Cresce di anno in anno il numero di pazienti marchigiani che preferiscono ricoverarsi e farsi curare in strutture sanitarie fuori regione. E, allora, l’Agenzia sanitaria regionale decide di non pubblicare più, sul proprio sito internet, i dati sulla mobilità passiva
Uno dei problemi principali della sanità marchigiania è da tempo quello della cosiddetta mobilità passiva, cioè del numero di pazienti delel Marche che preferiscono ricoverarsi e farsi curare in strutture sanitarie al di fuori della regione. Una situazione che deve far riflettere e che inevitabilmente alimenta dubbi sull’affidabilità del sistema sanitario regionale o, quanto meno, sulla percezione che hanno i cittadini marchigiani. E se il problema sull’affidabilità delle strutture sanitarie marchigiane è sicuramente al centro della discussione che si innesta in merito alla mobilità passiva, non meno rilevante è, però, l’aspetto economico.
Infatti la mobilità passiva fuori dalle Marche comporta un’ingente spesa per la Regione, solo parzialmente recuperata grazie alla mobilità attiva, cioè pazienti da altre regioni che scelgono di curarsi e ricoverarsi in strutture sanitarie marchigiane. Negli ultimi anni, infatti, la Regione ha speso oltre 110 milioni di euro per i circa 30 mila marchigiani che ogni anno “emigrano” fuori regione, incassando in media intorno ad 80-85 milioni all’anno grazie ai ricoveri provenienti da altre regioni. Un saldo annuale negativo di 25-30 milioni che finisce per pesare e non poco sulle casse regionali e, di conseguenza, sulla qualità dei servizi sanitari marchigiani.
Un problema, quindi, di cui da tempo si discute cercando di trovare soluzioni non certo per risolvere completamente, una percentuale di “emigrazione” è fisiologica per vari motivi, ma quanto meno per provare a ridurre sensibilmente il numero di marchigiani che vanno a curarsi fuori regione. Ed è altrettanto evidente che questa discussione finisce inevitabilmente con l’intrecciarsi con quella sulla qualità del sistema sanitario marchigiano, sulla disparità di livello (e di strutture e mezzi) tra il nord e il sud delle Marche, sui disagi e disservizi che spesso devono sopportare i cittadini marchigiani. Insomma una discussione spesso dai contenuti forti e, per certi versi, scomodi.
Così i vertici sanitari regionali hanno trovato un modo a dir poco singolare per risolvere la questione. La mobilità passiva è sempre più elevata e provoca troppe polemiche? Semplice, invece di provare a risolvere il problema basta semplicemente “oscurare” i dati. Questo, almeno, è quello che ha fatto l’Agenzia regionale sanitaria(Ars) sul proprio sito internet. Dove, in una sezione specifica, è ospitato il software Sdovision che consente la pubblicazione di tutta una serie di dati su ricoveri e dismissioni ospedaliere tra cui, appunto, anche quelli relativi alla mobilità passiva e attiva complessiva e divisa per Asur di appartenenza (come avviene per tutti i dati contenuti nel software).
In genere i dati relativi all’anno precedente vengono aggiornati entro i primi 6 mesi dell’anno in corso. Quest’anno l’aggiornamento è arrivato con un po’ di ritardo, con l’annessa censura dei dati sulla mobilità passiva. “Si comunica che il software SDOVISION che consente l’analisi del dati relativi alla schede di dimissione ospedaliera (S.D.O.) – si legge nella sezione denominata “Aggiornamenti dati Sdovision” del sito dell’Ars – è stato aggiornato con i dati 2014-2015. A differenza degli anni precedenti i dati non comprendono i ricoveri dei pazienti marchigiani dimessi da strutture fuori regione (mobilità passiva extra regionale)”.
Ovviamente non viene fornita alcuna motivazione per giustificare questa incomprensibile censura (in questo caso si che il termine è appropriato visto che c’è sia il controllo preventivo che la limitazione della comunicazione). Come diceva Giulio Andreotti, “a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca” E’, quindi, inevitabile pensare che la decisione di far calare la mannaia della censura sui dati sulla mobilità passiva sia stata presa viste le polemiche che numeri sempre più negativi stavano provocando.
