Negli ultimi 12 mesi oltre 28 mila minori sono stati allontanati dalla famiglia. In alcuni casi si ricorre all’affido familiare ma, soprattutto, nelle Marche, più spesso si preferisce l’inserimento in comunità, con costi di centinaia di milioni di euro…
Una determina del Comune di Ascoli, la n. 1015 del 12 luglio scorso, ha riportato l’attenzione sul fenomeno dell’allontanamento dei minori dalla propria famiglia. Con quell’atto l’amministrazione comunale ha stanziato, per il secondo semestre 2016, 133 mila euro per pagare le rette in istituto ad 8 minori allontanati dalla propria famiglia di origine. E, come al solito, si tratta di rette piuttosto consistenti che vanno da un minimo di 70 euro al giorno ad un massimo di 104 euro al giorno.
Quello economico, naturalmente, è solo uno degli lati di un fenomeno molto complesso e che nella nostra regione presenta degli aspetti in controtendenza con il resto del paese. Secondo gli ultimi dati disponibili, negli ultimi 12 mesi in Italia oltre 28 mila minori (28.449 per la precisione) sono stati allontanati dalla propria famiglia. In base alle nuove norme approvate un paio di anni fa, nei casi di allontanamento il minore può essere inserito in un nuovo nucleo familiare (affido familiare) o in una comunità. La tendenza negli ultimi anni è quella di spingere sempre più verso la prima soluzione. Non è, infatti, difficile comprendere, in una situazione comunque drammatica come quella che vive un minore allontanato dalla propria famiglia, che trovare il calore e l’affetto di un’altra famiglia è cosa ben differente che ritrovarsi in una comunità.
Ma, inutile negarlo, è tutt’altro che secondario anche l’aspetto economico connesso. Se, infatti, le famiglie che ottengono in affidamento temporaneo il minore ricevono poche centinaia di euro al mese, il costo del minore che finisce in istituto cresce vertiginosamente. Ogni bambino affidato dalla procura alla comunità o casa famiglia costa da un minimo di 26 mila fino ad un massimo di quasi 50 mila euro all’anno, pagati dal Comune di appartenenza del minore. Infatti il costo giornaliero che il Comune sostiene per ogni bambino va da un minimo di 70 euro fino ad un massimo di 130-140 euro. Proprio per questo negli ultimi anni si è assistito ad una certa inversione di tendenza, con sempre più minori dati in affido al punto che, secondo gli ultimi dati, attualmente i bambini allontanati dalla famiglia sono distribuiti quasi in egual misura tra comunità (14.255) e affido familiare (14.194).
Nelle Marche, invece, resta più marcata la propensione ad affidare i bambini a strutture piuttosto che a famiglie. Infatti dei 986 minori allontanati dalle rispettive famiglie solo 398 sono stati dati in affido familiare mentre ben 565 sono stati affidati a comunità e case famiglie, con una spesa per la collettività di oltre 20 milioni di euro. Complessivamente, invece, in Italia il costo annuo per i minori in comunità è di 520 milioni. Una cifra impressionante che, inevitabilmente, stimola perplessità e riflessioni e che spinge a cercare di verificare se e in che misura è giustificata una simile spesa. E’ quanto ha fatto qualche tempo fa il giornalista Rai Riccardo Iacona con il suo “Presa diretta”, con un’intera puntata dedicata a questo fenomeno. Un indagine che ha finito per scatenare le proteste e la reazione rabbiosa del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA) che ha sostenuto che il costo (per i Comuni) delle rette giornaliere non è adeguato e non copre la spesa media di gestione, sostenendo che con retta adeguata il costo annuo dei minori in comunità dovrebbe essere poco meno di 800 milioni.
Ma a far maggiormente imbufalire il CNCA è stata la provocazione di Iacona che ha proposto di destinare quei 520 milioni spesi annualmente per il sostegno alle famiglie e per evitare, in tal modo, che i bambini possano essere allontanati dalla famiglia per motivi economici. Si perché può accadere anche questo, sono gli effetti di norme che negli anni, con il fine (sicuramente anche nobile e, in linea di principio, condivisibile) di tutelare al massimo il minore, hanno prodotto delle vere e proprie storture. Infatti fino ad un po’ di tempo fa per togliere un figlio ai genitori c’era bisogno di fatti e situazioni particolarmente gravi (violenze e abusi fisici e psicologici). Ora invece le nuove norme lasciano un ampio, probabilmente eccessivo, spazio d’intervento, anche in situazioni magari difficili ma non estreme.
