Purtroppo nulla a che vedere con la travolgente tristezza, il senso di disperazione e di sgomento con il quale affronteranno queste feste di Natale tutte quelle persone che, in questa interminabile emergenza sismica, hanno perso  molto di più  di un luogo dove trascorrere qualche giorno, qualche settimana. Naturalmente pensiamo a chi ha perso in quel tragico terremoto del 24 agosto qualche familiare, qualche parente, qualche amico, qualche conoscente. Ma anche a chi ha perso la casa, a tutti quelli che hanno dovuto abbandonare non solo la propria casa ma anche il proprio paese, la propria terra.

A quanti sono in alloggi di fortuna (che siano roulotte, container  o altro) o in qualche hotel della costa, a tutti coloro che da quella maledetta notte e da quelle serie di scosse si è visto stravolgere la vita. Credo che per quanto possiamo sforzarci è praticamente impossibile comprendere lo tsunami che si è abbattuto sulla loro vita, lo sconforto che da quei giorni è diventato per loro un compagno di viaggio quotidiano.

A loro, da parte di chi come noi ha vissuto solo un milionesimo di quello che hanno passato quelle persone, va il nostro pensiero e il nostro sentimento di vicinanza, sperando che almeno per qualche ora, per qualche istante, quella sensazione di desolante sconforto possa lasciare spazio ad un pizzico di serenità e di speranza.

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