“Sequestri” di Stato: l’infanzia “rubata”


La vicenda dei “genitori nonni” di Torino riaccende il dibattito sugli allontanamenti dei minori dalla propria famiglia d’origine e delle norme troppo vaghe e generiche che producono delle vere e proprie bestialità. E che finiscono per alimentare una sorta di “business” da oltre 500 milioni di euro all’anno

La Cassazione lo ha ribadito con una sentenza  del giugno scorso: la legge non prevede limiti di età per chi intende mettere al mondo dei figli. In quella stessa pronuncia era stato  stabilito con assoluta certezza  che quella coppia di Torino promotrice del ricorso, da un punto di vista genitoriale, era da considerare del tutto capace, sottolineando anche che era stata scagionata dall’accusa di abbandono di minore. Però Luigi e Gabriella, quelli che l’informazione ha ribattezzato come i “genitori nonni”, da alcuni giorni hanno dovuto definitivamente rassegnarsi (ammesso che sia possibile…) a non riabbracciare più la propria bimba.

La Corte di Appello di Torino ha, infatti confermato l’adottabilità della loro bambina (di  quasi 7 anni) che, quindi, resta nella famiglia che l’ha adottata. I giudici hanno accolto la tesi del curatore speciale secondo cui la piccola non può essere restituita alla sua famiglia naturale perché ormai l’abbandono fa parte della sua storia, anche se non è certo colpa della coppia, e per lei potrebbe essere traumatico tornare nella famiglia di origine. In altre parole lo Stato, in questo caso il suo sistema giudiziario, dice ai due “genitori nonni”: “scusate, ci siamo sbagliati, per la legge siete dei genitori più che degni, non avete commesso nulla di quello che vi era stato imputato, però scontate ugualmente la pena, senza alcuno sconto”.

Siete assaliti da un senso di disgusto? Vi vergognate di vivere in un paese simile? Avete perfettamente ragione, se non fosse già morta da tempo (uccisa e umiliata più e più volte), verrebbe da dire che questa vicenda segna la morte della giustizia nel nostro paese. Non ci sono parole per definire una simile sconcezza, anzi, forse il modo giusto è quello coniato qualche anno fa dall’avvocato difensore di un’altra coppia di genitori che si videro portare via senza motivazioni concrete il proprio  bimbo: sequestro di Stato. D’altra parte, mettendosi nei panni di quegli e di altri genitori che hanno subito questa vergogna, come si potrebbe definire in altro modo la decisione di imperio di togliergli i figli senza una motivazione davvero valida, addirittura in alcuni casi ammettendo poi il clamoroso errore (senza però tornare indietro)?

Ma questo è solamente il punto di vista dei genitori che subiscono una simile sciagura. Poi ci sono i bambini che all’improvviso, spesso anche in maniera traumatica, si vedono strappati via dalla propria casa, dalla propria famiglia, dal proprio papà e dalla propria mamma per ritrovarsi in istituto, in una comunità (o casa famiglia che dir si voglia) oppure in una nuova famiglia. Si può anche lontanamente immaginare il trauma che subiscono quei bambini a cui lo Stato (quando non ci sono motivazioni davvero valide per un simile provvedimento) ruba l’infanzia, condannandoli a subire le pesanti conseguenze di quella decisione per il resto della propria vita. Ad onor del vero bisogna dire che nel caso della vicenda piemontese la bimba è stata portata via da casa che aveva pochi mesi e, quindi, da questo punto di vista il trauma per lei è stato sicuramente minore.

Ma è davvero singolare il fatto che diversi anni fa, in una situazione per certi versi analoga, la giustizia italiana aveva fissato e sancito un principio esattamente opposto a quello affermato ora. Allora, di fronte ad un’adozione che si fondava su un presupposto sbagliato ma che aveva regalato alla bimba adottata una situazione familiare finalmente positiva per lei, i giudici sancirono che nulla contava più del rispetto della legge, neppure il benessere della bambina. Ora lo stesso sistema giudiziario italiano sancisce il principio esattamente opposto, cioè che il rispetto della legge non conta nulla di fronte al presunto benessere della bambina.  Quello che è valido e indiscutibile oggi per la giustizia italiana potrebbe non esserlo più domani. Ma lasciamo perdere e non soffermiamoci sui tanti paradossi della nostra giustizia, non scopriamo certo oggi che il sistema giudiziario fa acqua da tutte la parti.