Addirittura la legge prevede l’allontanamento del minore dal proprio nucleo familiare anche in caso di gravi problemi economici. Una sorta di accanimento sadico (e per certi versi perverso) nei confronti di chi (una famiglia in difficoltà) andrebbe aiutato e non certo privato anche dei propri affetti più cari (i figli). E la conferma di questa che appare a tutti gli effetti una “bestialità” arriva dai dati forniti dalla stessa CNCA secondo cui nel 37% dei casi di allontanamento dalla famiglia si segnala, tra le motivazioni, un problema di natura materiale-economico, lavorativo o abitativo. Solo nel 12% dei casi, invece, l’allontanamento è giustificato da problemi di maltrattamenti, violenze o abusi sessuali, mentre nel 9% dei casi alla base ci sono problemi di dipendenza di uno o di entrambi i genitori. Dovrebbe, però, far riflettere il fatto che nel 45% dei casi alla base ci siano problemi di relazioni all’interno della famiglie e di inadeguatezza genitoriale, definizioni troppo generiche e che lasciano troppo spazio all’interpretazione dei singoli operatori chiamati a decidere.
Al di là di tutte queste considerazioni sull’aspetto economico della vicenda e sui limiti delle norme che la regolano, non bisogna mai dimenticare che al centro di tutto c’è comunque il dramma, violento, intenso, indimenticabile che vive un bambino nel vedersi strappare dalla sua famiglia d’origine. Un dramma che un minore, a meno che l’allontanamento non avvenga in seguito a violenze o abusi (che, però, abbiamo visto rappresentare solo una piccola percentuale), non comprende, non giustifica e non accetta. A rendere più tragico un evento che di per sé ha effetti devastanti per il minore c’è, poi, a volte la poca sensibilità e la disumanità delle modalità con le quali viene effettuato l’intervento di allontanamento dalla famiglia. Come non ricordare, ad esempio, il caso del bambino di 8 anni di Spinetoli, prelevato all’improvviso a scuola, per ordine del Tribunale dei minori di Ancona, e portato in una casa famiglia. O la vicenda simile di una ragazzina di 10 anni di Ancona, portata via dai genitori, anche in questo caso senza alcun preavviso, direttamente a scuola, con due vigili che si sono presentati in classe per portarla via. Quell’episodio fece molto rumore anche perché la ragazzina nell’occasione accusò un malore e fu poi ricoverata in ospedale.
Al di là delle ragioni e delle motivazioni che ci possono essere dietro vicende comunque complesse, quei casi dovrebbero far riflettere profondamente giudici, legislatori e assistenti sociali. Perché per legge i minori non hanno l’opportunità di prendere determinate decisioni autonomamente. Ci sono gli adulti, che siano i genitori, i tutori o un giudice, a decidere cosa è bene e cosa no per loro, molto spesso senza minimamente preoccuparsi di quello che pensano e che provano. Però, poi, capita spesso che certe decisioni, magari legittime e prese per il “bene” dei minori, alla fine rischiano comunque di provocare traumi insopportabili e insuperabili per i bambini stessi.
Per varie ragioni ho seguito negli anni passati alcuni casi di bambini allontanati, per motivi a dir poco discutibili, dalla propria famiglia di origine e ho potuto vedere da vicino il terribile dramma che hanno vissuto quei poveri bimbi (senza pensare allo strazio che hanno dovuto sopportare i rispettivi genitori). Ricordo ancora, ad esempio, il caso di un ragazzino fermano portato via, insieme alla sorellina, da casa, da due genitori comunque molto affettuosi e premurosi, per motivazioni molto confuse (tra cui anche quelle economiche). Ricordo il suo strazio, la sua disperazione, il suo grave disagio che, poi, si ripercuoteva sulla sua salute fisica (più volte è finito in ospedale). Quale giudice, quale assistente sociale, di fronte ad una simile evidenza, avrebbe potuto mai continuare a sostenere che, in quel modo, si stava facendo il bene del minore? Quel bambino poi, dopo diversi mesi è tornato insieme alla sorella dai suoi genitori. Ha ripreso a vivere la sua infanzia felice e normale ma non più serena perché la ferita di quei mesi, per lui orribili, lontani da casa molto a fatica si potrà rimarginare.
Episodi come questo non possono non indurre ad una seria riflessione e ad un generale e profondo ripensamento del meccanismo di allontanamento dei minori dalla propria famiglia. In tal senso bisogna dare atto alla Regione Marche di aver avviato, alcuni mesi fa, un progetto volto a realizzare un percorso conoscitivo e metodologico per stimolare una riflessione, da parte degli operatori dei servizi tutela minori delle Marche, sulle proprie prassi operative, sul ruolo che deve essere riconosciuto alla famiglia d’origine dei minori, sulla valutazione degli allontanamenti e la sperimentazione di diversi approcci metodologici relativi alla presa in carico delle situazioni a rischio. Con la speranza di non dover più assistere e raccontare episodi così drammatici e traumatici come quelli di quei bambini di Pagliare, Ancona e Fermo…