Ennesima strage nel 2018, secondo i dati dell’Inail si viaggia alla terrificante media di 2 morti al giorno, con un aumento del 4,5% rispetto all’anno precedente. E nei primi 4 mesi del 2019 si è registrato un ulteriore incremento del 5,9% rispetto al 2018
Si continua a morire sul lavoro con drammatica frequenza nel nostro paese. Nell’ultimo anno (2018), solo prendendo a riferimento quelli ufficialmente accertati dall’Inail, si è viaggiati quasi alla media di 2 al giorno. E, addirittura, la situazione è ulteriormente peggiorata nei primi 4 mesi del 2019. “Le morti sul lavoro sono segno di sottosviluppo e inciviltà” sosteneva il presidente delle Acli Roberto Rossini. E già solo questo sarebbe sufficiente per non stupirsi più di tanto, in un paese che sta sempre più rotolando verso il basso e nel quale l’inciviltà è diventato un tratto penosamente caratteristico è, purtroppo, quasi inevitabile che si continui a morire di lavoro.
Bisogna, per altro aggiungere, che quella che sarebbe una “piaga” inaccettabile per un paese civile, in Italia continua ad essere sottovalutata, quasi ignorata. Qualche commento, qualche proclama quando vengono forniti i dati ufficiali, qualche convegno e qualche dibattito quasi per scaricarsi la coscienza poi cala nuovamente il silenzio, almeno fino a quando non vengono resi pubblici i nuovi dati. Quel che è peggio, però, è che in concreto da tempo non si fa nulla per fermare questo scempio.
Questo perché si tratta di un argomento delicato che di certo non porta voti, non fa aumentare il consenso elettorale perché ha bisogno di interventi strutturali, di politiche serie e programmate scrupolosamente nel tempo. In altre parole ha bisogno di un’attenzione costante per poter produrre frutti che, inevitabilmente, eventualmente si potrebbero valutare e verificare solo a lunga scadenza. E in un sistema politico ormai impazzito, in cui l’adozione di qualsiasi provvedimento è determinata non dall’interesse comune ma dal ritorno in termini elettorali, è chiaro che un’emergenza così complessa venga di fatto ignorata.
Non è un caso che nel contratto di governo di Lega e Movimento 5 Stelle non viene dedicata neppure una riga a questa delicata questione, nelle due pagine dedicate al lavoro si trattano diversi argomenti ma alla sicurezza non viene riservata neppure una frase, una parola. Non che i governi passati abbiano fatto qualcosa di più o qualcosa di meglio, anzi. Però un segnale concreto e tangibile di quel cambiamento tanto proclamato sarebbe stato, ad esempio, un impegno serio ed efficace per quella che è una vera tragedia nazionale.
Purtroppo che non sia un’esagerazione giornalistica lo confermano i dati dell’Inail, illustrati dal presidente Massimo De Felice mercoledì mattina a Roma, presso la Sala Regina di Palazzo Montecitorio, e contenuti nella Relazione annuale Inail 2018. Va detto, per altro, che già 6 mesi fa, a fine 2018, le prime anticipazioni in proposito fornite dall’Inail delineavano un quadro a dir poco preoccupante. Puntualmente confermato, purtroppo, dai dati ufficiali. Che evidenziano un preoccupante aumento, rispetto al 2017, sia delle denunce di infortunio mortale, sia dei casi ufficialmente accertati “sul lavoro”.
Complessivamente sono state 1.218 le denunce di infortunio mortale nel 2018 (+6,1%), con 704 casi accertati ufficialmente (+4,5%) con ancora una quarantina di istruttorie da completare. Quel che è peggio, però, è che nei primi 4 mesi del 2019 i casi mortali denunciati sono stati 303, con un ulteriore aumento del 5,9% rispetto allo stesso periodo del 2018.
In diminuzione gli infortuni riconosciuti sul lavoro (409 mila, -4,3% rispetto al 2017), mentre sono in continua crescita le malattie professionali. Nel 2018 ne sono state denunciate poco meno di 60 mila (il 2,6% in più rispetto all’anno precedente. Ma le rilevazioni più recenti mostrano un ulteriore aumento nei primi 5 mesi del 2018, con 27.385 denunce, 372 in più (1,4%) rispetto allo stesso periodo del 2018. Va per altro sottolineato, in riferimento all’ultimo anno, che le denunce riguardano le malattie e non i soggetti ammalati, che sono circa 43mila, di cui quasi il 40% per causa professionale riconosciuta.
I lavoratori con malattia asbesto-correlata sono stati poco meno di 1.400, mentre quelli deceduti nel 2018 con riconoscimento di malattia professionale sono stati 1.177 (-16,4% rispetto al 2017), di cui 257 per silicosi/asbestosi (il 74% con età al decesso maggiore di 79 anni). I dati sono emblematici, ma c’è dell’altro. Sembra incredibile, ma la situazione in Italia sta peggiorando di anno in anno.
Nel 2013 i morti sul lavoro erano 463 (comunque tanti), sei anni dopo sono quasi raddoppiati. “Non possiamo continuare a piangere vittime, dobbiamo decidere cosa fare – commenta il presidente dell’Anmil (Associazione nazionale lavoratori invalidi e mutilati dal lavoro) Franco Bettoni – quello a cui stiamo assistendo è un trend inaccettabile. Bisogna riunire tutte le forze sociali e fare qualcosa, serve immaginare un nuovo modo di sensibilizzare sulla questione, comunicare che la sicurezza sul lavoro colpisce tutti e trovare il modo di far diminuire questi numeri. Penso al rispetto delle norme, alla formazione, all’informazione, a pene certi. Ma è qualcosa che dobbiamo fare tutti insieme”.
Al di là di tutto, appare evidente che dietro questo clamoroso aumento delle morti ci siano delle responsabilità precise, in gran parte culturali. E’ stata abbassata la guardia, è necessario nell’immediato riprendere ad investire sulla prevenzione, moltiplicare i momenti di assemblea e di formazione. Esattamente l’opposto di quello che è accaduto in questi ultimi anni durante i quali si è assistito ad una progressiva diminuzione dei fondi per il controllo e la prevenzione.
“Il tema della salute e della sicurezza sul lavoro costituisce un ambito privilegiato di competenza istituzionale ed è oggetto di costante impegno per la piena tutela della salute, dell’integrità e della dignità della persona in ogni ambiente di lavoro” si legge nel sito del ministero del lavoro. Belle e condivisibili parole, purtroppo da anni non supportate da fatti concreti.