Il paradiso dei “mammoni”


Oltre il 67% dei giovani italiani tra 18 e 34 anni vive ancora a casa con i genitori, con una differenza di circa il 20% in più rispetto alla media europea. La difficoltà di trovare un’occupazione sicura ma anche i “lussi” e la sicurezza di una vita in famiglia alla base del crescente boom di “mammoni”

Parafrasando una famosa frase contenuta in un discorso di Benito Mussolini si potrebbe dire che gli italiani sono un popolo di santi, poeti, navigatori e “mammoni”. Che i giovani italiani facciano fatica a lasciare la comodità di vivere con mamma e papà non è certo una novità. Ma, semmai ce ne fosse stato bisogno, un’ulteriore conferma è arrivatadalla rilevazione Eurostat secondo la quale 2 ragazzi su 3 (67%) tra i 18 e i 34 anni in Italia vive ancora a casa con i genitori.

Un dato impressionante, soprattutto se si pensa che la media nel resto d’Europa è del 47,9%, ben il 20% in meno. E se complessivamente il numero di “mammoni” cresce nel nostro paese rispetto alla precedente rilevazione (riferita al 2014), per certi versi ancora più clamoroso è il dato relativo alla fascia di età tra i 25 e i 34 anni, con un ragazzo su due in Italia che ancora vive con i genitori rispetto al 28% del resto dell’Europa (e addirittura il 3,7% in Damimarca). Un dato ancora più significativo perché quella è la fascia d’età nella quale si sono terminati gli studi e si dovrebbe cominciare a lavorare.

Imbarazzante  è la distanza siderale, in questa fascia d’età,  rispetto ai paesi del Nord Europa (3,7% la Danimarca, 3,9% la Svezia) ma anche rispetto alla Francia (10,1%), il Regno Unito (16%) e la Germania (19,1%) mentre la Spagna è al 39,1%. Se si guarda alla fascia dei più giovani (18-24 anni) vive in casa il 94,5% del totale (79,1% in Ue) mentre tra i 20 e i 24 anni la percentuale scende al 93% (è al 59,8% in Francia). Particolarmente significativo anche il fatto che sono soprattutto i maschi italiani ad essere “mammoni”, con quasi 3 ragazzi su 4 (il 73,6%)  tra i 18 e i 34 anni che vivono ancora con i genitori, mentre si sfiora il 60%  (59,3%)  nella fascia d’età tra i 25 e i 34 anni.

Da notare che, nella medesima classe d’età, tra le ragazze la percentuale di chi continua a restare a casa precipita a poco più del 40%. E’ facile, di fronte a questi imbarazzanti dati, scaricare le colpe di questa situazione sulla crisi che da anni attanaglia il nostro paese, sulle difficoltà per i giovani di trovare un’occupazione stabile che consenta di pensare e mettere in pratica una vita indipendente. Sarebbe facile ma non veritiero perché, se è indiscutibile che questo fattore finisce inevitabilmente per incidere, è altrettanto innegabile che sarebbe riduttivo limitarsi a pensare che sia solo questa la ragione.

Sono i dati stessi, innanzitutto, a dimostrare il contrario, oltre che la storia degli ultimi 20-30 anni del nostro paese. Dicevamo dei dati, partiamo  da quelli relativi alla disoccupazione giovanile che, nella fascia di età tra i 18 e i 34 anni si attesta in Italia intorno al 35%, cioè oltre il 30% rispetto alla percentuale dei giovani che continuano a vivere a casa. Il raffronto con la situazione degli altri paesi europei rafforza questa considerazione, visto che la media di disoccupazione giovanile in Europa si attesta intorno al 27-28%. Inoltre Spagna e Portogallo hanno una disoccupazione simile alla nostra ma la percentuale di giovani che vivono ancora con i genitori è di oltre il 20% inferiore, mentre con paesi come Francia e Belgio, che hanno una situazione solo di poco migliore rispetto all’Italia, la distanza è addirittura superiore al 30%.

