In ricordo di Dario Fo, il “giullare” che divide anche da morto


Nel giorno in cui viene assegnato il Nobel per la letteratura a Bob Dylan, l’Italia piange la scomparsa del suo premio Nobel Dario Fo. Tra le solite imbarazzanti liti tra ultras e un’indecorosa disputa mediatica tra chi ricorda i suoi passati di estrema sinistra, chi finge di ignorarlo per ripicca e chi cerca di sfruttare anche la sua morte per fare propaganda elettorale

Giovedì 13 ottobre sarà ricordata come la giornata dei Nobel. Uno, Dario Fo, se ne è andato, un altro (Bob Dylan) è arrivato in maniera sorprendente, visto che è la prima volta che il Nobel per la letteratura viene assegnato ad un cantautore e compositore.

Magari sarà la suggestione e l’emozione del momento, ma sembra difficile non vedere un filo conduttore tra i due eventi, l’anticonformismo, l’arte del dissacrare istituzioni e convenzioni sociali, caratteristiche pregnanti di tutta l’attività artistica di Dario Fo, in qualche modo si riscontrano anche in una scelta, quella del Nobel a Dylan, spiazzante e per certi versi rivoluzionaria (anche se già nel 1996 Bob Dylan era stato candidato con questa motivazione: “Per l’influenza che le sue canzoni e le sue liriche hanno avuto in tutto mondo elevando la musica a forma poetica contemporanea”).

Purtroppo, poi, un altro filo comune lega le due vicende, la solita reazione che hanno scatenato nel nostro paese, sui social ma anche sui giornali con, tanto per cambiare, le ormai tradizionali divisioni tra  ultras che si schierano da una parte o dall’altra, con scontri dialettici e commenti, in alcuni casi anche violenti, ai limiti del surreale. Certo, parlando di Dario Fo, è innegabile che, come scrive oggi “Il Giornale”, il “suo schierarsi politicamente sempre all’estremo” ne ha caratterizzato indissolubilmente tutta l’esistenza. Ed è altrettanto innegabile che in tutti questi anni di lunga militanza politica e di posizioni spesso forti ed, appunto, estreme, possa aver compiuto scelte errate o non condivisibili da molti.

Ma è sconcertante e imbarazzante al tempo stesso che alla fine tutto si riduca esclusivamente ad un discorso di appartenenza di parte, tralasciando e non considerando (o addirittura disconoscendo) i meriti e le qualità di un grande artista che ha indiscutibilmente caratterizzato il suo tempo e che resterà nella storia della cultura e dell’arte non solo italiana ma mondiale.

Artista poliedrico, drammaturgo, attore, regista, scrittore, autore, illustratore, pittore e scenografo (così viene descritto da tutti i media), ha trascorso una vita nel teatro. Ha reinventato la satira, la comicità, con il suo innegabile anticonformismo (a cui si abbinava un accentuato anticlericalismo) e con la sua costante opposizione a ogni forma di potere costituito. Nella sua vastissima produzione (oltre 100 commedie, racconti, romanzi biografici, saggi) i personaggi della storia o del mito sono sempre presentati in un’ottica rovesciata, opposta a quella comune. Sin dalle prime sue opere compare quella satira fatta di smitizzanti ribaltamenti, quella forte critica alla morale comune, alle istituzioni.

I suoi testi e le sue opere  sono concepiti sul modello delle farse e delle commedie brillanti ma si caratterizzano per un’indiscussa singolarità, grazie ai continui rimandi e richiami al filone popolare dei lazzi della Commedia dell’arte, alle gag del circo e del cinema muto. La pietra miliare della sua carriera artistica è indubbiamente “Mistero Buffo”, un lungo monologo in grammelot (strumento recitativo che assembla suoni, onomatopee, parole e foni privi di significato in un discorso, utilizzato nel cinema nel monologo Adenoid Hynkel nel film “Il grande dittatore” di Charlie Chaplin e portato in teatro per la prima volta proprio da Fo) che offre una versione smitizzata di episodi storici e religiosi, coerente con l’idea che “il comico al dogma fa pernacchi, anzi ci gioca, con la stessa incoscienza con cui clown gioca con la bomba innescata”.

Ma a caratterizzare in maniera indelebile quello spettacolo è anche e soprattutto il modo con il quale Fo rielabora, come non si è mai visto prima, fantasticamente, antiche giullarate, testi popolari e vangeli apocrifi, attirando le ire del Vaticano. “Mistero Buffo” va in scena per la prima volta nel 1969 a La Spezia e diventerà un successo planetario. Addirittura verrà portato e rappresentato anche negli stadi, un unicum per gli spettacoli teatrali, e tuttora viene riproposto in teatro in varie forme e da diversi autori.

Particolarmente significativa, nei primi anni ’70, anche la sua produzione teatrale ispirata alla politica e ai fatti di quel periodo, con la convinzione che il teatro debba essere specchio di quello che succede nel paese. Da questa convinzione nasceranno “Morte accidentale di un anarchico”, “Non si paga, non si paga”, “Pum Pum! chi è? la polizia!”, “Il Fanfani rapito”.

