In nome del popolo sovrano


Dopo il referendum tanti chiedono subito il voto, invocando il rispetto della “volontà popolare”. Che è  sacra ed inviolabile quando fa comodo, ma da ignorare quando va contro i propri interessi. Come nel caso della legge elettorale sulla quale il “popolo” si è espresso in favore di un sistema maggioritario uninominale ( il “Mattarellum”). Che, però, crea problemi a tutti i principali partiti…

Il popolo si è espresso, nel referendum del 4 dicembre scorso ha manifestato chiaramente ciò che vuole e bisogna rispettare la volontà popolare. E’ questo il refrain che si sente ripetere incessantemente da quella domenica, non solo sui social (insieme ad una serie indicibile di “menate” costituzionali  come quella dei governi non eletti dal popolo) ma anche nelle sedi e nei luoghi istituzionali da un buon numero di autorevoli esponenti politici. Il concetto espresso è sin troppo chiaro: il popolo ha votato in massa contro Renzi e il suo governo perciò ha manifestato il desiderio di tornare alle urne, di tornare a decidere chi ci deve governare. Perciò bisogna assolutamente rispettare il volere popolare e, quindi, sciogliere immediatamente le camere e tornare subito al voto.

Si potrebbe discutere sull’interpretazione autentica del sentimento popolare (hanno tutti votato solo contro Renzi o qualcuno si è espresso anche nel merito del quesito referendario?), del fatto che in realtà in quel referendum era in ballo la riforma costituzionale e non altro (anche se è innegabile che proprio il presidente del Consiglio Renzi ha voluto fortemente personalizzare e politicizzare la consultazione). Si potrebbe discutere su alcuni dettagli non indifferenti che consiglierebbero una maggiore precauzione ed un iter un po’ differente, non per rinviare “sine die” le elezioni ma semplicemente per attendere qualche mese, il tempo necessario per sistemare alcune fondamentali emergenze, tra cui anche la legge elettorale senza la quale, ovviamente, è difficile pensare di poter andare al voto. Ma non è questa la sede per farlo né ci interessa in questo contesto discutere di questi aspetti.

Molto più semplicemente ci preme sottolineare l’enorme ipocrisia che si nasconde dietro quel refrain ripetuto ossessivamente dai nostri politici. O meglio, quanto strumentale sia quel richiamo alla volontà popolare che, per tutti i nostri politici (nessuno escluso), è sacra e assolutamente da rispettare solo quando fa comodo, solo quando coincide con le proprie opinioni o, meglio ancora, con i propri interesse di parte. La storia degli ultimi decenni del nostro paese ne è la più palese dimostrazione,  più volte la cosiddetta “volontà popolare” è stata tranquillamente ignorata, se non addirittura ignobilmente calpestata, anche da quelli che oggi sbraitano per difenderne la sacralità.

Nel 1987, ad esempio, oltre 30 milioni di italiani si recarono alle urne per il referendum proposto dai radicali sulla responsabilità civile dei magistrati. Oltre 20 milioni di loro (l’80% dei votanti) si espressero in favore dell’abrogazione della normativa allora vigente, considerata fortemente limitativa sul piano della responsabilità civile. In altre parole il popolo italiano espresse, a larghissima maggioranza, la volontà di introdurre norme che affermassero una più ferrea responsabilità civile per i magistrati.

Volontà prima ignobilmente “sbeffeggiata”, con l’approvazione dopo il referendum di una legge (la Vassalli) che di fatto non cambiava nulla e continuava a tutelare i magistrati stessi, poi costantemente ignorata da tutti i partiti, ad iniziare dal Pd e dai vari cespugli del centrosinistra (che si sono sempre opposti ad un intervento in materia nel periodo berlusconiano), poi negli ultimi anni anche da Lega, Fratelli d’Italia e il Movimento 5 Stelle che hanno fatto le “barricate” in Parlamento per evitare l’approvazione di una legge in proposito che, per altro, solo in minima parte e molto blandamente andava nella direzione richiesta (per non parlare della campagna che da anni su questo argomento porta avanti qualche giornale, il “Fatto Quotidiano” su tutti).

Già, quando non è utile alla causa, quando non corrisponde ai propri interessi politici la volontà popolare non conta nulla, si può tranquillamente ignorare e “tradire”. La conferma, inequivocabile, a tal proposito arriva dall’ignobile “manfrina” che da anni va in scena sulla legge elettorale. Una “manfrina” che ora assume una rilevanza fondamentale perché per poter sciogliere le camere e andare a votare (cioè per fare quello che per i “custodi della verità” è la vera volontà popolare) serve una legge elettorale per la Camera e il Senato. Naturalmente gli impavidi difensori del popolo si guardano bene dal ricordare a tutti che anche in tema di legge elettorale  il popolo stesso si è ampiamente e ripetutamente espresso, in maniera netta e inequivocabile, per il sistema maggioritario uninominale (preferenza unica).