Certo avere un lavoro non significa automaticamente avere la possibilità di sostenere una vita indipendente. Ma gli stessi dati della ricerca Eurostat evidenziano che non è solo un problema di sicurezza economica. Infatti appena il 24% di chi continua a vivere con i genitori dichiara di essere disoccupato, mentre quasi il 50% ammette di avere un’occupazione full time a tempo indeterminato.

Sicuramente la necessità è un fattore importante – evidenzia la piscologa e psicoterapeuta Anna Olivieri Ferraris – ma la ricerca di lussi che solo la vita in famiglia può garantire è un dato culturale decisamente rilevante ma non certo nuovo. Molti si sentono più sicuri rimanendo a casa. Ma così si resta figli, con legami di dipendenza e non si diventa veramente adulti”. In altre parole la crisi, le crescenti difficoltà nel trovare un’occupazione sicura hanno semplicemente amplificato un problema che nel nostro paese esiste da anni, da decenni, e che ha radici nel nostro modo di essere, nel modo di interpretare il rapporto genitori-figli, nella difficoltà di tagliare completamente il cordone ombelicale che ci unisce ai nostri figli.

E’ così oggi, era così anche 20 anni fa. Tanto che già  nel 1998 l’Istituto di Ricerche sulla Popolazione (Irp) si occupava di approfondire la condizione che si vive quando ci si trova in quella che Joseph Conrad chiamava “linea d’ombra”, cioè quell’età incerta che segna il passaggio tra una giovinezza spensierata e la maturità. E già allora si parlava del fatto che i giovani italiani tardano sempre di più ad adottare quei comportamenti che di regola contraddistinguono l’essere adulti: terminare gli studi, uscire dalla famiglia, cominciare a lavorare, costruirsi una famiglia, propria avere i figli . E anche all’epoca si parlava di parziale influenza della situazione economica, in un paese che comunque non stava certo attraversando un periodo di difficoltà come quello attuale.

Da evidenziare, per altro, come già allora negli altri paesi europei si parlava di “mammoni” riferendosi ai giovani italiani, tanto che, ad esempio, in Norvegia spopolavano gli spot ironici in proposito che invitavano i giovani norvegesi a non fare come gli italiani. Circa 15 anni dopo  (2012) un’indagine realizzata da “Il Sole 24 Ore” in collaborazione con l’Università di Firenze, forniva un’immagine praticamente identica a quella del 1998 dei giovani italiani. Che, secondo quanto riportava il prof. Livi Bacci (coordinatore dell’indagine), continuano ad avere la stessa visione sequenziale delle fasi della vita che avevano i loro nonni o bisnonni: prima lo studio, poi il lavoro e infine mettere su famiglia.

Il tutto rimanendo strettamente legati all’ambiente famiglia, ai genitori che li tutela da situazioni di disagio e di difficoltà, cosa che invece non avviene in altri paesi, soprattutto anglosassoni. Nel nostro paese, in pratica, si crea un forte legame di complicità tra giovani e adulti che impedisce ai primi di crescere e che permette ai secondi di illudersi di non invecchiare o, quanto meno, di farlo molto più lentamente.  Dal punto di vista demografico questo comporta un continuo scivolamento in avanti delle tappe della vita adulta ed una concentrazione sempre più forte di tutti gli eventi demograficamente rilevanti come l’indipendenza, il distacco dai genitori, il matrimonio, nascita del primo, del secondo o dell’ultimo figlio, nei pochi anni che vanno dai 30 ai 40 o poco più.

Molto interessante, poi, analizzare i risultati di una successiva indagine condotta, tra il 2011 e il 2012, ancora dall’Irp che ha intervistato un campione di ragazzi e ragazze tra i 18 e i 34 anni che vivono ancora con i genitori. Dalle risposte degli intervistati emerge, infatti, che  essere giovani e vivere con mamma e papà fa godere di ampi spazi di libertà e dunque gli intervistati sembrano trovarsi a loro agio nella casa dei genitori e apprezzare molti aspetti della permanenza in famiglia. Infatti si sentono liberi di divertirsi, di avere una vita di relazione, di avere una propria privacy all’interno delle mura domestiche.