Ci interessa, invece, sottolineare che quello di Torino non è certo un caso isolato, che il dramma che stanno vivendo quei genitori è purtroppo comune a tante altre mamme, papà e a troppi bambini nel nostro paese. Si perché fino agli inizi degli anni ’90 i casi di sottrazione di minori ai legittimi genitori erano rarissimi, per legge ciò poteva accadere solo in caso di violenze o abusi gravi. Poi lo Stato è entrato  “a gamba tesa”, varando nuove norme (magari anche con il nobile fine di tutelare maggiormente i minori) che lasciano un ampio, sicuramente eccessivo, spazio d’intervento non solo in situazioni difficili (ma non estreme) ma anche quando in realtà non sembra neppure esistere una condizione di disagio.

Secondo la legge italiana (184/1983, 149/2001) il minore può essere allontanato dalla famiglia non più solamente in presenza di accertate violenze e abusi ma anche quando si trova in una situazione di “privazione di assistenza materiale e morale seria e irreversibile”. Una definizione così generica che ha prodotto delle vere e proprio “bestialità” ed un’estremizzazione della procedura. Così da anni nel nostro paese può accadere che un figlio venga tolto ai genitori naturali anche se il bambino ha difficoltà a socializzare, se è troppo grasso o troppo magro, se la casa è considerata sporca (clamoroso in proposito il caso raccontato da “Le iene” qualche mese fa), se si ritiene che viva in un ambiente non idoneo da un punto di vista non solo igienico, se ha problemi particolari a scuola, se trascorre troppo tempo davanti a tv e videogiochi.

Addirittura la legge prevede l’allontanamento del minore dal proprio nucleo familiare anche in caso di gravi problemi economici. Una sorta di accanimento sadico (per non dire perverso) nei confronti di chi (una famiglia in difficoltà) andrebbe aiutato e non certo privato dei propri affetti più cari. La conferma di questa allucinante situazione arriva dai dati forniti dal Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA) secondo cui nel 37% dei casi di allontanamento dalla famiglia si segnala, tra le motivazioni, un problema di natura materiale-economico. Nel 45% dei casi, invece, ci sono problemi di relazioni all’interno della famiglia e di inadeguatezza genitoriale, definizioni troppo generiche e che lasciano troppo spazio all’interpretazione dei singoli operatori. Appena nel 12% dei casi, invece, si parla di maltrattamenti, abusi, violenze. In un simile contesto non stupisce, quindi, che spesso si generino delle vere e proprie mostruosità.

Solo pochi mesi fa, ad esempio, un uomo di 44 anni si è dato fuoco davanti al tribunale di Cagliari perché gli avevano tolto la patria potestà dei figli di 9, 10 e 12 anni perché troppo povero per crescerli. Lo Stato non riesce a garantire il lavoro e una vita decorosa ai suoi cittadini e, non pago, li condanna a morte (perché togliere un figlio ai genitori equivale ad una condanna a morte, per i genitori ma anche per i figli stessi). Non meno eclatante il caso accaduto nei mesi scorsi a Padova, dove un adolescente è stato portato via di casa a causa dei suoi atteggiamenti troppo effeminati, secondo la Procura attribuibili al comportamento della madre e al fatto che il ragazzino viveva insieme alle sorelle. Sembra impossibile da credere, ma per la legge italiana addirittura si possono sottrarre i figli ai legittimi genitori anche per “eccesso di cure”.

E’ accaduto lo scorso anno ad una famiglia di Gorizia (lui medico lei casalinga) a cui sono stati tolti i figli (uno alle elementari, l’altro alle medie) per maltrattamenti. Si perché quello che i Servizi Sociali hanno definito “eccesso di cure”, per la Procura si è trasformato in una sorta di maltrattamento dei genitori nei confronti dei figli. La vicenda è davvero surreale, i due bambini sono entrambi affetti da una rarissima patologia genetica, certificata non solo da diversi specialisti ma anche dal Besta di Milano e dal Centro regionale per le malattie rare di Udine. I genitori sottopongono i due bambini a cure particolari, secondo quanto prescritto dagli esperti ed erogate dallo stesso ospedale cittadino. Commettono, però, il gravissimo errore (almeno vista come si è poi evoluta la vicenda) di rivolgersi ai Servizi Sociali per chiedere un maggiore aiuto.

