QuakeLab Center, una grande opera inutile


Il progetto “QuakeLab Center Vettore” prevede la realizzazione di un laboratorio tecnologico per la ricerca sui fenomeni sismici a Capodipiano (Venarotta), con un finanziamento pubblico di 21 milioni. Ma, per come è strutturato, solleva grossi dubbi e perplessita

Li suord fa ji l’acqua pe’ nen su” recita un famoso detto ascolano. Che, per chi non è troppo avvezzo al nostro dialetto, vuole dire che con i soldi è possibile realizzare qualsiasi assurdità, anche far andare l’acqua dal basso verso l’alto. E di assurdità e paradossi nel progetto QuakeLab Center Vettore ce ne sono talmente tanti da far quasi sembrare una cosa normale pensare che l’acqua possa andare dal basso verso l’alto…

Già il nome stesso del progetto è di per sé un paradosso, visto che si fa riferimento al Vettore per una struttura che dovrebbe sorgere sulla collina di Capodipiano (frazione di Venarotta), semmai più vicina al monte Ascensione che al Vettore. Certo, però, chiamare il progetto “QuakeLab Center Ascensione” o, peggio ancora, “Capodipiano” indubbiamente non avrebbe avuto lo stesso appeal. Ma se si trattasse semplicemente di un problema di nome non troppo corrispondente alla realtà ci si potrebbe anche passare sopra.

Il guaio è che siamo di fronte ad un’operazione a dir poco ambigua e contraddittoria che, se mai venisse davvero realizzata in questi termini, produrrebbe una grande e costosissima opera inutile, che avrebbe come inaccettabili contraltare la cementificazione selvaggia di un importante tratto collinare e una serie di conseguenze “nefaste” per la comunità locale.

Non solo laboratori per prove sismiche

Ma vediamo nel dettaglio di cosa si tratta e per quali ragioni il progetto, almeno così come è attualmente, non convince affatto. Il progetto “QuakeLab Center Vettore” prevede la realizzazione di un laboratorio tecnologico e scientifico per la ricerca, la didattica e la divulgazione delle tematiche inerenti i fenomeni sismici, con un centro di documentazione permanente sulle tematiche sismiche su base nazionale ed internazionale, con la finalità di offrire una divulgazione innovativa del “fenomeno sisma”.

In concreto significa la realizzazione di una mega struttura di diciannove metri di altezza che conterrà laboratori per operare prove sismiche sugli edifici, sale multimediali, tavole vibranti e carriponte. La struttura sarà inoltre munita di un’ampia autostazione, di una pista di atterraggio per elicotteri e di mega parcheggio.

Secondo i proponenti (Anci, Unione Montana del Tronto e Valfluvione e Comune di Venarotta) e gli ideatori del progetto (la cordata imprenditoriale ascolana Genera Scarl) il QuakeLab sarà “un potente attrattore scientifico-culturale ma anche turistico” e l’obiettivo è quello di renderlo “uno degli snodi di un virtuoso ecosistema dell’innovazione, a perimetro regionale”. Inizialmente è previsto un investimento complessivo di circa 21 milioni di euro, fondi pubblici stanziati per lo sviluppo nelle aree colpite dal sisma (e, allora, forse il riferimento al Vettore nel nome non è solamente un vezzo…) nell’ambito dell’Asse 8 del Programma operativo regionale del Fondo europeo di sviluppo regionale (Por Fesr) 2014-2020.

Piano che, sulla base di quanto riportato nella delibera regionale n. 1513 del 18 dicembre 2017, persegue due fondamentali obiettivi: attuare interventi sul patrimonio per mettere in sicurezza gli edifici pubblici, assicurando al contempo una maggiore efficienza energetica, e porre in atto azioni tese alla ripresa del tessuto produttivo delle aree in oggetto.

Genera Scarl, chi si rivede…

A sollevare le prime grandi perplessità sono i nomi di chi ha proposto il progetto e di chi lo dovrebbe coordinare. Ruolo assegnato dalla Regione all’Istituto Adriano Olivetti – Istao, una fondazione privata presieduta da politici (tra cui l’ex assessore regionale Marcolini e il sindaco di Ascoli Castelli), imprenditori (Adolfo Guzzini, Patrizia Clementoni, Enrico Brizioli) con i rispettivi gruppi, oltre che Banca d’Italia, Ubi Banca Spa e Università Politecnica delle Marche. In altre parole, quindi, un ente privato, nel quale sono ampiamente rappresentati alcuni dei cosiddetti “poteri forti”, è stato nominato da un’amministrazione pubblica a coordinare fondi della collettività per scopi di interesse pubblico.