Quasi il 75% di loro  ha una stanza ed è libero di ospitare amici senza avvertire, il 56% può organizzare feste e cene senza alcuna restrizione  (e queste due ultime percentuali salgono rispettivamente all’89% e all’84%, se i genitori vengono prima avvertiti).  Qualche limite in più al fatto di poter godere momenti di intimità con il proprio partner anche se il 48% degli intervistati può farlo senza dare alcun preavviso ai familiari e l’9% deve prima avvertire i genitori. Libertà completa viene, infine, accordata dai genitori ai figli rispetto alle persone e ai luoghi da frequentare: il 94% dei ragazzi e delle ragazze è assolutamente libero di andare dove vuole e vedere chi vuole.

Pochi limiti anche al rispetto di semplici regole di convivenza come arrivare in tempo a pranzo o a cena o dormire fuori casa avvertendo i familiari. Non meno significativo, poi, il fatto che tra coloro che lavorano e vivono ancora con i genitori 2 su 3  economicamente non sono chiamati in alcun modo a contribuire alle spese domestiche della famiglia. In pratica siamo di fronte ad una semi indipendenza che presenta dei vantaggi evidenti, potendo abbinare una pressoché totale libertà di movimento al conforto di avere comunque qualcuno pronto ad accudirti e ad evitarti quella che solitamente sarebbe la parte più faticosa da affrontare per chi vive per conto suo.

Di fronte ad un simile quadro difficile non considerare appropriato il termine “mammoni”. Certo, poi altri fattori contribuiscono ad accentuare questa tendenza. Sicuramente la difficoltà di trovare un’occupazione certa ma anche un sistema scolastico universitario che tende ad allontanare il momento dell’indipendenza. In tal senso la scelta del 3+2 ha solo generato l’illusione che gli studenti arrivino prima al traguardo. Infatti se si tiene conto del biennio di specializzazione, sbocco praticamente quasi obbligato per quasi tutti i corsi triennali, secondo gli ultimi dati di AlmaLaurea  l’età media per la laurea finale è salita di poco sopra i 28 anni, addirittura leggermente superiore rispetto a quando era in vigore il vecchio ordinamento (27,8).

Nel nostro paese, poi, c’è un welfare completamente differente, anzi, forse sarebbe il caso di dire quasi completamente assente per quanto riguarda i giovani ed ancora meno una politica che incentivi e faciliti l’indipendenza dei giovani stessi. In alcuni paesi del nord Europa, ad esempio, vengono concessi agli studenti prestiti (intorno ai 60-80 mila euro) per studiare e vivere in autonomia per tutto il periodo universitario, senza particolari garanzie. I soldi verranno poi restituiti dopo la laurea con i futuri stipendi e con tassi di interesse comunque molto bassi. Inoltre in Danimarca, Norvegia, Olanda ci sono incentivi e anche sconti e condizioni particolarmente agevolate per i giovani che vanno a vivere da soli, in alcuni casi anche assegni di sostegno iniziali di 400-500 euro al mese. In quei paesi la precoce indipendenza dei giovani è considerata una risorsa.

La tarda età in cui arriva l’indipendenza dai genitori – spiega ancora Anna Olivieri Ferraris – non è un problema dei singoli ma del Paese. I giovani portano idee nuove, creatività, coraggio”  E lasciarli crogiolare in questo limbo, favorendo tutte le condizioni (in primis quelle economiche) per mantenerli eternamente adolescenti, significa perdere importanti potenzialità. Di cui un paese così  indietro e così profondamente vecchio (non nell’età) e chiuso  come il nostro avrebbe terribilmente bisogno.

 

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