Invece del supporto richiesto trovano un atteggiamento assolutamente diffidente, nascono dei forti dissidi con i Servizi Sociali stessi che esprimono forti perplessità sulle condizioni di salute dei bambini, con addirittura il sospetto che siano i genitori stessi a causare quella particolare “patologia” ai propri figli. Ci sono relazioni di professionisti, di centri esperti in malattie rare, c’è la certificazione della Commissione medica per l’invalidità che non lasciano dubbi, si tratta di una patologia rara ma genetica. Nulla serve a convincere i Servizi Sociali e la Procura che, sollecitata dagli stessi, avvia un’indagine. Inizia per i due genitori un interminabile calvario, tra udienze, perizie, inchieste, accuse infamanti e assolutamente infondate. I loro telefoni vengono messi sotto controllo, come se fossero due delinquenti. E proprio un’intercettazione fa precipitare tutto. Viene, infatti, ascoltata la madre che, nel corso di una conversazione telefonica, dice al marito di essere esasperata, che non ce la fa più, che prima o poi commetterà una pazzia.

Quello sfogo (quante volte a qualcuno di noi in un periodo di particolare stress, sarà scappata un’espressione simile?) è sufficiente per far scattare il blitz. Un paio di giorni dopo si presentano nella casa di quella famiglia i carabinieri che letteralmente trascinano via i due bambini, portandoli in una casa famiglia. Da allora per quei genitori è iniziata la battaglia per riportarli a casa, in un procedimento che da una parte vede decine e decine di certificati medici, di perizie di esperti che confermano l’origine genetica della patologia (e le conseguenti necessarie cure, a cui per altro i due bambini continuano a sottoporsi anche nella casa famiglia), dall’altra la relazione dei Servizi Sociali, corredata dal parere di un neuropsichiatra che esprime i dubbi sulla malattia stessa. Un caso davvero surreale e paradossale, che meglio di ogni altro testimonia i guasti prodotti da questo inaccettabile sistema.

Al di là delle ragioni e delle motivazioni che ci possono essere dietro vicende  comunque complesse, quei casi dovrebbero far riflettere profondamente giudici, legislatori e assistenti sociali. Perché per legge i minori  non hanno l’opportunità di prendere determinate decisioni autonomamente. Ci sono gli adulti, che siano i genitori, i tutori o un giudice, a decidere cosa è bene e cosa no per loro, molto spesso senza minimamente preoccuparsi di quello che pensano e che provano. Però, poi, capita quasi sempre che certe decisioni, magari prese per il “bene” dei minori, alla fine rischiano comunque di provocare traumi insopportabili e insuperabili per i bambini stessi.

Per varie ragioni ho seguito negli anni passati alcuni casi di bambini allontanati, per motivi a dir poco discutibili, dalla propria famiglia di origine e ho potuto vedere da vicino il terribile dramma che hanno vissuto quei poveri bimbi (senza pensare allo strazio che hanno dovuto sopportare i rispettivi genitori). Ricordo ancora, ad esempio, il caso di un ragazzino fermano portato via, insieme alla sorellina, da casa, da due genitori comunque molto affettuosi e premurosi, per motivazioni molto confuse (tra cui anche quelle economiche). Ricordo il suo strazio, la sua disperazione, il suo grave disagio che, poi, si ripercuoteva sulla sua salute fisica (più volte è finito in ospedale). Quale giudice, quale assistente sociale, di fronte ad una simile evidenza, avrebbe potuto mai continuare a sostenere che, in quel modo, si stava facendo il bene del minore? Quel bambino poi, dopo un calvario lungo 2 anni, è tornato insieme alla sorella dai suoi genitori. Ha ripreso a vivere la sua infanzia felice e normale ma non più serena perché la ferita di quei mesi, per lui orribili, lontani da casa molto a fatica si potrà rimarginare.