Lo ha fatto nel 1991 quando quasi 30 milioni di italiani si recarono alle urne e ben 27 milioni (95,5%) votarono si al referendum che proponeva che i voti di preferenza passassero da 3 a 1. Lo ha ribadito 2 anni dopo quando addirittura furono quasi 37 milioni i votanti, con 29 milioni di italiani (quasi l’83%) che votarono si all’abrogazione della legge elettorale del Senato per introdurre il maggioritario. Non possono esserci dubbi su quale sia la “volontà popolare” in tema di legge elettorale, in nessun altro referendum c’è stato un pronunciamento così chiaro , per giunta con un così elevato numero di votanti.

Tanto che  a fine 1993 il Parlamento ne prese atto, varando la nuova legge elettorale che, dal nome del suo relatore (l’attuale presidente della Repubblica Sergio Mattarella), fu definita il “Mattarellum”. Quello era un Parlamento sconvolto dal ciclone “Mani pulite”, in un periodo storico che segnava il tramonto della tanto bistrattata “Prima Repubblica”. Nella quale, però, su argomenti e su vicende così importanti (come indiscutibilmente lo è la legge elettorale) vigeva ancora il rispetto (reale, non strumentale come ora) della volontà popolare. Tanto che la nuova legge elettorale che venne fuori era davvero ben fatta, con il 75% di seggi attribuiti con il sistema maggioritario (475 collegi uninominali per la Camera, 232 per il Senato) ed il 25% con il proporzionale.

In quel modo non solo si rispettava l’espressione chiara e inequivocabile della volontà popolare ma si riusciva a coniugare perfettamente la governabilità con la rappresentanza, introducendo anche il deputato di collegio che restituiva all’elettore quel rapporto diretto con il proprio eletto. Forse proprio il periodo particolare, praticamente la fine di un’epoca, in cui è stata partorita, ha fatto si che quella legge non fosse fatta per favorire qualcuno o per usarla contro qualcun altro ma semplicemente per rispettare quanto espresso con il voto popolare.

Con quella legge si è votato per tre volte alle elezioni politiche, in due occasioni (1994 e 2001) ha vinto il centrodestra guidato da Berlusconi, in una (nel 1996) il centrosinistra guidato da Prodi. Poi nel dicembre 2005, in vista delle elezioni della successiva primavera, prevedendo una quasi certa sconfitta, il centrodestra allora al governo decise che era il caso di cambiare quella legge, approvando quella “schifezza” di legge elettorale poi passata alla storia con il nome di “porcellum” (visto che il suo stesso ideatore, il leghista Calderoli, la definì poi una vera e propria “porcata”), che aveva come unico obiettivo di fare in modo che la quasi certa vittoria del centrosinistra fosse comunque “monca” e, almeno al Senato, non garantisse una maggioranza ampia e tranquilla per poter governare.

Il primo caso di una legge elettorale fatta contro qualcuno e a vantaggio di qualche altro, un comportamento che definire ignobile sarebbe comunque riduttivo ma che, purtroppo, ora sembra essere diventato la prassi. In un paese civile Roberto Calderoli, dopo quell’ammissione, da un pezzo sarebbe fuori dal mondo politico. Invece nella nostra disastrata Italia  l’autore del “porcellum” merita ancora un seggio in Senato e resta uno degli esponenti più autorevoli di quella Lega che oggi urla ai quattro venti e chiede elezioni immediate, in nome di quella volontà popolare che, però, solo pochi anni fa non ha certo esitato, per “ragioni di bottega”, a sbeffeggiare e contraddire.

Ma non è certo solo la Lega a “predicare bene e razzolare male”, in sua degna compagnia ci sono anche Fratelli d’Italia  e il Movimento 5 Stelle per il quale, in questo caso, è molto più conveniente ignorare quella “volontà popolare” che , invece, quando fa comodo, viene invocata con veemenza. Naturalmente sullo stesso piano  ci sono anche gli altri partiti, dal PD a Forza Italia, dai centristi a i vari cespugli della sinistra, a nessuno dei quali fa comodo invocare la volontà popolare in tema di legge elettorale. Nulla di strano, nessuno (almeno da queste parti) si illude che ci siano particolari differenze tra vecchi e nuovi politici, soprattutto quando ci sono di mezzo interessi di bottega.

