Una vita da terremotati


Le terribili conseguenze di quella che i psicologi chiamano “l’emergenza traumatica” e  le soluzioni per affrontare  il “Disturbo Acuto da Stress” che colpisce chi ha vissuto da vicino l’incubo terremoto

Esattamente due mesi dopo ci risiamo. Proprio mentre ci stavamo illudendo che il peggio fosse ormai alle spalle, le ripetute e violente scosse di ieri mercoledì 26 ottobre ci hanno fatto ripiombare nell’incubo terremoto. A differenza di due mesi fa, fortunatamente, il bilancio sembra decisamente più confortante in termini danni alle persone. Al momento c’è una sola vittima (morto per infarto) e solo feriti non gravi. Ma non sono mancati crolli e la situazione in alcuni comuni del maceratese (Visso, Ussita, Camerino) è davvero preoccupante.

Migliaia le persone che hanno trascorso la notte in strada, diversi per necessità ma moltissimi per paura. Si è ripetuto il solito scenario da terremoto anche ad Ascoli e nei comuni limitrofi, con i tradizionali punti di ritrovo (su tutti il piazzale dello stadio) che hanno fatto registrare quasi il tutto esaurito. Al di là di numeri e dati, sicuramente importanti, ci sono tante vite, tante persone che resteranno segnate per sempre da questa terribile avventura. E non stiamo parlando solo di chi nel terremoto ha perso o ha avuto lesionata la casa ma di chi ha avuto la sfortuna di trovarsi nelle zone dell’epicentro o nelle immediate vicinanze che, pur non avendo subito conseguenze gravi, dal momento della scossa è entrato in una nuova dimensione dalla quale sarà difficile uscire.

Non è facile spiegare, cercare di far capire cosa si prova e cosa avviene poi quando ci si trova a vivere una simile esperienza. Se, pur a chilometri di distanza, la situazione provoca panico e paure spesso incontrollabili, immaginate cosa può significare trovarsi in quelle zone, provate a pensare cosa avranno sentito le persone che vivono in quei centri. A parziale (molto parziale) consolazione c’è il fatto che questa volta le scosse più violente non sono arrivate nel cuore della notte. E, per quanto possa sembrare ridicolo, non è certo un particolare irrilevante. Non credo che esista qualcosa di più terrificante dell’essere svegliati, nel cuore della notte, dal boato tipico che accompagna le scosse più violente. E se vi sarà sembrato impressionante sentirlo a chilometri di distanza, provate a pensare cosa significa, cosa sente chi è li, nel pieno dell’epicentro.

E’ un qualcosa che ti paralizza, che non scorderai per il resto della vita, che solo a ricordarlo ti farà di nuovo tremare dalla paura. Proprio nei giorni successivi al terremoto del 24 agosto “Il Foglio” raccontava la storia di Aldo Bini, ciclista di poco successo e gregario di Gino Bartali che nel 1947 per un periodo si trasferì ad Acquasanta. Nella primavera di quell’anno, mentre affrontava da solo in allenamento la salita di Forca Canapine, raccontò di aver sentito il Diavolo “La stavo scalando, forte, quando un boato mi fece tremare le budella . raccontò Bini – tutto tremò e mi presi una fifa tale che mandai a quel paese tutti e me ne tornai a casa”. Pochi mesi dopo il Giro d’Italia, nella tappa Perugia-Roma , doveva passare proprio in quel posto ma Bini chiese agli organizzatori di cambiare percorso, non riuscendo, però, a convincerli.

Allora non solo decise di non partire ma, nonostante Bartali si stesse giocando il Giro con Coppi, convinse anche il suo capitano a non partire. “Non andare, te ne prego – gli disse – lì c’è il Diavolo e non scherzo. L’ho sentito, è tutto un tremolio”. Negli anni successivi Bini ha sempre raccontato  questa storia, sostenendo che a Forca Canapine aveva sentito l’urlo del Diavolo. Una definizione singolare che, però, forse rende l’idea. Chi ha sentito l’urlo del Diavolo lo porterà con se per il resto della propria vita. Sembrerà strano, ma il suono terrificante di quel boato copre ogni altra cosa, diventa persino difficile rendersi conto di quanto stiano tremando i muri, i pavimenti, le pareti. Il rumore, del boato e delle mura che tremano, è così intenso e terribile che in pochi attimi realizzi che sta per accadere l’irreparabile. Hai la sensazione che sia inevitabile, con un simile boato, che tutti ti crolli addosso.

Da quel momento in poi inizia una sorta di vita da post terremoto, con improvvise e incomprensibili ansie che si scatenano ogni qual volta qualche rumore particolare ti ricorda quel terribile boato. E’ una sensazione particolare, senti come un brivido che ti sale dai piedi fino al cervello, senti come un buco allo stomaco e in un attimo ti tornano in mente i fotogrammi e le sensazioni che hai vissuto quella notte. Non solo, anche per gli amanti della vita notturna, per un lungo periodo al primo calare delle ombre senti crescere un’incontrollabile situazione di disagio, di ansia, di strisciante paura.

D’altra parte non è certo una novità che da diversi anni equipe di psicologi studiano e cercano di affrontare  quella che viene chiamata “l’emergenza traumatica”. “Disturbo Acuto da Stress”, è questo il nome che viene attribuito alla reazione che il terremoto genera in chi lo vive così da vicino. Un disturbo che, secondo gli psicologi, è caratterizzato da elementi ben specifici. In particolare subito dopo l’evento si presentano nell’individuo colpito da Disturbi Acuto da Stress particolari sintomi: distacco o assenza di reattività emozionale, de realizzazione, depersonalizzazione, amnesia dissociativa (incapacità di ricordare qualche aspetto del trauma vissuto).

Nei giorni successivi si manifesta innanzitutto un marcato tentativo di evitare gli stimoli che evocano ricordi del trauma (pensieri, sensazioni, conversazioni, attività, luoghi, persone), associati a sintomi marcati di ansia, “arousal” (difficoltà a dormire, irritabilità, scarsa capacità di concentrazione, ipervigilanza, risposte di allarme esagerate, irrequietezza motoria). “Il disturbo – si legge nella relazione di un equipe di psicologi – causa disagio clinicamente significativo o menomazione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti, oppure compromette la capacità dell’individuo di eseguire compiti fondamentali, come ottenere l’assistenza necessaria o mobilitare le risorse personali riferendo ai familiari l’esperienza traumatica”.

Tale situazione si può manifestare subito ma anche nelle successive settimane (entro 4 settimane secondo gli esperti). E’ proprio in questa fase che, secondo gli psicologi, sarebbe importante intervenire con il cosiddetto “defusing”, una tecnica di gestione dello stress che prevede alcun fasi specifiche per aiutare gli individui a gestire l’emotività legate alla situazione. Con la consapevolezza, però, che il cammino per il ritorno alla normalità sarà comunque lungo e faticoso.

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