C’è a proposito un interessante studio effettuato dal progetto “Piattaforma Infanzia” secondo il quale anche i bambini maltrattati , vittime di abusi da parte di un genitore vivono l’allontanamento da casa come un trauma molto grande, difficilmente superabile. “Chi toglie un figlio ad uno o entrambi i genitori – si legge in quella relazione – non conosce o non si interessa di fattori importantissimi della psiche di un bambino. Quando i giudici minorili emanano sentenze motivando il bene del bambino, non corrisponde quasi mai alla realtà. L’essere tolti ai genitori per i bambini è paragonabile ad un grave lutto, è più traumatico dell’amputazione di un arto, nessun trauma è più forte dell’allontanamento dai genitori. Solo in presenza di una situazione davvero problematica fatta di abusi e maltrattamenti bisognerebbe ricorrere all’allontanamento dalla famiglia. Ma in quel caso, se ce ne fosse la possibilità, dovrebbe essere portato da nonni, zii, persone vicine al bambino, sotto la stretta sorveglianza di un tutor, ma non dovrebbe certo andare ad arricchire i proprietari di case famiglie”.

Già perché in un contesto già così complesso non si può certo trascurare neppure l’aspetto economico della vicenda. Con l’impennata di allontanamenti, in seguito alle nuove norme di cui abbiamo parlato, è inutile negare che si è sviluppato qualcosa che assomiglia ad un vero e proprio business. Perché ogni anno sono migliaia e migliaia i minori che vengo allontanati dalla propria famiglia e le rette (pagate dal Comune di appartenenza della famiglia del minore) sono piuttosto elevate, da un minino di 70 fino anche a 130-140 euro al giorno. Secondo gli ultimi dati disponibili (riferiti al 2015) in Italia in un anno sono stati 28.449 i minori allontanati dalla propria famiglia.

Rispetto a qualche anno fa la tendenza è un po’ cambiata, si cerca di preferire l’inserimento in un nuovo nucleo familiare (affido familiare) piuttosto che in una comunità. Ma siamo ancora circa ad un 50 e 50, quasi la metà dei bambini allontanati finiscono in un nuovo nucleo familiare, mentre un altro 50% (cioè oltre 14 mila bambini) finisce in comunità. Con quel genere di rette che determinano che ogni bambino affidato dalla Procura alla comunità o casa famiglia costa da un minimo di 26 mila fino ad un massimo di 50 mila euro, come detto pagati dal Comune di appartenenze del minore.

Il Comune di Ascoli, ad esempio, il 9 febbraio scorso con determina n. 124 ha stanziato circa 180 mila euro per pagare la retta in istituto (per il primo semestre del 2017) per 10 minori allontanati dalla propria famiglia. Complessivamente, invece, in Italia il costo annuo per i minori in comunità è superiore ai 500 milioni.  Una cifra impressionante che, inevitabilmente, stimola perplessità e riflessioni e che spinge a cercare di verificare se e in che misura è giustificata una simile spesa. E’ quanto ha fatto qualche tempo fa il giornalista Rai  Riccardo Iacona con il suo “Presa diretta”, con un’intera puntata dedicata a questo fenomeno, scatenando la reazione rabbiosa del CNCA, secondo cui quegli oltre 500 milioni non sono una spesa adeguata e non coprirebbero neppure la spesa media di gestione (secondo il CNCA servirebbero circa 800 milioni all’anno).

Polemiche a parte, non possiamo non condividere la provocazione di Iacona che aveva proposto di destinare quegli oltre 500 milioni al sostegno alle famiglie, proprio per evitare che i bambini possano essere allontanati nei casi in cui la famiglia si trovi in situazione di difficoltà. Sarebbe un primo importante passo, a cui dovrebbe seguire un’immediata revisione delle norme per fare in modo che non si ripetano più certe bestialità, che non sia lasciato all’ampia discrezione di qualche funzionario la decisione se allontanare o meno un bambino dalla propria famiglia.

In modo che i “sequestri di Stato”, che gettano nello sconforto i genitori e “rubano” l’infanzia a indifesi bambini, diventino un’eccezione, percorribile solo ed esclusivamente in presenza di accertati abusi e maltrattamenti.

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