A 71 anni, nel 1997, arriva il Nobel per la letteratura con la seguente motivazione “Perché, seguendo la tradizione dei giullari medievali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi“. Si potrebbe continuare a scrivere pagine su pagine sulla sua produzione artistica, sulla sua peculiarità. Quel che conta ribadire in questa sede è che il mondo culturale, artistico e dello spettacolo ne ha riconosciuto la grandezza, collocandolo tra i grandi del nostro tempo.

Naturalmente ciò non significa che artisticamente debba piacere a tutti ma è davvero imbarazzante il modo in cui, nelle ore successive alla sua morte, si è scatenata la solita disputa tutta politica su Dario Fo, tra chi lo contesta solo ed esclusivamente per motivi politici e chi cerca di utilizzare anche la sua morte a fini strettamente politici. La cosa singolare è che l’opera di demolizione nei confronti di Fo arrivi da destra ma anche da una parte della sinistra.

“Il Giornale” oggi  si è scatenato nel ricordare in negativo tutta la sua attività politica, riportando i giudizi “poco teneri” espressi nei suoi confronti da Oriana Fallaci, le vicende legate alla morte di Calabresi, ma anche la sua militanza (a 17 anni) nella Repubblica Sociale di Salò. Soprattutto, però, si rinfaccia a Dario Fo e all’associazione che aveva all’epoca creato (Soccorso Rosso Militante) il sostegno dato a Giovanni Marini e Achille Lollo autori del drammatico rogo di Primavalle.

Era l’aprile del 1973 quando un incendio avvolse l’appartamento di Mario Mattei , segretario della sezione del Msi di Primavalle. Nell’incendio morirono due figli di Mattei, il 22enne Virginio e il fratellino Stefano di appena 10 anni. Lollo e Marini (militanti di Potere Operaio) furono quasi immediatamente arrestati e incolpati. Ma negli ambienti dell’estrema sinistra si diffuse subito la convinzione della loro innocenza e in un documento chiamato “Controinchiesta” si parlò espressamente di “montatura, trama costruita da polizia e magistratura, faida interna tra esponenti della destra”.

Sposando la tesi dell’innocenza di Lollo e Marini, Dario Fo e Franca Rame si fecero promotori di una campagna di sostegno in favore dei due imputati (celebre la lettera inviata da Franca Rame ad Achille Lollo). Un grave errore perché poi gli atti e i successivi processi dimostrarono in maniera inequivocabile la responsabilità di entrambi nel duplice omicidio. Ma strumentalizzarlo a 43 anni di distanza (per altro cercando di far passare l’idea che Dario Fo quasi avesse giustificato l’accaduto, mentre è evidente che aveva semplicemente sposato la tesi, sbagliata, dell’innocenza dei due imputati) per far passare in secondo piano le sue indiscutibili qualità artistiche è davvero segno di un’imbarazzante mediocrità.

Non meno imbarazzante è l’atteggiamento avuto oggi da “L’Unità”, l’organo di informazione collegato al Pd, che ha praticamente ignorato la morte di Dario Fo, relegandola nelle pagine interne. Un segno di disprezzo per un artista che negli ultimi tempi si era avvicinato alle posizioni del Movimento 5 Stelle, polemizzando spesso in maniera feroce con il Pd stesso. Per certi versi peggiore, però, è l’atteggiamento del Fatto Quotidiano che da ieri, dalla notizia della morte di Dario Fo, ha ben pensato di sfruttare l’onda emotiva che la notizia ha provocato puntando forte sulla posizione di Fo sul referendum. A dir poco ignobile (non riesco a trovare altro termine per definirlo) il titolo di prima, a tutta pagina, del quotidiano diretto da Marco Travaglio, un “Vota Fo” (con chiaro riferimento al referendum del prossimo 4 dicembre) a caratteri cubitali che di diritto entra a far parte della galleria delle “schifezze” (purtroppo assai affollata) del giornalismo italiano degli ultimi anni.

Per una volta, immaginiamo nell’orrore di tanti, è giusto sottolineare la correttezza e la semplicità del comportamento del presidente del Consiglio Renzi. A raccontarcelo è il figlio di Dario Fo, Jacopo, che in uno sfogo poche ore dopo la sua morte ha dichiarato. “Lo hanno escluso da ogni cosa e ora sono tutti suoi fans? Il silenzio sarebbe stato più onorevole. Meglio Renzi che mi ha telefonato dicendo: nonostante le grandi distanze politiche volevo esprimere il mio cordoglio per un uomo che è stato importante in Italia”.

E allora se non si è capaci di riconoscere i meriti e il valore dell’artista, pur rimarcando la distanza politica dalle sue posizioni estreme, molto meglio rimanere in silenzio ed evitare di trasformare anche un simile evento nella solita insulsa disputa tra ultras.

 

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