Stupisce piuttosto che anche la stampa glissi su questo argomento, anche quegli organi di informazione (come il “Fatto Quotidiano”, “Libero”, il “Giornale”) che un giorno si e quell’altro pure invocano questa presunta “sacralità” della volontà popolare. L’unico che ha avuto il coraggio di sollevare la questione è stato Antonello Caporale in un articolo pubblicato sul proprio blog, da sottoscrivere dalla prima all’ultima parola.

La legge elettorale è bella e pronta – scrive Caporale – è quella che seguì al referendum popolare che nel 1993 aveva decretato l’abolizione del sistema proporzionale. Il popolo è sovrano, vero?”. Si, ma solo quando la presunta sovranità coincide con gli interessi di questo o quel partito. E per quanto riguarda la legge elettorale la volontà e la sovranità popolare non coincidono con gli interessi di alcun partito. Infatti il sistema maggioritario uninominale provocherebbe sicuramente problemi al Pd che, con lo “tsunami” interno che sta vivendo, avrebbe non pochi problemi a scegliere i 700 rappresentanti (475 per la Camera e 232 per il Senato) da presentare nei collegi uninominali.

Non meno difficoltà causerebbe a Forza Italia, che ha non pochi problemi a livello di rappresentanza territoriale, così come alla Lega e a Fratelli d’Italia, che dovrebbero comunque allearsi con qualche altra forza per poter sperare di portare a casa un numero decente di parlamentari. Per non parlare del Movimento 5 Stelle che, con una classe politica ancora da formare e le evidenti difficoltà mostrate a livello territoriale, rischierebbe di perdere un numero consistente di parlamentari rispetto a quelli che potrebbe avere con altri sistemi elettorali.

Troppo rischioso per tutti il maggioritario uninominale, quindi la volontà popolare in questo caso può tranquillamente andarsene a quel paese.  D’altra parte solo qualche sprovveduto ingenuo può ancora pensare che, per quanto riguarda la legge elettorale, il criterio di scelta per questi partiti, per questi politici possa essere qualcosa di diverso che il proprio tornaconto. Basterebbe pensare a quanto sta accadendo ed è accaduto intorno all’Italicum, la legge elettorale ideata dal governo Renzi quando il leader del Pd era con il “vento in poppa” e poteva legittimamente pensare che non sarebbe servito neppure il ballottaggio per ottenere la maggioranza e, quindi, il governo del paese.

Allora per il Pd e per il presidente del Consiglio quella era la legge elettorale migliore di tutte, che avrebbe garantito la governabilità e che, addirittura, si sosteneva che “gli altri paesi finiranno per copiarcela” per quanto era fatta bene. Di contro il Movimento 5 Stelle, che proponeva una sorta di proporzionale puro (quello che avevano bocciato gli italiani con quei referendum…), definiva quella legge “fascista”, da cambiare a tutti i costi, addirittura arrivando a sostenere che era preferibile votare anche con il “porcellum”.

Pochi mesi dopo le mutate condizioni politiche, la diminuzione del gradimento dell’ormai ex premier, i sondaggi non più incoraggianti per il Pd e i nuovi possibili scenari politici emersi già alle elezioni amministrative hanno completamente ribaltato i giudizi. Ora è il Pd a definire pessima e sbagliata quella legge (fatta dal Pd stesso…), mentre il Movimento 5 Stelle, che ha capito che al ballottaggio avrebbe grosse possibilità (se non addirittura la quasi certezza) di vincere, non solo vuole andare a votare con quella legge “fascista” (sulla quale, è bene ricordarlo, grava il giudizio della Consulta che potrebbe rivoluzionarla completamente) ma addirittura propone di estenderla anche al Senato (cosa praticamente impossibile da realizzare visto che il Senato deve essere a rappresentanza regionale e l’Italicum, così come è,  non sarebbe in grado di farlo). Alla faccia della coerenza (da parte di entrambi), dei principi, dell’onestà intellettuale di questi soggetti.

Che ovviamente sono troppo interessati a guardare al proprio tornaconto, al proprio orticello, per potersi preoccupare realmente (e non solo per lanciare qualche slogan demagogico) di cosa vogliano gli italiani. Perché se lo facessero ci sarebbe ben poco da discutere, in un attimo si riprenderebbe  il Mattarellum (volendo ci sono già pronti dei correttivi per superare l’obiezione, comunque poco pertinente, che oggi il sistema è tripolare) e, completato rapidamente l’iter per quanto concerne tutte le incombenze inerenti il post terremoto, si potrebbe andare a votare subito, nel giro di qualche mese.

In pratica prendendo “due piccioni con una fava”, perché così si terrebbe realmente conto della volontà popolare sia per quanto riguarda la voglia di andare subito al voto sia per quanto riguarda il sistema con cui farlo. Già, ma forse sarebbe chiedere troppo a questa classe politica …

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