La società capofila e promotrice del progetto è una “vecchia conoscenza”, la Genera Scarl. Si tratta di una società consortile che raccoglie quasi 40 soggetti economici (piccole e medie imprese), che si è costituita nel 2006, prendendo la denominazione attuale nel 2010. E’ nota per essere stata a capo del progetto della riurbanizzazione della zona dell’ex Carbon di Ascoli, nel centro del capoluogo piceno.

Un progetto che avrebbe trasformato quella grande area in un quartiere con quasi 100 mila metri quadrati destinati a nuova edilizia residenziale privata e che si è bloccato sulla bonifica dell’area ma anche per l’arretramento del valore dei prezzi delle case sul mercato immobiliare piceno, tra i primi in Italia per calo dell’attratività del mattone (quasi 30% in meno nel giro di pochi anni).

L’idea di realizzare un polo tecnologico, quindi, non è certo nuova, alla base c’è la stessa volontà di capitalizzare fondi europei di sviluppo regionale attraverso la costruzione di un polo tecnologico. C’è, però, una piccola differenza, non di poco conto. Allora, quando si trattava di intervenire sulla zona dell’ex Carbon, la Genera Scarl scriveva che un polo tecnologico “è inimmaginabile senza la città intorno”.

Ora quella condizione vincolante d’incanto scompare, visto che i progettisti della società consortile vogliono traslare il progetto sulla montagna picena, lontano dalla città. E proprio la localizzazione della zona dove dovrebbe sorgere il QuakeLab è uno degli aspetti che genera maggiore perplessità.

Capodipiano e quell’irresistibile voglia di cementificare la collina

L’area scelta è quella della frazione di Capodipiano, già da anni oggetto gli appetiti di chi vuole cementificare. L’ultimo faraonico progetto prevedeva l’edificazione di un mega complesso scolastico per accogliere gli studenti del “comune unico” Venarotta-Roccafluvione, un’opera assolutamente inutile e inappropriata fermata dalla convinta avversione della popolazione residente.

E’ significativo il fatto che nella delibera di indirizzo per il progetto QuakeLab (la n. 24 del 24 aprile 2018), l’Unione Montana del Tronto – Valfluvione afferma che “il Centro sarà ubicato nell’area industriale e servizi del Comune di Venarotta”. In realtà, come si può ben vedere dalla foto, si tratta di un’area attualmente agricola che, sulla base di una discutibile variante urbanistica, è destinata a diventare ad attività artigianale-industriale.

Rispetto al contestato e poi bloccato progetto per il complesso scolastico, in questo caso è investita una ben più ampia porzione di territorio, visto che oltre a quella delle strutture del QuakeLab va considerata anche la superficie per la base di atterraggio degli elicotteri, l’area parcheggio e quella per manovre delle flotte di autobus.

Considerando lo spazio che sarà occupato da un cantiere che durerà anni, con le relative urbanizzazioni, le manovre dei mezzi, il sollevamento di polveri e il traffico intenso su vie di collegamento già scomode, è sin troppo semplice immaginare i tanti disagi che dovrebbero sopportare i residenti di Venarotta, Roccafluvione e delle frazioni.

Disagi che rendono ancora più incomprensibile quello che è il più clamoroso ed evidente paradosso generato da questo progetto: la cementificazione di un’area rurale e paesaggistica di pregio nella provincia delle fabbriche vuote.

Nella provincia delle fabbriche dismesse si “devasta” un’area rurale di pregio

A soli 7 km in linea d’area da Capodipiano c’è la zona industriale di Ascoli che offre infinite opportunità di riconversione di aree già edificate, basti pensare alle tante fabbriche che hanno abbandonato il territorio negli anni delle delocalizzazioni. Non solo, secondo il Piceno Consind sarebbero immediatamente disponibili, infrastrutturate e già pronte per essere cedute a chi vuole investire nel territorio circa 30 mila mq di zone produttive attrezzate.

Senza dimenticare aree che sarebbero perfettamente idonee ad una progettualità simile, come ad esempio l’ex Carbon. Inevitabile, quindi, chiedersi perché non si è scelta quella che sarebbe stata la soluzione più logica e più semplice, perché non si è puntato su aree  che,a differenza di Capodipiano, sono facilmente raggiunte da infrastrutture primarie (superstrada e ferrovia).