Infatti gli ultimi dati disponibili, quelli del 2013, avevano fornito un quadro della situazione per nulla edificante, con un sempre maggior numero di marchigiani “in fuga” dalle strutture sanitarie regionali. Una tendenza che i primi dati del 2014 sembrava non solo confermare ma addirittura irrobustire. Secondo la Fp-Cisl, nel primo semestre del 2014 la mobilità passiva era ulteriormente aumentata fino al 14,2% rispetto al 12% dello stesso periodo dell’anno precedente. Che, come detto, già aveva fatto registrare dati clamorosi, con quasi 30 mila marchigiani (29.806 per l’esattezza) che avevano scelto di ricoverarsi in strutture sanitarie al di fuori della regione, per una spesa di ben 112 milioni di euro.
Quei numeri, tra l’altro, avevano anche messo in evidenzia dati significativi. Come, ad esempio, l’elevata mobilità passiva di reparti come Chirurgia e Medicina generale che deve far riflettere perché non presuppone il ricorso a particolari specialistiche che, magari, possono richiedere la necessità di rivolgersi a professionisti e a strutture di altre regioni. O come il fatto che un numero elevato di pazienti della zona territoriale di San Benedetto e Ascoli aveva scelto di ricoverarsi in strutture sanitarie dell’Abruzzo.
Altri dati significati erano, poi, quelli relativi alla mobilità attiva con, a sorpresa, San Benedetto che risultava la zona territoriale con il maggior numero di ricoveri provenienti da fuori regione, poco avanti ad Ancona e, con una distanza maggiore, ad Ascoli. Ma, mentre per quanto riguarda la mobilità attiva, era quasi esclusivamente indirizzata verso gli Ospedali Riuniti (86%), a San Benedetto ed Ascoli i pazienti provenienti da fuori regione si rivolgono nella maggior parte dei casi alle cliniche private.
Infatti appena il 21% degli oltre 6 mila pazienti provenienti da fuori regione si rivolgevano all’ospedale di San Benedetto, mentre il restante 79% si divideva tra le due strutture private cittadine, Villa Anna e Stella Maris. Stessa situazione ad Ascoli, dove solo poco più del 30% di pazienti da fuori regione si rivolgeva all’ospedale cittadino (il restante alla clinica privata San Marco), mentre addirittura a Civitanova la percentuale riferita all’ospedale cittadino scende al 16% (il restante 84% si rivolge alla clinica privata Villa dei Pini).
Questo significa che senza il fondamentale apporto delle strutture private convenzionate i numeri relativi alla mobilità attiva sarebbero ben differenti e che l’aggravio di spesa per le casse regionali sarebbe quanto meno raddoppiato. Un problema serio per la sanità marchigiana, da affrontare e cercare quanto meno di attenuare, invece di ricorrere al famoso detto popolare “occhio non vede, cuore non duole” come ha fatto in questo caso l’Ars. Che farebbe bene a tornare indietro su questa decisione, anche per una questione di trasparenza.
In realtà, però, in fatto di trasparenza il sistema sanitario marchigiano non ha mai brillato particolarmente. Era il 2013 quando un dossier realizzato dall’associazione antimafia Libera e dal Gruppo Abele (la Onlus di Don Ciotti) forniva un’immagine per nulla edificante del sistema sanitario e delle Asl marchigiane, in un contesto generale comunque negativo, per quanto riguarda proprio la trasparenza.
Per due mesi un gruppo di ricercatori aveva monitorato i siti istituzionali delle 143 Aziende sanitarie locali e provinciali italiane, delle 75 Aziende ospedaliere, dei 18 Istituti nazionali di ricerca e cura per verificare lo stato di attuazione della legge 190 del 2012 e del decreto legislativo 33 del 2013, vale a dire i due atti emanati dal governo contro l’illegalità nella pubblica amministrazione che hanno introdotto una serie di obblighi di pubblicità e trasparenza a favore del cittadino paziente.
Nel complesso era venuta fuori una fotografia delle Asl italiane a dir poco imbarazzante, con appena la metà di loro che aveva rispettato quegli obblighi che, sostanzialmente riguardavano l’adozione dei piani anticorruzione e per la trasparenza, con la contemporanea nomina dei rispettivi responsabili. Obblighi non rispettati da nessuna delle Asur marchigiane che, più in generale, erano in gran parte inadempienti riguardo tutte quelle informazioni da fornire ai cittadini in merito a servizi, gare, appalti, bandi, consulenze ecc.
Tre anni dopo la situazione è sicuramente migliorata, almeno l’Asur regionale ha finalmente adottato il piano anticorruzione e per la trasparenza, nominando anche il responsabile anti corruzione. Ma di strada da fare ancora ce ne è molta, come dimostra, appunto, la parziale censura messa in atto dall’Ars.