Andiamo alla guerra…


Nel 2017 le spese militari del nostro paese hanno sfiorato i 30 miliardi di euro. E l’attuale ministra “grillina” Elisabetta Trenta in un’intervista su “Defense News” paventa un progressivo ulteriore aumento di 10 miliardi. E nessuno stop al programma degli F35

Se fossimo degli ingenui sprovveduti ora dovremmo chiederci con stupore come è mai possibile che ci siano problemi a trovare i miliardi per finanziare il reddito di cittadinanza, ben oltre gli insufficienti 9 miliardi citati nel Def. Perché uno degli storici “cavalli di battaglia” del Movimento 5 Stelle è sempre stato il taglio draconiano delle spese militari, a partire dalla cancellazione di alcuni contestati programmi militari (in particolare quello degli F35).

Lo stesso Grillo più volte, in particolare con due lunghi interventi sul proprio blog (21 maggio 2012 e 10 ottobre 2015) aveva promesso che, una volta arrivato al governo, il M5S avrebbe tagliato di almeno 10 miliardi le spese militari per finanziare il reddito di cittadinanza. Sarebbe stato sufficiente mantenere questa promessa per avere fondi a volontà per finanziare quell’intervento. E, soprattutto, sarebbe stato un provvedimento coraggioso da applaudire e da condividere pienamente. Si perché, anche se per la Costituzione in teoria l’Italia dovrebbe ripudiarla, in realtà a guardare i numeri e le spese annuali per quel comparto, il nostro sembra un paese perennemente in guerra.

In un contesto generale che nel 2017 vede un aumento clamoroso della spesa militare mondiale, che ha raggiunto il record storico di 1.739 miliardi di dollari, l’Italia fa ampiamente la sua parte con una spesa annua di quasi 30 miliardi di euro che la colloca al quarto posto in Europa (dietro Francia, Inghilterra e Germania). Numeri impressionanti, è del tutto evidente che, con una semplice equazione, basterebbe dimezzare quelle spese per avere a disposizione un bel gruzzoletto per fare interventi e provvedimenti concreti e importanti, come ad esempio proprio il reddito di cittadinanza.

Al di là delle promesse e delle buone intenzioni, però, solo un ingenuo illuso poteva realmente credere che qualcosa potesse cambiare con questo governo. Innanzitutto perché la presenza (dominante nei fatti anche se non nei numeri) della Lega nell’esecutivo mal si concilia con un intervento così coraggioso (contro il quale il Carroccio sicuramente farebbe le barricate).

Ma anche e soprattutto perché sappiamo perfettamente che è sin troppo facile proclamare certi “buoni propositi” quando si è tranquillamente all’opposizione, fuori dalle stanze del potere e ben altra cosa è poi tener fede a quelle coraggiose promesse quando si entra dentro quelle stanze. Per questo non ci aspettavamo nulla di nuovo e di rivoluzionario, anche se di certo ci hanno lasciati a dir poco perplessi le dichiarazioni rilasciate dal ministro della difesa Elisabetta Trenta nei giorni scorsi a “Defense News”, la rivista americana di settore.

Altro che taglio “draconiano”, la ministra grillina ha addirittura parlato di aumento della spesa militare, ribadendo che l’Italia punta a raggiungere l’obiettivo di spesa per la difesa pari al 2% del prodotto interno lordo. Che, in numeri, significherebbe passare a circa 40 miliardi all’anno, praticamente con un aumento di 10 miliardi (il 33% in più). Un dato impressionante, già ora l’Italia praticamente spende oltre 80 milioni al giorno, così si sfiorerebbe quota 100 milioni.

Sarebbe curioso sapere dove la ministra prevede di prendere quei 10 miliardi, cosa vorrebbe tagliare per incrementare quella spesa che, fino a qualche mese fa, il suo partito voleva dimezzare. Ancora più significativo, però, è il fatto che la Trenta ha confermato che non ci sarà alcun passo indietro sui famosi F35. L’acquisto dei caccia prodotti dalla Lockheed, salvo improbabili ripensamenti, è confermato.

Al di là della solita speculazione politica da parte di chi ha addirittura parlato di nuovi acquisti (che non ci saranno, lo ha ribadito a chiare lettere la ministra più volte, anche in un post di due giorni fa su facebook), è chiaro che anche solo la conferma del programma degli F35 sarebbe una clamorosa sconfessione di una battaglia portata avanti da anni dal M5S.

Tanto che nel 2017, nel programma relativo alla difesa votato in rete da poco meno di 20 mila iscritti, si chiedeva “senza se e senza ma” la chiusura immediata di quel programma, senza attendere la sua conclusione naturale (l’accordo sottoscritto diversi anni fa prevedeva inizialmente l’acquisto di 131 caccia, poi ridotti a 90, entro il 2027, per una spesa di 13,5 miliardi).

Come dimenticare, ad esempio, le parole di uno dei leader del Movimento 5 Stelle, Alessandro Di Battista, che nel 2013, quando Letta e il Partito Democratico giustificavano il mancato stop al programma con il solito ritornello del rischio penale e di un accordo che non poteva essere stracciato, ironizzava parlando in proposito di “supercazzola del Pd” per difendere un programma che era definito “uno strumento di morte”. Ironia della sorte quella stessa “supercazzola” la ripete la ministra grillina.

Che nel luglio scorso ad “Omnibus”, proprio come Letta nel 2013, affermava che “non nascondiamo che siamo stati critici del programma e per questo non compreremo nuovi caccia. Ma, alla luce dei contratti in essere già siglati dal precedente esecutivo, stiamo portando avanti un’attenta valutazione che tenga esclusivamente conto dell’interesse nazionale. Questo perché potremmo scoprire che tagliare costa più che mantenere e bisogna analizzare bene le implicazioni che determinerebbero, perché ci sarebbero delle forti penali. Senza dimenticare, poi, che intorno agli F35 c’è un indotto di natura tecnologica, di ricerca e occupazionale che taglieremmo a sua volta”.

Una sorta di deja vu, cambiano solo i protagonisti, si capovolgono i ruoli ma il copione è sempre lo stesso. La citata intervista su “Defense News” chiarisce ulteriormente la situazione, con la ministra che lascia intendere che il programma verrà sicuramente rispettato, anche in virtù delle citate penali. Che, però, sembrano essere una giustificazione di comodo.

Perché nella relazione dello scorso anno su questa vicenda, la Corte dei Conti, dopo aver evidenziato lo “spreco”, sottolineava come “la partecipazione nazionale al programma non è soggetta a penali contrattuali”. Quindi, a meno che la Corte dei Conti non ha preso una “topica” pazzesca, si può uscire senza danni da quel programma. Basta volerlo realmente e non solo a parole…

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