Particolare quest’ultimo certo non meno importante, considerando che il progetto, quando sarà a pieno regime, accoglierà “flotte di autobus” che dovranno percorrere 16 km di curve su una strada provinciale per nulla comoda e a doppia carreggiata. E, al di là delle difficoltà che tutto ciò comporterà per la popolazione locale (che non è certo un aspetto da sottovalutare), è davvero insolito pensare ad una struttura tale così lontana dai principali nodi stradali e ferroviari.

L’esempio dell’Eucentre di Pavia: meglio in un’area urbana

Tra l’altro la localizzazione di un parco o di un centro tecnologico del genere è elemento cruciale, quasi decisivo. E’ del tutto evidente che un distretto scientifico situato in un’area urbana lascia aperta la porta a importanti prospettive di crescita.

L’esempio più evidente è il centro di sperimentazione sismica già presente nel nostro paese, l’Eucentre di Pavia, che è situato nella zona industriale della città lombarda e intorno al quale si è sviluppato il complesso universitario cittadino. Non bisogna certo essere dei geni per comprenderlo, una simile struttura in un’area urbana può funzionare da vettore per innescare distretti potenzialmente più estesi. In una zona rurale come Capodipiano nella migliore delle ipotesi alla fine avremo la classica cattedrale nel deserto. L’alternativa, sicuramente ben peggiore, sarebbe una corsa alla cementificazione selvaggia di quella zona.

Come se non bastasse, c’è poi da sottolineare la clamorosa ed evidente insensatezza di situare un simulatore di terremoti in un territorio altamente sismico, dove dal 2016 assistiamo impotenti a sciami sismici a bassa e media intensità. Gli studiosi del centro sperimentale dovrebbe continuamente fare calcoli di tara per capire quanto sugli edifici “in test” agiscano le scosse artificiali o quelle naturalmente indotte dal movimento tellurico.

Un silenzio sospetto

Infine c’è anche da sottolineare come la programmazione europea, nella quale rientra il Por-Fers, si fa portavoce di una politica basata sul coinvolgimento delle comunità locali, sulla collaborazione con tutti gli attori del territorio. Coinvolgimento che, però, in questo caso è praticamente assente, al punto che nessuno, né negli uffici comunali, né tra la popolazione della zona, sa nulla di questo mega progetto.

Solo nei giorni scorsi, esattamente il 24 luglio (a tre mesi dall’approvazione della delibera da parte dell’Unione montana), il Comune di Venarotta ha organizzato un concerto di musica classica intitolato “QuakeLab Project” durante il quale, tra un’esibizione canora e l’altra, sono state fornite molto parziali e sommarie informazioni sul progetto. Un silenzio a dir poco sospetto, è impossibile non chiedersi come mai un’iniziativa che, a detta dei promotori, dovrebbe portare così tanti benefici non venga promossa in maniera convinta e diffusa.

Quasi superfluo aggiungere che una possibile risposta a questo interrogativo ci sarebbe… In ogni caso, nonostante il sostanziale silenzio sul progetto, è già partita la mobilitazione che presto dovrebbe portare ad incontri con la cittadinanza.

Un simile investimento – si legge sul sito “nocementocapodipiano” – è senza dubbio un’occasione da non perdere. Ma la ricetta per l’utilizzo dei fondi non va lasciata in mano degli specialisti e dei grandi soggetti privati. Le comunità devono essere chiamate a riflettere su come tali risorse possano soddisfare al meglio le proprie aspirazioni e le necessità. Non è necessario perciò elencare la lista dei possibili interventi su scala ridotta che potrebbero disseminarsi positivamente sul territorio, accompagnando azioni di riattivazione produttiva: centri tartuficoli, laboratori di trasformazione dei prodotti alimentari, strutture per il turismo lento, piccoli distretti artigianali, infrastrutture pubbliche per mercati dei produttori locali etc. Le stesse risorse sarebbero impiegate in progettualità rispondenti alle visioni di sviluppo delle comunità dei residenti e non a interessi economici di attori estranei al territorio”.

Rispondere no al progetto del QuakeLab – conclude la nota – significa quindi domandarsi come, dove e quando sarebbe opportuno investire quelle risorse invece che lasciarle nelle loro mani”.

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